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LES BEAUX JOURS D'ARANJUEZ



Regia: Wim Wenders
Lettura del film di: Andrea Fagioli
Titolo del film: LES BEAUX JOURS D'ARANJUEZ
Titolo originale: LES BEAUX JOURS D'ARANJUEZ
Cast: regia, scenegg.: Wim Wenders – fotogr.: Benoît Debie – interpr. princ.: Reda Kateb, Sophie Semin, Jens Harzer, Nick Cave – durata: 97’ – origine: FRANCIA, GERMANIA, 2016 – distrib.: Movies Inspired
Sceneggiatura: Wim Wenders
Nazione: FRANCIA GERMANIA
Anno: 2016
Presentato: 73 MOSTRA D'ARTE CINEMATOGRAFICA VENEZIA CONCORSO

La vicenda è molto semplice e potrebbe essere riassunta così: il film narra la storia di un uomo e di una donna che, in estate in un giardino di una casa di campagna nei pressi di Parigi, parlano di loro stessi e del rapporto con la natura.

 

Più complesso il racconto, nonostante l'ambientazione unica: la casa di campagna e il giardino. Anche se il film inizia con immagini di Parigi da cartolina, statiche, ma valorizzate dalla profondità del 3D. La pellicola, infatti, è girata in tridimensione. E questa è già una scelta significativa per un film di fatto privo d'azione e di ambientazioni, che non siano quelle rammentate. Verrebbe da dire che con questa soluzione tecnica, il regista, non fa soltanto una scelta in funzione estetica (di estetismo ce n'è sicuramente molto), ma anche in funzione tematica per dare visivamente l'idea dei piani sui quali si svolgerà il confronto tra i due e la narrazione, sostenuta tra l'altro da un narratore vero e proprio. Il dialogo è frutto dell'opera di uno scrittore, che vediamo nello studio seduto davanti alla macchina per scrivere. È da lì che vede i suoi personaggi, in giardino, prendere corpo. Nel corso della narrazione, però, non è sempre chiaro se sia lui a dettare le battute ai protagonisti o siano loro ad anticiparle a lui che poi le riporta sulla carta. C'è in qualche modo una situazione simile a quella dei pirandelliani personaggi in cerca d'autore che hanno bisogno di chi gli dia forma e vita, ma poi rivendicano un'esistenza autonoma.

Non va inoltre dimenticato che a segnare la teatralità del film è anche la pièce dellaustriaco Peter Handke da cui è tratto. Mentre il discorso dei piani è evidenziato anche dal fatto che a seconda dei momenti e dei temi del dialogo, il regista, pur nell'estrema staticità del tutto, propone inquadrature diverse: dapprima i due protagonisti sono visti essenzialmente di spalle, poi di fronte, oppure in un'alternanza di primi piani o ancora con la macchina da presa che gli gira intorno.

Un altro elemento fondamentale è la musica. Nella casa di campagna c'è anche un vecchio juke box da cui ogni tanto lo scrittore seleziona un disco. Tra i brani prescelti, che tra l'altro vengono fatti sentire per intero, c'è anche «Perfect day» di Lou Reed il cui ritornello parla, appunto, di un giorno perfetto (come le belle giornate evocate dal titolo del film): «Oh, è talmente un giorno perfetto / Sono contento di averlo passato con te / Oh, è talmente un giorno perfetto / Tu mi fai resistere e andare avanti / Tu mi fai resistere». Un testo che però sembra contraddire alcune affermazioni finali dei due protagonisti secondo cui «non esiste amore felice». In realtà il dialogo non sempre appare logico e comprensibile data la letterarietà del testo e nel caso specifico del proiezione veneziana dalla difficoltà materiale nel seguire i sottotitoli alla versione originale a causa del 3D.

I due, comunque, parlano in qualche modo delle loro esistenze, dell'esperienze sessuali o presunte tali, dellinfanzia, dei ricordi, dellessenza dellestate e di ciò che distingue gli uomini dalle donne: la prospettiva femminile e la percezione maschile. Un tempo si sarebbe parlato di introspezione psicologica.

Sullo sfondo, nella casa che si affaccia sulla terrazza, e dunque sull'uomo e sulla donna compare, come detto, lo scrittore, mentre cerca di immaginare questo dialogo e di batterlo a macchina. Oppure, al contrario, sono i due personaggi, là fuori, che gli raccontano ciò che riversa sul foglio. Alla fine resta comunque solo. Forse non è riuscito nel suo intento: non ha saputo far dialogare i due, far sì che si potessero capire l'uno con l'altra. In particolare, da uomo, non è riuscito a inquadrare l'universo femminile, che appare sfuggente, non meno però di quello dell'uomo, capace solo di fare domande personali alla compagna, limitandosi quando tocca a lui a disquisire di stagioni e di frutti.

In definitiva, quello che sembra prevalere è l'incomunicabilità in un «duello» verbale che non porta a nulla in mezzo al silenzio della campagna figuriamoci nella distrazione dell'attualità, nella brutalità del quotidiano evidenziata nel finale dell'assordante rombo di un aereo. In questo senso, il film di Wenders appare più che altro un'operazione intellettuale, pessimistica, che difficilmente potrà fare prese sul pubblico delle sale dove la pellicola, almeno in Italia, uscirà a inizio novembre. (ANDREA FAGIOLI)

 


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