FRANCOFONIA
Regia: Alexander Sokurov
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Titolo del film: FRANCOFONIA
Titolo originale: FRANCOFONIA
Cast: regia, scenegg.: Alexander Sokurov – inter. princ.: Louis Do de Lencquesaing, Benjamin Utzerath, Vincent Nemeth – durata: 87’ – origine: FRANCIA, GERMANIA, PAESI BASSI, 2015 – distrib.: Academy Two
Sceneggiatura: Alexander Sokurov
Nazione: FRANCIA, GERMANIA, PAESI BASSI
Anno: 2015
Presentato: 72. Mostra Internazionale D'arte Cinematografica di Venezia (2015) VENEZIA 72
Il regista Alexander Sokurov è impegnato in una conversazione via Skype con l’amico Kirk, capitano di una nave cargo che trasporta, in un’enorme mole di containers, una collezione d’arte museale.
La nave di Kirk naviga in acque burrascose e la conessione della linea internet va e viene, cosicchè la conversazione tra i due amici è spesso interrotta. Nei momenti in cui questo accade, Alexander ne “approfitta” per parlare «da solo» e intessere una riflessione sull’arte e i suoi rapporti con la storia.
Le sue riflessioni si concentrano soprattutto sulla Francia e in particolare sul Louvre, “museo” per antonomasia, casa di centinaia di opere d’arte dall’inestimabile valore economico e culturale. Le riflessioni lasciano presto il posto alle “fantasticherie” e Sokurov comincia a “dialogare” con i fantasmi che si aggirano nel Louvre (quelli di Napoleone e della Marianne, simbolo dei valori repubblicani), immaginando anche ad occhi aperti – e lo spettatore con lui – il momento più pericoloso della storia del museo francese, ovvero l’occupazione Nazista di Parigi. Nel 1938 infatti, paventando la minaccia di una guerra contro la Germania e per salvare le opere d’arte dalla minaccia dei bombardamenti, il direttore del Louvre, Jacques Jaujard, fa imballare tutte le collezioni d’arte e le fa trasportare in un castello alle porte di Parigi.
A guerra ormai iniziata, quando la capitale francese viene nominata “Città aperta”, a un ufficiale dell’esercito tedesco, il conte Franziskus Wolf-Metternich, viene affidato il compito di proteggere e sorvegliare le opere d’arte. Sokurov immagina così l’incontro e le relazioni tra Jaujard e Wolf-Metternich, i quali passano da un’iniziale e comprensibile diffidenza e rancore reciproco a un rapporto se non d’amicizia comunque di stima reciproca, rinsaldato dal comune amore per l’arte.
La fantastica ricostruzione del rapporto tra i due uomini, si intreccia con quelle delle vicende generali della Guerra Mondiale, mentre Alexander smette a tratti di sognare ad occhi aperti per riprendere brandelli di conversazione con l’amico Kirk, la cui nave si trova ormai in grossa difficoltà, solcando tra onde di temibile violenza.
Nell’ultimo collegamento Skype, le immagini mostrano come molti dei container siano caduti in mare e la nave sia, forse, prossima al naufragio, mentre ondate gigantesche ne spazzano il ponte.
Avendo perso oramai il collegamento con l’amico Kirk a Sokurov non resta che salutare anche i due personaggi del suo sogno ad occhi aperti, Jaujard e Metternich, dai quali si congeda non senza aver loro “predetto” i loro diversi destini.
Questa bizzarra vicenda viene messa in scena dal regista russo con un racconto dalla struttura complessa e affascinante. Alternando reali immagini di repertorio storico, fiction e documenti fotografici d’epoca, Sokurov riflette sul rapporto tra storia, arte e potere, prendendo come punto di osservazione privilegiato il momento più basso della storia d’Europa (e forse dell’uomo), ovvero la Seconda Guerra Mondiale.
Ignorata la lezione dei grandi letterati e maestri (Cechov, Dostoevskij, Tolstoj, addormentati nelle immagini in bianco e nero di fotografie storiche), coloro che rimangono («il popolo») cadono vittima della follia della storia. «All’inizio del XX secolo, i nostri padri si addormentarono», recita l’onnipresente voce narrante dello stesso Sokurov, mentre sullo schermo scorrono le immagini del conflitto, alternandosi, al presente, con quelle della nave cargo in piena burrasca: «Le forze del mare e della storia sono senza ragione nè pietà».
L’arte – dice Sokurov – ovvero il sentimento dell’uomo di esprimersi, «sostituendo la figura umana ai simulacri», è sempre esistito, fin dalle origini delle prime civiltà, che, pur defunte, sopravvivono con la loro maestosità nell’effigia dei tesori culturali rimasti (come sopravvivono nel Louvre le mura e i tori alati, «imponenti e ingenui», dell’impero Assiro). Ed è proprio il Louvre, museo Francese di residenza, ma patrimonio del mondo tutto, a divenire, nel corso del film, quasi il protagonista della vicenda, centro di cultura e di “vita” per l’Europa e il mondo, attorno al quale tutti i personaggi si muovono in un vortice di secoli e avvenimenti. «Cosa sarebbe Parigi senza il Louvre? E San Pietroburgo senza l’Ermitage?», si domanda Sokurov. E ancora: «cosa saremmo noi senza i musei?». Ovvero cosa sarebbe l’uomo se non avesse l’arte?
Tuttavia, così vitale ma così fragile, l’Arte si trova spesso minacciata dalla prepotenza del potere, arrogante e ridicolo al tempo stesso (come il “fantasma” di Napoleone), che tradisce quei comuni valori universali e comunitari (come quelli che lo spettro della “Marianne” continua incessantemente a ripetere) i quali dovrebbero invece servire a cementare ancor di più l’Europa e i suoi abitanti nel loro spirito, tradizioni e valori comuni: «Cosa saremmo noi senza l’Europa?» si chiede ancora Sokurov, aggiungendo poi che «in Europa è ovunque Europa».
Il regista russo insiste nel mostrare esempi di arte (incluso anche il Cinema), tradita dalla follia della storia, mentre il pericolo che essa si ripeta, lungi dall’essere lontano, è ben reale (il fantasma di Napoleone si addormenta sulla scena, ma gli spettri «hanno il sonno leggero», avverte il regista, mentre poco dopo, la mano di un ufficiale nazista, in una scena di grande suggestione, ticchetta con il dito sulla teca della mummia di un faraone egizio, quasi per provare a risvegliarla). E non a caso, sul finale del film, la nave del capitano Kirk, carica di opere d’arte chiuse nei containers (cosa che già di per sè attira il rimprovero di Alexander: «L’arte non si sballottola sull’Oceano») viene mostrata sul punto di naufragare del tutto, avendo già perso parecchi container, dispersi in mare. Una trovata visiva della pregevole fattura artistica (numerose quelle disseminate nel corso del film) che Sokurov usa per illustrare la sua idea di quanto poco l’umanità si mostri pronta ad imparare dagli sbagli del passato.
All’interno del film grande spazio prende poi la parte di fiction, ovvero l’immaginaria cronaca del rapporto tra Jaujard e Metternich, personaggi positivi che incarnano entrambi valori più alti sia per la loro dedizione (Jaujard) e la lungimiranza (Metternich), che per il loro interesse a quei valori comunitari “europei” che il film porta come esempio di bene universale. Uomini che, pur nella follia del momento storico in cui si trovano a vivere, mettono da parte le separazioni nazionali e le “divise” per mettersi al servizio degli uomini e dei popoli tutti, incuranti persino delle conseguenze personali alle quali possono andare incontro per il loro operato. Uomini la cui esistenza terrena è di breve durata (le due sedie vuote sul finale), ma le quali azioni portano invece frutti importanti, per la conservazione dell’Arte in quanto patrimonio culturale destinato agli uomini tutti e senza distinzioni dettate da confini territoriali e di potere (l’inno nazionale russo orrendamente storpiato del finale che lascia il posto a una melodia sinfonica, ricollegandosi, dopotutto, alla “prova d’orchestra” che si sente all’inizio del film).
Intelligente, acuto e sensibile, il film di Sokurov propone un tema valido e universale, trattato del resto con piglio “d’autore” da un regista già premiato con il Leone d’oro nel 2013, e che si ricandida con questo film tra i pretendenti principali per il Leone di quest’anno.