Il Treno per il Darjeeling
Regia: Wes Anderson
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 364 - 2008
Titolo del film: IL TRENO PER IL DARJEELING
Titolo originale: THE DARJEELING LIMITED
Cast: regia: Wes Anderson – sogg., scenegg.: Wes Anderson, Roman Coppola, Jason Schwartzman – fotogr.: Robert D. Yeoman – scenogr.: Mark Friedberg – mont.: Andrew Weisblum – suono.: Jacob Ribicoff – cost.: Milena Canonero – effetti: Henrik Fett – arredamento: Aradhana Seth, Suzanne Caplan Merwanji – interpr. princ.: Owen Wilson (Francis L. Whitman), Adrien Brody (Peter L. Whitman), Anjelica Huston (Patricia Whitman la madre), Jason Schwartzman (Jack L. Whitman), Amara Karan (Rita), Camilla Rutherford (Alice), Irfan [Irrfan] Khan (il padre), Natalie Portman (ex fidanzata di Jack), Wallace Wolodarsky (Brendan), Barbet Schroeder (il meccanico), Bill Murray (l’uomo d’affari) – durata: 91’ – colore – produtt.: Wes Anderson, Scott Rudin, Roman Coppola, Lydia Dean Pilcher – produz.: American Empirical Pictures - origine: USA, 2007 – distrib.: 20thCentury Fox Italy
Sceneggiatura: Wes Anderson, Roman Coppola, Jason Schwartzman
Nazione: USA
Anno: 2007
Presentato: 64. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2007 - In Concorso - Premio LEONCINO D'ORO
È la storia dei tre fratelli Whitman che si riuniscono su un treno diretto al Darjeeling, una regione dell’India dove si trova un Convento nel quale sembra che si sia rifugiata la madre dei tre giovani; vediamoli i tre fratelli: Peter è praticamente scappato di casa alla vigilia della nascita di suo figlio, forse impaurito da questa nuova responsabilità; Francis, il maggiore, il vero organizzatore del viaggio, è reduce da un brutto incidente motociclistico che lo ha lasciato lievemente zoppicante, ma bendato alla testa ed al volto; Jack, il piú giovane, aspirante scrittore di storie delle quali riesce ad intravedere la fine ma non il resto della vicenda, è reduce da un soggiorno a Parigi, all’Hotel Chevalier, dove viene raggiunto dalla fidanzata con la quale ha uno strano rapporto conflittuale.
Lo scopo del viaggio è quello di «riuscire ad andare d’accordo», dopo tutta una serie di burrascosi rapporti che li hanno allontanati l’uno dall’altro (è piú di un anno che non si parlano), a causa del carattere che ciascuno si ritrova e che non è certo il piú indicato per istaurare buoni rapporti: immaturi, molto snob, dispettosi, questi alcuni dei lati negativi del carattere dei tre giovani.
Nella prima parte del viaggio, riescono ad acquistare un serpente velenoso in un Bazar di una sperduta località, mentre Jack – il dongiovanni della compagnia – conquista la bella inserviente del treno ed ha con lei un fugace rapporto sessuale nella toilette; il tutto intercalato con piccoli dispetti e acide battute di spirito che l’uno rivolge all’altro.
Dopo vari litigi con il capotreno, vengono fatti scendere ed abbandonati insieme alle loro 11 valigie tutte di gran pregio (la componente snobistica dei tre fratelli) in una sperduta località in attesa del prossimo treno (tra 24 ore): una volta scesi sulla nuda terra, danno inizio ad una serie di velleitari riti magici, tutti tesi alla riconquista della solidarietà tra i tre fratelli «vogliamoci bene almeno come amici» è il motto; ovviamente non ne andrà bene neppure uno e i tre si ritroveranno uguali a prima, sul prossimo treno diretto alla località dove vive la madre: è un monastero dove lei è diventata una suora attivista, pur restando una madre immatura e codarda, tanto da abbandonarli nuovamente poco dopo il loro arrivo, quasi avesse una sorta di paura dei propri figli.
Il loro «viaggio spirituale» – cosí viene definito da Francis – prosegue ma senza che niente avvenga nel verso sperato dai tre; al termine saranno sostanzialmente gli stessi di quando hanno dato inizio al viaggio, anche se alcune rivisitazioni della memoria (il funerale del padre) li portano a confrontarsi con delle realtà che non conoscevano o che avevano profondamente sepolto nel loro inconscio.
Riusciranno a diventare almeno amici, come spera Francis, oppure ognuno ritornerà nella propria vita e la frattura continuerà sempre piú insanabile? Il film non fornisce alcuna indicazione finale, anche se al termine del viaggio – vera introspezione psicologica come usa nel cinema – i tre fratelli appaiono lievemente cambiati, non verso gli altri ma almeno verso se stessi: piú che altro sembra una «speranza» che l’autore affida ai giovani di poter risolvere le loro difficoltà caratteriali.
Il film ha uno strano «prologo», dal titolo «Hotel Chevalier», che ci mostra il giovane Jack mollemente sdraiato su un letto, senza far niente, senza dire niente, fino al momento in cui arriva la fidanzata che gli annuncia un suo prossimo viaggio in Italia; i due stanno per avere un rapporto sessuale, ma questo viene interrotto da una frase della ragazza che dice: «se ora facciamo l’amore, domani mattina quando ti lascerò mi sentirò una carogna»; dopo i regolamentari titoli di coda del cortometraggio, si attacca con il lungometraggio del film ed assistiamo all’inseguimento di un treno da parte di un maturo signore che, durante la corsa viene superato da un giovane che lo guarda appena: è Peter che riuscirà, contrariamente al maturo signore, a prendere il treno; e da lí inizia il film; da notare che il maturo signore – interpretato da uno stralunato Bill Murray – appare anche alla fine del film e sempre «a terra», mai sul treno, come ad indicare che la possibilità di usare il treno per ricercare «se stessi» è fattibile solo ai giovani ed è precluso agli anziani.
Abbiamo poi la parte centrale del film con l’incontro tra i tre fratelli e la dichiarata volontà di cercare di essere «almeno amici» ed i tentativi che vengono posti in atto sia spiritualmente che magicamente.
In questa parte centrale ha grosso peso l’incontro con la madre e la descrizione del suo personaggio, tanto dedito alla causa degli estranei, quanto disinteressata ai problemi dei figli: prima di abbandonarli, per l’ennesima volta, lascia loro un ultimo ammonimento, quello di «stare attenti alle tigri».
Nella terza ed ultima parte, i tre giovani concludono il loro viaggio spirituale direi quasi in forma circolare, arrivando cioè al punto da dove è iniziato, anche se i tre paiono aprirsi all’imprevedibilità della vita dopo che si sono liberati dell’imponente fardello delle undici valigie, autentici marchi della loro snobistica immaturità; e sembrano accettare anche la loro famiglia cosí com’è, senza volerla cambiare o forgiare ai loro desideri.
Ed il finale quindi, piú che un punto d’arrivo sembra la partenza per un nuovo possibile viaggio, forse – auguriamocelo, ma l’autore non lo dice – per una vita diversa, improntata su valori autentici e non su superficiali ed immaturi scatti di cattiveria.
Comunque, pur nella bizzarria della struttura narrativa, tutta permeata di grottesca e raffinata comicità, il dito dell’autore appare puntato nei confronti della famiglia, vero motore di felicità o dolore nella nostra società; ma questa famiglia viene vista ed accettata dal regista cosí com’è, senza permettersi di trinciare giudizi e cosí anche la figura della madre – interpretata da una superba Anjelica Huston – pur nel suo scombinato modo di approcciare la vita, viene salvata e considerata per quello che è: colei che ha generato i tre giovani e, ci sarebbe da aggiungere, da una cosí come potevano venire meglio?
Scherzi a parte, la famiglia è il problema ed al tempo stesso la soluzione dei guai del mondo: senza non possiamo stare (i tre fratelli che si rincontrano dopo anni di lontananza) ma quando la viviamo pienamente ne sentiamo tutto il peso psicologico.
Il film è interessante e avrebbe anche potuto avere una bella idea tematica se la struttura narrativa fosse stata impostata con maggiore precisione e fosse stata finalizzata all’espressione anziché – come in molte parti – ad un gratuito calligrafismo che ci porta a svicolare dal discorso di base. (Franco Sestini)