ABLUKA (FOLLIA)
Regia: Emin Alper
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Titolo del film: ABLUKA (FOLLIA)
Titolo originale: ABLUKA (FOLLIA)
Cast: Regia e Sceneggiatura: Emin Alper - Interpr. Princ: Mehmet Özgür, Berkay Ates, Tülìn Özen, Ozan Akbaba - Durata: 119’ - Origine: TURCHIA/FRANCIA/QATAR, 2015.
Sceneggiatura: Emin Alper
Nazione: TURCHIA/FRANCIA/QATAR
Anno: 2015
Presentato: 72. Mostra Internazionale D'arte Cinematografica di Venezia (2015) VENEZIA 72
In una Istanbul, sconvolta dalla violenza di misteriosi gruppi terroristici, viene offerta al detenuto Kadir la possibilità di essere rilasciato di prigione, a patto di collaborare, in qualità di informatore, con la polizia. Dopo aver accettato l’offerta, l’uomo si mette all’opera, andando in giro a raccogliere l’immondizia per cercare prove sulla presunta colpevolezza dei vicini nel quartiere. Kadir riprende anche contatto con dei vicini, Meral e Ali, sposini che sembrano condurre un’esistenza tranquilla, e con il fratello Ahmet, giovane che lavora al soldo del Comune per uccidere i cani randagi che girovagano per la città. Il rapporto tra i due fratelli è amichevole, ma Ahmet, che dà prova di certi squilibri mentali, si chiude sempre più in se stesso, cercando di limitare poco a poco le occasioni di contatto con il fratello. In più, Ahmet porta in casa e comincia ad accudire un cane randagio che lui stesso aveva ferito (nel tentativo di ucciderlo), in una delle sue sessioni di “lavoro”. Il giovane diventa via via sempre più paranoico, al punto da non volere uscire di casa, tappandovisi dentro con il cane e nascondendosi quando il fratello o i colleghi di lavoro lo vanno a cercare. Il clima politico va facendosi intanto più infervorato, mentre esplosioni squassano il ventre della città e la polizia comincia ad eseguire rastrellamenti a tappeto. Tra le “vittime” dei rastrellamenti anche Meral e Ali, sospettati di far parte del gruppo terroristico. Kadir continua la sua collaborazione, cercando prove nei rifiuti e cominciando a diventare a propria volta paranoico (aveva cominciato a soffrire di allucinazioni): quando qualcuno brucia i rifiuti nel suo quartiere, l’uomo pensa che sia una reazione al suo operato; e, quando l’uomo vede passare in moto un uomo mascherato, crede di scorgervi la figura del fratello Veli, scomparso anni prima senza lasciar traccia.
La paranoia di Kadir avrà conseguenze nefaste: credendo che il fratello sia minacciato e tenuto in ostaggio dai “terroristi” Meral e Ali, l’uomo chiede ad Hamza, il sovrintendente della polizia con il quale è in contatto di fare irruzione in casa del fratello. Quest’ultimo, ormai preda della paranoia più completa, all’arrivare della polizia si barrica in casa, sparando loro contro e finendo così ucciso nello scontro a fuoco che ne segue.
Kadir, sconvolto per la morte del fratello, decide di uccidere Hamza, che crede colpevole dell’accaduto. Hamza però non gliene dà il tempo. Su tutte le furie per aver perso tempo prezioso in un’operazione inutile, il poliziotto prima aggredisce e poi rivela a Kadir che tutto quello che aveva immaginato era solo il frutto della sua fantasia: nessun terrorista teneva sotto scacco Ahmet e nessun terrorista era a lui legato. Kadir, ormai sconvolto, vaga per la città, giungendo infine alla casa del fratello, dove trova (sogno o realtà?) un gruppo di terroristi, tra i quali Meral e Ali, che lo prendono e lo portano a cospetto dell’uomo con la motocicletta, apprestandosi poi a uccidere Kadir per via della sua collaborazione con la polizia.
Con l’immagine di Kadir inginocchiato mentre aspetta il colpo della pistola puntata contro la sua testa, il film si conclude.
Fin dalle prima scena, il film insiste nel mostrare la rappresentazione della violenza. Sia quella fisica, che devasta la città tra esplosioni e scontri armati che, qualche istante dopo, quella psicologica alla quale è sottoposto Kadir da parte della polizia Turca, che lo recluta forzatamente come informatore. Il personaggio di Kadir, protagonista del film, è un “povero Cristo”, senza arte nè parte; più o meno come il fratello Ahmet, le cui caratteristiche di personaggio sono del resto similari a quelle di Kadir. Kadir è vittima della violenza psicologica e del ricatto al quale è sottoposto dai funzionari della polizia. Reclutato come informatore e rilasciato, l’uomo cerca dapprima di instaurare e rapportarsi agli altri (i vicini, il fratello) con semplice calore umano e benevolenza. L’affetto dimostrato per il fratello e le numerose volte durante le quali egli cerca di riallacciare il rapporto con Ahmet sono in questo senso indicative. Kadir viene però ben presto risucchiato dal clima di tensione, sospetti e violenze del sistema per il quale l’uomo è stato del resto chiamato a far parte. Prima la vicinanza tra Ahmet e Meral fa nascere in Kadir il sospetto di una relazione extraconiugale fra i due, quindi l’uomo comincia a cadere vittima di allucinazioni (come quando crede di aiutare la “terrorista” Meral a fuggire dalla polizia, nascondendola nel suo carrettino dei rifiuti, il quale si rivela in ultimo vuoto. O, ancora, quando si convince di riconoscere il fratello Veli nelle fattezze di un motociclista mascherato, che sembra seguirlo). Tali fantasticherie irreali diventano sempre più pressanti fino al punto da fargli immaginare che il fratello sia vittima di un rapimento. Ciò porta, in ultima analisi alla morte del suo stesso fratello per mano sua, quando Kadir richiederà l’intervento della polizia. Alla fine del film, devastato dal punto di vista psicologico, Kadir si ritroverà a vagare per la città, finendo vittima, forse, di un’altra allucinazione che coinvolge alcuni dei personaggi sui quali aveva fantasticato durante il film.
Il personaggio di Ahmet è in certo modo simile a Kadir. Abbandonato dalla moglie, la quale si è portata via pure i figli, Ahmet è mostarto fin dalle prime scene, come un uomo senza uno scopo di vita (cerca di commettere il suicidio, finendo distratto dal campanello di casa). Un burattino nelle mani del Sindaco, per il quale lavora, andando in giro uccidendo i cani del quartiere, Ahmet non è però violento di suo, tant’è che l’uomo si prende cura e si affeziona al cane che lui stesso aveva ferito, preoccupandosi della salute dell’animale a più riprese, angosciandosi quando il cane scappa di casa e finendo con l’esserne morbosamente attaccato. Anche Ahmet finisce con il cedere alla paranoia, cadendo vittima di allucinazioni che vedono il suo adorato cane finire avvelenato dal Sindaco o barricandosi in casa per impedire l’accesso alla polizia, venuta, nei suoi deliri, per separarlo dal cane. Proprio a causa di tali deliri (e del fratello Kadir) l’uomo finisce ucciso.
La struttura del racconto si muove istituendo un parallello tra Kadir e Ahmet, legati in fondo da quella “follia” (il titolo del film) che è poi la stessa follia che serpeggia per la città, dove le deflagrazioni di bombe scuotono la tranquillità degli abitanti (e dei due personaggi). Non vi sono dubbi che è proprio la follia che si impossessa di Kadir a generare e dar vita alla tragedia. Follia che è figlia in primo luogo della violenza (la violenza dei terroristi e quella della polizia, in primis). Il regista sembrerebbe dunque voler instaurare un legame tra violenza e arroganza del potere repressivo e la “follia” che ne segue a scapito della povera gente che ne fa le spese. Purtroppo però, tale pregevole idea di fondo, non è corroborata da uno svolgimento del tutto comprensibile. I dubbi e gli elementi di ambiguità del film infatti lasciano perplessi, in più occasioni: se è, fino a un certo punto, facile infatti separare la realtà dalla fantasia del personaggio Kadir (fino a un certo punto: si pensi infatti all’episodio di Meral e del suo salvataggio. Se la donna nel carretto dei rifiuti non vi è mai stata, allora si dovrebbe prendere per fasulla anche la precedente telefonata del marito. Eppure, la si può escludere del tutto? ), non è tuttavia sempre facile. Che dire infatti della scena finale? Il personaggio di Kadir è senza dubbio alcuno sconvolto e delirante, e si aggira in una città da “incubo” ritrovandosi a finire per caso a casa del fratello defunto. Qui, un gruppo di molte persone (reali o meno?) prima si effondono in condoglianze con rispetto e reverenza, quindi guidano lo stesso Kadir, senza alcuna soluzione di continuità, attraverso alcuni meandri “segreti” della casa fino ad accerchiarlo e portarlo al cospetto del capo (il motociclista mascherato) e accingersi, (forse, dato che non si sente il colpo dell’arma da fuoco) a giustiziarlo. Se fosse tutto vero, se la scena dovesse cioè intendersi non come un’ennesima fantasticheria della mente di Kadir, ma come un accadimento effettivo, allora il senso del racconto (e del film tutto) cambierebbe. Il film però sembra essere volutamente ambiguo al riguardo. Le stesse ambiguità usate a più riprese durante tutti gli altri momenti di “follia”, che danno vita alle allucinazioni. E, in tali condizioni, risulta fuorviante e azzardato avanzare ipotesi.
Un peccato, dato che il film in sè non è poi affatto male, essendo ben interpretato dal protagonista maschile e, pur con tutte le riserve del caso, ben diretto.