IL PAPÀ DI GIOVANNA
Regia: Pupi Avati
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 363 - 2008
Titolo del film: IL PAPÀ DI GIOVANNA
Cast: regia, sogg., scenegg.: Pupi Avati – scenogr.: Giuliano Pannuti – fotogr.: Pasquale Rachini‘– mus. composta e diretta: Riz Ortolani – cost.: Mario Carlini e Francesco Crivellini – mont.: Amedeo Salfa – effetti visivi: Justeleven – suono: Piero Parisi – interpr. princ.: Silvio Orlando (Michele Casali), Francesca Neri (Delia Casali), Alba Rohrwacher (Giovanna Casali), Ezio Greggio (Sergio Ghia), Serena Grandi (Lella Ghia) – durata: 104’ – colore – locations: Bologna, Maggiano e Roma – produz.: Duea Film in collaborazione con Medusa Film e Sky – produtt.: Antonio Avati – origine: ITALIA, 2008 – distrib.: Medusa Film
Sceneggiatura: Pupi Avati
Nazione: ITALIA
Anno: 2008
Presentato: 65. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2008 - In Concorso
Premi: PREMIO NAZARENO TADDEI, COPPA VOLPI (Silvio Orlando)
La vicenda del film è ambientata quasi tutta a Bologna negli anni che vanno dal 1938 al 1953.
Il racconto inizia con delle immagini fisse in bianco e nero che inseriscono la vicenda in un preciso contesto ambientale e storico: la Bologna del 1938. C’è poi la voce fuori campo di Giovanna che inizia a raccontare; le immagini diventano a colori e prende il via la storia, che procede in modo lineare (a parte un breve flashback che ha il compito di mostrare una crisi isterica avuta da Giovanna in una certa situazione). Protagonista del film, come dice chiaramente il titolo, è Antonio, il papà di Giovanna. Antonio è un uomo buono, mite, generoso. La sua relazione con la moglie lascia evidentemente a desiderare, ma lui sopporta senza recriminare, anzi quasi attribuendo a sé la colpa di non essere riuscito a fare innamorare la moglie dopo 18 anni di matrimonio. Antonio possiede un amore radicale e assoluto nei confronti della figlia, che vede fragile e diversa dalle altre ragazze. Per questo Giovanna ha particolarmente bisogno di protezione e di incoraggiamento. Il suo amore è così forte da rendersi conto solo tardi di aver sbagliato a promettere la promozione ad Antonio: di fatto questo si rivelerà un errore, ma un errore dettato dal profondo desiderio di vedere la figlia felice. Dopo la morte di Marcella, Antonio ha quasi un presentimento ed è felice e sollevato quando viene a sapere che probabilmente il responsabile è stato un maschio («È tutto finito». Ma poi il suo dolore è immenso quando viene messo al corrente che Giovanna ha confessato. Sopporta docilmente le umiliazioni che gli vengono dalla gente e dai rimproveri e dalle scenate della moglie. Cerca un contatto con la madre della vittima per tentare di spiegare, di chiedere perdono, ma inutilmente. Dopo il ricovero in manicomio, la sua missione sembra essere una sola. Licenziato da scuola, segue amorevolmente la figlia, raccontandole delle bugie quando questa chiede della madre. Quando viene a sapere da uno psichiatra che forse la causa di quella condizione di Giovanna è da ricercarsi nel comportamento della madre (con cui la ragazza si confrontava) e dal suo rapporto con Sergio, Antonio non dà in escandescenze: affida Delia a Sergio e se ne va a vivere in un rustico per stare vicino alla figlia. Nel film esiste un filone narrativo che si potrebbe definire storico: il contesto politico, il fascismo, la soppressione della Camera dei deputati, l’alleanza dell’Italia con la Germania, le leggi razziali, la liberazione, le esecuzioni. Ma tale filone rappresenta un inevitabile contesto narrativo che permette alla storia di procedere e di prendere una certa piega. Non ha funzione tematica. Quando nel 1946 Giovanna viene liberata al suo fianco c’è il padre, che la riporta a casa e si prende cura di lei. Poi, dopo sette anni, l’incontro fortuito al cinema con Delia. Michele vorrebbe andarsene, ma Giovanna invita la madre ad andare con loro. Le immagini ritornano in bianco e nero e la voce fuori campo di Giovanna ritorna, come all’inizio:«Lei venne a vivere con noi…ce l’avevamo fatta…lui lo sapeva». Forse non è vero che Antonio sapesse che le cose sarebbero andate così. Ma, sembra dire il regista, questa è la logica delle cose, è la logica dell’amore che, prima o poi, e nonostante tutto, produce i suoi frutti. (Olinto Brugnoli)