IL PARTIGIANO JOHNNY
Regia: GUIDO CHIESA
Lettura del film di: Nazareno Taddei sj
Edav N: 283 - 2000
Titolo del film: IL PARTIGIANO JOHNNY
Titolo originale: IL PARTIGIANO JOHNNY
Sceneggiatura: Guido Chiesa, Antonio Leotti
Nazione: ITALIA
Anno: 2000
Presentato: IN CONCORSO ALLA 57MA MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA (2000)
Premi: PREMIO «RAGAZZI E CINEMA»
È la storia di Johnny, studente universitario di letteratura inglese, il quale tornato ad Alba l’indomani dell’8 settembre, deve fuggire perché segnalato come disertore in una lista dei carabinieri. Non accetta di seguire i professori Chiodi e Cocito nelle nascenti bande comuniste, pur convinto di dover combattere con ogni forza il fascismo. Si trova però a incontrare, per le colline delle Langhe, i partigiani «rossi» (guidati da Mosca mediante i suoi emissari), che abbondano troppo facilmente in uccisioni di fascisti, pretendendo addirittura che un partigiano ammazzi anche il proprio padre se fascista.
Dopo un cruento assalto alla caserma dei carabinieri, in cui i compagni uccidono il maresciallo che pure s’era arreso, e dopo un assalto tedesco che ha smembrato il gruppo, Johnny lascia quella formazione e si aggrega alla formazione filomonarchica «azzurra».
Ma anche qui, in seguito ai devastanti rastrellamenti dei fascisti, si trova solo a fare il partigiano, indifeso, con i rischi e la realtà della fame e del freddo, perché tutti gli altri si sono imboscati o nascosti. Egli però rifiuta le possibilità che gli si offrono di sottrarsi all’impegno.
Finalmente, quando alla fine dell’inverno riprendono i lanci dagli aerei inglesi con armi e viveri, resta vittima di un’imboscata fascista. Viene colpito a morte.
Il film è ricavato dall’opera incompleta di Beppe Fenoglio, dal titolo originale non mantenuto «Primavera di bellezza», che fin dal suo apparire (1968) era stato oggetto di accese controversie e parecchie traversie. L’opera concepita fino dagli anni ’50 doveva essere una grande epopea della guerra 1940-’45, incentrata sul personaggio del partigiano Johnny.
Pur avendo io partecipato, modestamente, alla guerra partigiana in Lombardia, non so come essa si sia svolta nelle Langhe e quindi non so dire quanto il film sia fedele agli avvenimenti. Certo è che il film, pur essendo di fiction e non di ricostruzione storica, dà un certo quadro di quegli eventi, che a momenti m’è parso piuttosto ingenuo. Non mi pare infatti che, nelle Langhe, i partigiani fossero tanto poco accorti da farsi cogliere dall’avversario all’improvviso e in piena campagna aperta, attraversando la quale senza opportune precauzioni, voleva dire mettersi come oggetto da tiro al bersaglio.
Ma anche prescindendo da questa forse troppo scarsa corrispondenza tra il film e gli eventi che esso narra (ripeto però che il film non è di ricostruzione storica) e sorvolando anche un po’ sul fatto difficilmente credibile che il partigiano Johnny abbia potuto superare da solo l’inverno di quell’anno, dal complesso risulta chiaramente l’intento tematico dell’autore, che è quello di mostrare il valore di un certo Johnny, il quale pur entrato quasi per forza nelle formazioni partigiane, tuttavia riesce a imbeversene dello spirito antifascista — che era l’urgenza sociale del momento — al punto di rifiutare ospizio, mentre tutti i suoi compagni, di fatto, l’hanno accettato nei momenti di maggior pericolo.
L’accenno all’amore con la ragazza, conosciuta a una festa, mi pare abbia scarso peso narrativo e ancor meno tematico.
Risulta invece chiaramente l’intento, oltre l’esaltazione dell’eroico Johnny, di far conoscere secondo verità, almeno un pizzico di quella storia (non importa se legata all’una o all’altra parte ideologica) e che il parroco delle Langhe sollecita.
Il film, di questi tempi, ha il merito di sfuggire alla strumentalizzazione ideologica di fatti storici importanti della nostra storia abbastanza recente e di schierarsi — p.e. con PORSUZ di Martinelli — dalla parte della verità.
Sotto il profilo di realizzazione artistica, si può notare che gli autori, particolarmente il direttore della fotografia e il montatore hanno cercato toni di esposizione bassi e trattamenti di decolorazione e di «durezza» per emblematizzare il «buio» dei tempi avvolgente l’Italia in quel periodo. Nei rumori di guerra, forse alquanto accentuati come intensità e frequenza, pare non si sia tenuto conto del fatto che i partigiani (almeno in qualche caso) si erano abituati a distinguere dal rumore le armi tedesche, da quelle inglesi e da quelle italiane, proprio per avvertire la concreta situazione in cui si trovavano caso per caso. (Nazareno Taddei sj)