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COUS COUS



Regia: Abdellatif Kechiche
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 353 - 2007
Titolo del film: COUS COUS
Titolo originale: LA GRAINE ET LE MULET
Cast: regia e scenegg.: Abdellatif Kechiche – girato a bordo di una nave nel porto di Sète da ottobre a dicembre 2006 – fotogr.: Lubomir Bakchev – scenogr.: Benoit Barouh – mont.: Ghalya Lacroix, Camille Toubkis – suono: Nicolas Waschkowski, Olivier Laurent, Eric Legarcon, Eric Armbruster – cost.: Maria Beloso Hall – interpr.: Habib Boufares (Slimane), Hafsia Herzi (Rym), Faridah Benkhetache (Karima), Abdelhamid Aktouche (Hamid), Bouraouia Marzouk (Souad), Alice Houri (Julia), Cyril Favre (Serguei), Leila D’Issernio (Lilia) – durata: 151’ – colore – produtt.: Pierre Grunstein – produz.: Hirsch/Pathe Renn Production – origine: FRANCIA, 2007– distrib.: Lucky Red (gennaio 2008
Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche
Nazione: FRANCIA
Anno: 2007
Presentato: 64. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2007 - In Concorso
Premi: PREMIO PADRE NAZARENO TADDEI - PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA – PREMIO MARCELLO MASTROIANNI (a Hafsia Herzi) ALLA 64A MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA, VENEZIA, 2007

È la storia di Slimane, un tunisino emigrato in Francia da tanti anni, con figli e nipoti nati nel paese transalpino, che attraversa un brutto momento: anzitutto l’azienda per la quale lavora (un cantiere navale dedito al restauro delle imbarcazioni) sembra versare in cattive acque e quindi gli diminuisce l’orario di lavoro e – poco dopo – viene addirittura licenziato, sia pure con corresponsione di liquidazione e indennità di disoccupazione; la famiglia è l’altro problema, in quanto il nostro Slimane è separato dalla moglie – che visita regolarmente tutti i giorni per avere il contatto con i figli e vive con la proprietaria di un piccolo albergo, con la quale ha un bel rapporto estensibile anche alla figlia che considera come fosse sua.
Dopo il licenziamento Slimane, che viaggia sempre a bordo di un vecchissimo motorino, entra nell’idea di «mettersi in proprio» e, in particolare, cerca di ricavare un ristorante da una barca che gli era stata affidata per la demolizione e che invece lui acquista per poche migliaia di euro: il nuovo esercizio servirà ai clienti, almeno per un primo momento, un solo piatto, il «couscous».
L’impresa è titanica, non solo per la ristrutturazione del barcone decisamente malmesso, ma anche per le autorizzazioni ed i permessi che occorrono per mettere in piedi una tale iniziativa e per le difficoltà che la banca frappone alla concessione di un mutuo.
Ma Slimane non demorde, forse capisce che questa è l’ultima occasione che gli si offre per fare qualcosa di positivo non solo per lui ma soprattutto per «la famiglia», intendendo quella originaria e quella acquisita.
I permessi latitano, i mutui ancora debbono essere deliberati ed allora Slimane organizza una sorta di «apertura» del locale, pur senza le autorizzazioni di legge, allo scopo di mostrare ad amici ed autorità la bellezza e funzionalità dell’ambiente: piatto unico della serata, ovviamente uno spettacolare «couscous», pietanza tipica del mondo arabo, di cui la moglie di Slimane è una autentica autorità culinaria.
La cosa è varata: la moglie di Slimane, aiutata dalle figlie e dai figli, cucinerà la pietanza base della serata; le altre figlie ed i generi saranno utilizzati per servire in tavola ed i figli per lavoretti vari di maggiore fatica: il tutto sembra generare una specie di armonizzazione della famiglia originaria di Slimane.
La serata inizia con l’attracco del barcone al molo previsto che, guarda caso, è vicinissimo all’albergo della nuova compagna di Slimane; le autorità arrivano con le loro macchine lucide e splendenti, gli amici invece a piedi o con piccole utilitarie: in breve la sala da pranzo è riempita, la piccola orchestrina, formata da amici del tunisino è al suo posto, il padrone di casa – il vecchio Slimane – viene salutato e «riverito» da tutti e si sta aspettando solo il protagonista assoluto della serata: il couscous.
Il piatto, composto da quattro pentoloni tipo militare, di cui uno per il brodo, uno per il grano, uno per la verdura ed uno per il pesce (questi contenuti verranno assemblati al momento della portata in tavola della pietanza), è stato cucinato a casa della moglie di Slimane e viene trasportato da due suoi figli al ristorante/barcone.
Arrivata a destinazione, la varia mercanzia viene opportunamente scaricata dall’auto, ma ad un certo punto dell’operazione uno dei figli di Slimane (il piú scapestrato) intravede tra gli ospiti una delle sue «amanti» e se ne scappa con l’auto, dalla quale ancora non è stato scaricato il pentolone con il grano, senza il quale non si compone la pietanza da tutti attesa; mentre si cerca una soluzione al problema, la figlia della proprietaria dell’albergo, intrattiene gli ospiti – ormai spazientiti per il ritardo – con una splendida e sensualissima danza araba, mentre Slimane corre a casa della moglie – con il proprio motorino scassato – per vedere se lei è in grado, in poco tempo di cuocere una nuova pentola di grano; la donna non è in casa e il povero Slimane che ha tutti quegli ospiti importanti che lo aspettano, cerca di rientrare precipitosamente nella zona del barcone, sennonché all’uscita trova tre bambini – forse arabi – che, dopo avergli rubato il vecchio motorino, lo sfottono cercando di non farsi prendere e irridendolo da lontano.
Al ristorante intanto la situazione è stata tamponata per il momento dalla danza araba della ragazza e, per quanto riguarda il couscous, ci penserà la compagna di Slimane, che abita lí vicino, ad andare precipitosamente a casa ed a cucinare il grano per il piatto, cosa che salverà la serata; intanto Slimane – distrutto dai vani inseguimenti ai tre ragazzini terribili – lo troviamo accasciato vicino ad un albero: l’autore non indica se l’uomo si riprenderà oppure se‘è morto; di fatto ha già compiuto «l’impresa» che non è soltanto quella di aver realizzato il ristorante sul barcone, ma è soprattutto quella di essere riuscito a unire la sua famiglia – tutta, compresa la «seconda» famiglia – che per la riuscita della serata particolare si mette completamente a disposizione della comunità.
Si vede subito che il film nasce da qualcosa sentita assai dall’autore che è un tunisino emigrato in Francia da vari anni; questo bisogno impellente di realizzare qualcosa di grande per recuperare la propria dignità e per far vedere alla propria famiglia di non essere un fallito come loro potrebbero pensare.
Ed in questa tematica, che prende le mosse dal desiderio degli emigranti di conquistare un proprio spazio vitale, l’autore ci mette varie idee parziali che fanno tutte perno sull’intolleranza, piú o meno espressa dei francesi (in questo caso) nei confronti di questi nuovi arrivati che sembrano prendere una parte di quello che non è loro: i discorsi delle varie «autorità» sul barcone di Slimane mentre aspettano il «couscous» sono tutti rivolti ad una programmazione di impedimenti che Slimane dovrà subire da parte dei francesi: «cosa crede, che diamo un’autorizzazione ad uno come lui??!».
Ma la tematica principale – quel desiderio di affermazione – è realizzata con una struttura narrativa che ha il pregio di seguire lo scorrere degli eventi e di realizzare una sorta di «documentario» della vita dei vari personaggi: ognuno dei figli di Slimane – sposatosi con francesi – manifesta dei problemi, ma tutti posti sul piano della risoluzione personale e nessuno irrisolvibile; tutti del resto saranno presenti all’inaugurazione del ristorante, escluso la «pecora nera» della famiglia, un giovane sposato con una francese che sembra fare di mestiere il bellimbusto con tutte (a proposito, ricordate che è quello che combina il disastro della mancanza del grano che gli rimane in macchina dopo la fuga precipitosa da una amante con marito).
I legami di sangue, sembra dire l’autore, si rivelano superiori ad ogni situazione che la vita può frapporre in una famiglia; i legami di sangue diranno in fondo che non c’è niente che potrà scalfire questa unione, niente che si frapporrà tra i vari elementi; ed è sintomatico che anche le due «new entry» nella famiglia di Slimane (la proprietaria dell’albergo e la figlia) saranno coloro che cercheranno piú di tutti di risolvere l’inghippo nato dalla mancanza del grano: sembrano anch’esse fare parte della famiglia di Slimane e questa è una bella soddisfazione per l’anziano immigrante.
Ci resta da commentare la fine non dichiaratamente positiva e neppure negativa, per quanto riguarda la sorte di Slimane: il vecchio si accascia a terra dopo aver inutilmente rincorso i tre ragazzacci che sono a bordo del proprio motorino; sarà morto, colpito da infarto, oppure si riprenderà e raggiungerà, in qualche modo, il proprio ristorante e parteciperà alla festa in suo onore?
All’autore sembra importare poco della sorte di Slimane; egli ha compiuto questa operazione per ricompattare la famiglia – quella vecchia e quella nuova – e quindi il suo futuro è poco interessante ai fini della tematica; forse serviva un «sacrificio» per ottenere l’aggregazione dei vari componenti delle due famiglie ed allora, ben venga questo ruolo affidato a Slimane che ormai ha compiuto il proprio arco terreno e non ha altre aspirazioni se non la serenità della sua famiglia.
Il film è ben girato e ben interpretato ed ha anche un autentico valore umano se consideriamo l’impegno che il vecchio Slimane pone nel tenere compatta la propria famiglia; evidentemente alla «salvezza» di quest’ultima è affidato un valore che possiamo considerare «primario» ed universale e questo assunto attraversa l’intera narrazione finendo per confluire nell’idea tematica.
Gli attori, tutti di scuola francese, non mancano un colpo e sono sempre presenti a se stessi: fra loro vorrei segnalare una eccezione e cioè la nuora di Slimane, una francese, moglie dello scavezzacollo di famiglia, che interpreta in modo magistrale e per due volte, delle scene, in cui si atteggia a esagitata, a «fuori di testa», a esasperata dai tradimenti del marito: il tutto con una naturalezza e con una espressività che è degna di menzione.
Un’ultima notazione: il ristorante prende il nome da quello che era il nome della barca – La source, la sorgente – ed infatti se guardiamo bene, tutto nascerà (sorgerà) da quella fatidica serata in quel fatidico ambiente, con quei personaggi che stanno imboccando una nuova strada nel nome di una compattezza e di una unità di valori e di intenti. (Franco Sestini)

 


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