Centochiodi
Regia: Ermanno Olmi
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 350 - 2007
Titolo del film: CENTOCHIODI
Cast: regia, sogg., scenegg.: Ermanno Olmi - fotogr.: Fabio Olmi - mus.: Fabio Vacchi - mont.: Paolo Cottignola - scenogr.: Giuseppe Pirrotta - cost.: Maurizio Millenotti - girato a Bologna, lungo gli argini del Po e nella provincia di Mantova - voci: Adriano Giannini (Professorino), Omero Antonutti (Monsignore), Dario Penne (Preside), Giuseppe Gandini (Postino) - interpr. princ.: Raz Degan (il professore), Luna Bendandi, Amina Syed, Michele Zattara, Damiano Scaini, Franco Andreani - durata: 92min. - colore - produz.: Luigi Musini e Roberto Cicutto per Cinema11 e Rai Cinema, realizzato col contributo del Ministero Beni e Attività Culturali Direzione Cinema origine: ITALIA, 2005 - distrib.: Mikado
Sceneggiatura: Ermanno Olmi
Nazione: ITALIA
Anno: 2005
Dopo aver realizzato due imponenti film epici in costume (IL MESTIERE DELLE ARMI, incentrato sulla figura di Giovanni dalle Bande Nere, e CANTANDO DIETRO I PARAVENTI, su una mitica piratessa cinese del XVIII secolo), Ermanno Olmi era tornato a raccontare storie piú dimesse e legate alla quotidianità realizzando il primo episodio di TICKETS, film presentato fuori concorso al Festival di Berlino nel 2005 e firmato, oltre che da lui, da Abbas Kiarostami e Ken Loach. In ogni caso, al di là delle differenze di argomento e di stile, il regista bergamasco ha sempre proseguito in un suo itinerario di ricerca interiore e valoriale, sia sul piano umano, sia su quello piú specificamente religioso-cristiano, molto spesso all’interno di un’originalità creativa che privilegia l’orientamento didascalico, lo stile parabolico e, talvolta, la provocazione polemica. Come in questa sua ultima opera, che, stando alle dichiarazioni dell’autore (v. p. 8), dovrebbe essere anche l’ultima delle sue opere (per lo meno sul piano del lungometraggio a soggetto).
La vicenda. Un giovane professore di filosofia dell’Università di Bologna, il cui prestigio scientifico è riconosciuto a livello internazionale, in preda ad una crisi mistico-esistenziale, compie un gesto criminoso e dal forte significato simbolico: con grossi chiodi da carpentiere inchioda sul pavimento di legno e sui banchi della Biblioteca storica dell’Università moltissimi libri (manoscritti e, forse, incunaboli) di grande prestigio e di enorme valore, un vero e proprio «patrimonio dell’umanità». Poi sfugge alle ricerche delle autorità e vaga senza meta, con la sua fuoriserie, nella Pianura padana. Attratto dal paesaggio tranquillo e pacificante del Po, abbandona quasi tutto (tiene con sé solo un po’ di soldi, la carta di credito, il computer e pochi indumenti) e si rifugia in un vecchio rudere, di cui prende possesso. Poco alla volta scopre un mondo nuovo, sia dal punto di vista naturale che da quello relazionale, a contatto con un’umanità semplice e talvolta rozza, ma ricca dal punto di vista umano, autentica e genuina. Poco alla volta fa amicizia con la gente del luogo, che lo accoglie con la massima naturalezza e lo aiuta a restaurare il rudere. Una giovane panettiera (la Zelinda), attratta dalla sua bellezza e dal suo fascino, si innamora di lui.
La gente, per il suo aspetto e la sua originalità, lo chiama, affettuosamente, «Gesú Cristo» e ricorre a lui per chiedere aiuto, riconoscendogli un particolare carisma. Soprattutto quando, in base ad un’ordinanza delle autorità, riceve l’ordine di sfratto da quegli insediamenti abusivi, costruiti su terreno demaniale, che da sempre occupava. Il professore li incoraggia a resistere, per conservare intatto quel patrimonio di umanità che è presente in mezzo a loro, e li aiuta pagando con la propria carta di credito la pesante multa loro comminata.
Ciò comporta però la sua scoperta da parte dei carabinieri ed il suo arresto. Dopo un po’ di tempo la gente del posto viene a sapere che al professore sono stati concessi gli arresti domiciliari. Tutti aspettano il suo ritorno per fare con lui una grande festa. Qualcuno l’ha anche visto arrivare. Ma, come conclude il postino, «Sera dopo sera venne l’autunno e già si presagiva l’inverno. Ma di quel tale che tutti chiamavano Gesú Cristo nessuno seppe piú nulla».
Il racconto inizia con l’immagine, extra-vicenda e altamente simbolica, del mare (spiaggia e piccole onde) su cui è scritta una didascalia che fornisce già la chiave di lettura del film: «Ma i libri – pur necessari – non parlano da soli» (Raymond Klibansky)1.
La struttura del film è prevalentemente lineare (anche se, come si vedrà, non mancano numerosi flasback e anche un momento di montaggio parallelo) e divide la vicenda in alcune macrosequenze che tentiamo di analizzare.
La scoperta del «misfatto» e le indagini.
Il film non incomincia presentando subito la figura del protagonista (il professore), ma con la traumatica scoperta da parte di Libero, il guardiano, della «disgrazia», una vera e propria «strage degli innocenti», come lui stesso la definisce: decine e decine di libri inchiodati all’interno della Biblioteca storica. Dato l’allarme, arrivano, nell’ordine, i carabinieri, un anziano monsignore («un sant’uomo di chiesa, che ha dedicato l’intera esistenza a questi libri»), il preside, la procuratrice. Tra indagini e interrogatori, cominciano a nascere sospetti circa l’autore del gesto criminale, ma l’autore inizia ad introdurre anche elementi tematici che, poco alla volta, chiariscono il significato di quel gesto dimostrativo (anche se solo nella parte che precede il finale sarà possibile comprenderlo pienamente). Piccolo particolare: quando i carabinieri accorrono e chiedono: «Ci sono morti… feriti… ci sono persone in pericolo?», Libero risponde con convinzione: «Peggio… peggio». Gli interrogatori procedono con ordine, dando vita ad una serie di flashback che visualizzano quanto viene riferito dai testimoni. Non mancano le illazioni e i giudizi. C’è chi pensa che si tratti di un gesto di un pazzo squilibrato e che ci sia aria di terrorismo politico o religioso; c’è la procuratrice che osserva: «Se non suonasse irriverente verrebbe da dire che si tratta dell’opera di un artista geniale»; c’è Libero che avanza sospetti su un ragazzo che il giorno precedente, ultimo giorno di lezione prima delle vacanze estive, faceva fotografie ai suoi compagni: «Era un volto che non avevo mai visto prima»; poi parla di una ragazza orientale (dal vestito); infine ricorda di aver raccomandato al monsignore di chiudere «la finestra in fondo, che di notte entrano i pipistrelli a farsi il nido». Interviene il monsignore, che conferma: «È capitato anche questo: i libri amano il buio, come i pipistrelli; la luce del giorno li rovina». È a questo punto che entra in scena il professore, anzi, «il professorino» (chiamato cosí perché «lo scambiano per uno studente»). Lo vediamo in compagnia del monsignore in una sequenza particolarmente significativa perché verrà ripetuta nella parte finale. Il monsignore parla dei «suoi» libri: «I libri non sono forse la migliore compagnia? Mi basta toccarli, i miei libri, anche solo sfiorarli, che subito li riconosco e mi torna in mente tutto quello che in tanti anni mi hanno detto. Ogni sera, quando chiudo questo cancello, prima di andarmene, mi volto indietro a guardarli ancora una volta. Abbandonare questi amici fedeli, anche solo per una notte, mi pare quasi di tradirli». Ce n’è abbastanza per capire che qui non si tratta di amore per i libri, ma di una vera e propria idolatria dei libri, ritenuti molto piú importanti delle persone in carne ed ossa. Questa sequenza è importante anche per i modi semiologici: il monsignore e il professorino sono ripresi dall’alto e risultano piccoli, quasi schiacciati da una monumentale libreria carica di libri sui quali campeggiano i busti di personaggi illustri (anche in precedenza tra i libri e le persone si vedevano spesso le sbarre del cancello che, figurativamente, rappresentavano una barriera, una divisione). Ed è significativo che, subito dopo questa sequenza, tramite la ricostruzione del ragazzo che faceva le fotografie, vengano rievocate le parole del professorino in due diverse occasioni. La prima si verifica al momento del commiato dagli studenti prima delle vacanze: «Auguro a tutti una buona estate; ma prima di lasciarci voglio congedarmi da voi con un pensiero di Karl Jaspers, uno dei fondatori dell’Esistenzialismo: “Viviamo in un’epoca in cui ogni spiritualità si converte in profitto. Tutto viene fatto in vista di un guadagno. Un’epoca in cui la vita stessa è una mascherata; in cui la felicità del vivere è falsa come l’arte che la esprime. In una simile epoca di perduta genuinità è forse la follia la soluzione per la nostra esistenza?”. Buona estate». La seconda avviene nel momento del dialogo tra l’insegnate e la ragazza indiana che sta preparando una tesi sul ruolo della figura femminile all’interno delle grandi religioni dal titolo suggestivo «La donna complice di Dio». Di fronte alla ragazza che afferma che per la sua gente l’unica certezza è la religione («È l’unica verità che conoscono»), il professore obietta: «La verità è che la religione non salva il mondo, non ne fa un luogo migliore. Si guardi attorno. Siamo circondati dal sapere universale. Quanta verità è stata proclamata in questi libri. A cosa sono serviti? Ad ingannarci gli uni con gli altri». La m.d.p. riprende dal basso quei libri imponenti e quei busti austeri in una triste oscurità; mentre subito dopo vediamo la ragazza sull’aereo con una luce che le passa sul viso. Si ritorna nella Biblioteca. Il professore prende la mano alla ragazza e continua: «Mi dia la sua mano. Sente il calore? C’è piú verità in una carezza che in tutte le pagine di questi libri». Poi i due si baciano. Il racconto del ragazzo delle foto viene contestato dal monsignore, che non può accettare l’idea che quel professore, che gli aveva confidato la sua propensione per i voti sacerdotali e che aveva sempre manifestato il suo profondo interesse per l’alto pensiero filosofico, possa aver baciato una ragazza o, addirittura, possa aver compiuto quel gesto inconsulto. Ma le parole del negoziante di ferramenta che aveva venduto i chiodi al professore sembrano non lasciare adito a dubbi: l’autore del misfatto è proprio il professore e le ragioni del suo gesto emergono chiaramente dalle sue parole che esprimono sfiducia nella verità che viene solo dai libri.
La fuga e l’immersione nel mondo della natura.
Il professore, camuffandosi, riesce a dileguarsi e ad allontanarsi dalla città con la sua splendida automobile. La sua è certamente una fuga da un mondo che ormai gli appare inautentico, anche se, probabilmente, non sa dove andare. La prima cosa che fa è quella di liberarsi dal cellulare che squilla e che sembra volerlo riportare indietro. Si ferma a mangiare in una trattoria, dove incomincia a incontrare della gente diversa da quella che era abituato a frequentare. Poi riparte e, verso sera, arriva vicino al Po, sul quale scorre placidamente un battello dal quale provengono le note della canzone Non ti scodar di me… È come una sirena che lo incanta e che gli fa prendere una decisione improvvisa e imprevedibile. Ferma la macchina, poi, a piedi, va su un ponte e guarda quelle acque maestose e tranquille. Ripreso dal basso in un leggero controluce, getta le chiavi della macchina nel fiume. Poi si libera della giacca e dei documenti e si inoltra in mezzo all’erba dell’argine dove dorme immerso in una natura sconosciuta, ma che si preannuncia amica (l’insetto luminoso e, al mattino la chiocciola e le farfalle. mentre spunta il sole). Sorpreso poi da un temporale, si rifugia nella casa diroccata, dove brucia, nel camino, il suo ultimo lavoro filosofico dal titolo «Pensiero dinamico e metodica». Le pagine bruciate si trasformano in calore che illumina il suo viso. Il professore è entrato a contatto con il mondo della natura, che sembra diventare per lui fonte di altra verità.
La scoperta di un altro mondo relazionale: primi approcci.
Dopo la natura, la gente. È gente nuova, diversa, quella che incontra il professore. Gente semplice, umile, a volte un po’ volgare nelle battute, ma trasparente e vera. Con la quale è facile entrare in relazione, anche senza parlare molto. Quando il protagonista si reca al mercato del paese per comperare una roncola per estirpare le erbacce e un lettino pieghevole per sdraiarsi al sole, dialoga con il postino, attira l’attenzione della Zelinda, viene salutato da una donna in bicicletta che non l’aveva mai visto (con un «Buongiorno» che sembra veramente significare Buongiorno)2 . Sono i primi approcci con un mondo nuovo, che sembra fuori dal tempo, ma che ha tutto il sapore della genuinità e della verità. Ed ecco tre uomini che lo guardano incuriositi e compiaciuti mentre lui ripulisce la casa dagli arbusti (e lui, istintivamente, li saluta con un gesto della mano); ecco il postino che attacca discorso e che si offre di aiutarlo nella sua impresa; ecco Zelinda che, chiaramente attratta da lui, gli offre dei servigi. Ma all’interno di questo mondo incominciano a presentarsi anche elementi di disturbo e di pericolo, come il pesce siluro, che viene dal lago d’Aral e che distrugge tutto, e l’elicottero che passa per la disinfestazione, da cui è necessario proteggersi. È interessante notare che in questo blocco narrativo c’è un solo flashback che presenta i libri inchiodati nell’oscurità della biblioteca. Tale immagine viene montata, per contrasto, con le argentee e magiche acque del fiume (riprese col teleobiettivo), cosí come poco prima l’autore aveva mostrato, sempre per contrasto, il pesce siluro e il placido fiume con sullo sfondo un’enorme e splendida luna. Inoltre, piú avanti, il primo piano del pesce siluro non può non ricordare la simbolica mostruosa cernia del film LUNGA VITA ALLA SIGNORA!.
Con un breve montaggio parallelo l’autore presenta poi il recupero della macchina e dei documenti da parte dei carabinieri che avanzano l’ipotesi della morte del professore (forse un suicidio).
La piena immersione in questo mondo.
Scoperta questa nuova realtà, il professore l’assume pienamente, condividendola fino in fondo con le persone che lo circondano. A partire dalla balera, dove viene invitato a ballare dalla Zelinda e dove si crea un clima magico di comunione e di partecipazione che investe tutti. Come nel caso della canzone Non ti scordar di me… che, dopo essere stata cantata nella modesta balera all’aperto, viene continuata dalla gente che balla sul battello sfavillante di luci, che scivola sulle placide acque del fiume. La condivisione porta alla solidarietà. E tutti si danno da fare per aiutarlo a sistemare la «sua casa» che diventa ora una «vera casa». In questo blocco narrativo continuano ad essere evidenziati gli elementi di pericolo per questa comunità, con la presenza minacciosa di un motoscafo (accompagnato da una musica dissonante) che esplora la zona e con l’intervento di uomini che disturbano il quieto vivere della gente (la maestra Beniamina che scrive le sue poesie e un pittore un po’ sempliciotto che trae ispirazione da quel paesaggio) cominciando a prendere delle misure. Ma la cosa piú rilevante consiste nell’accentuazione di un elemento già accennato in precedenza ma che diventa sempre piú importante, quello «cristologico». Come si è detto, già prima era presente qualche riferimento alla figura di Gesú (il ragazzo della ferramenta aveva parlato di capelli «alla nazarena»; il professore stesso aveva parlato di «pietra angolare»). Ma ora questi riferimenti diventano (e lo diventeranno ancora di piú) sempre piú insistiti ed espliciti. «Da dove hanno schiodato quel Cristo?», chiede scherzando un anziano quando lo vede nella balera. «Anche a Gesú Cristo piacevano le donne», ribatte un altro quando lo vede ballare con la Zelinda. «Ehi, Gesú Cristo, sai trasformare l’acqua in vino?», chiede allegramente un terzo. E non è un caso che, dietro loro richiesta, il professore, aprendo una bottiglia di vino, racconti il miracolo delle nozze di Cana e concluda con parole profonde: «Dicono i saggi che il vino è fatto per essere bevuto con gli amici, ma anche con i nemici, in pace». Finora il professore ha ricevuto molto da questa gente e si sente in dovere di ringraziare, con sincerità. Ma ora è pronto a ricambiare e a dare a sua volta.
La tutela di questo mondo e una nuova consapevolezza.
Poco alla volta, quasi impercettibilmente, questa gente semplice scopre nel professore un amico, una sorta di fratello maggiore, una guida. Ora è lui che dà, senza riserve. A quel padre triste che continua a sognare un figlio che ritiene perduto, il professore racconta la parabola del Padre misericordioso, alimentando in lui la speranza e un nuovo modo di vivere l’amore con la moglie. È disponibile ad ascoltare e suscita le confidenze della Zelinda che, innamorata di lui, si sente per la prima volta trattata da persona («Nessuno mi ha mai abbracciata sul serio») e appoggia fiduciosamente la sua testa sulla spalla di lui, sognando di ballare con lui – loro due soli – su quel battello illuminato che continua a passare seguendo la corrente del fiume. Quando arriva il messo comunale ad annunciare la realizzazione del grande porto fluviale del medio Po con relativo ordine di sgombro, la gente si rivolge a lui per avere aiuto: «Tu sai trovare le parole giuste». Ma lui ribatte: «E invece dovete dirlo voi, con le vostre parole. Quello che vi viene in mente sarà la cosa giusta da dire». L’insegnamento piú grande è forse proprio questo: ognuno deve valorizzare le proprie potenzialità, far emergere i propri talenti, far parlare quello Spirito che alberga in ogni uomo. E quando viene sanzionata una multa pesantissima per aver occupato senza regolare concessione il terreno demaniale, sarà disposto a pagarla lui, anche se sa benissimo che ciò provocherà la sua scoperta e il suo arresto. Ma provocherà anche la reazione della gente che decide di resistere pacificamente alle ruspe che avanzano per difendere e preservare quel mondo che qualcuno cerca di spazzare via.
Quando si consegna ai carabinieri, il professore prende commiato dai «suoi» con parole profetiche e dagli accenti cristologici: «Non siate stupiti se vi cacceranno da questi luoghi. Molti s’illudono, con le loro imprese, di poter fare cose meritevoli, senza rispetto di ciò che regola la vita [grassetto nostro]. Ma arriva anche il momento che la natura stessa si ribellerà a tutte queste offese e cancellerà ogni cosa che umilia tutte le creature.
«È venuto il momento di lasciarci: ciascuno deve tornare al proprio lavoro. Vi auguro di restare qui, a vivere in pace, come io vi ho conosciuto. Questa pace non è una pace che viene dal mondo, ma da voi stessi».
ll confronto con l’autorità militare e con quella religiosa.
Anche qui è possibile notare l’analogia con la vicenda di Gesú Cristo. È chiaro che si tratta solo di un’analogia, che include anche enormi differenze (ad esempio, Gesú è venuto ad annunciare e ad inaugurare qualcosa di radicalmente nuovo, il Regno di Dio; il protagonista, invece, scopre qualcosa che è già presente, è già dato, e si limita a difenderlo con tutte le sue forze).
Nell’interrogatorio con il maresciallo, il professore, a proposito del «gesto delittuoso», ammette di essere «responsabile, ma non colpevole», e lo definisce «un obbligo morale». Poi si spiega. Dopo aver chiesto al maresciallo quanti libri ha letto nella sua vita (una decina), egli osserva con rammarico: «Io, invece, se mi volto indietro, vedo solo pagine di libri, una vita tutta di carta. Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico». Poi racconta come è avvenuto il fatto. In un flashback viene ripetuta la sequenza del monsignore che esalta i libri considerandoli superiori alle persone. E qui nasce la sua reazione, rabbiosa e provocatoria, e la sua decisione di compiere un gesto dimostrativo, simbolico, che ristabilisca la scala dei valori. Nella sua furia «bibliocastica», però, il professore si arresta davanti ad un libro, che non viene inchiodato. Vi sono scritte le parole che richiamano il colloquio di Gesú con Nicodemo (Gv 3,8): «Bisogna che un uomo torni a nascere. Chi non comincerà dal principio non potrà conoscere la verità. L’amore spira dove vuole. Ne percepisci la presenza (…) Non sai da dove venga né dove vada; ma chi rinasce nella verità crede in ogni cosa che il suo occhio vede».
Il confronto con il monsignore è drammatico:
monsignore: «Io questi libri li amavo»; professore: «Lei ama piú i suoi libri degli uomini»; monsignore: «I libri sono amici fidati; in quei libri c’è tutta la sapienza del mondo»; professore: «La sapienza del mondo è una truffa»; monsignore: «Ma cosa dici? La parola di Dio una truffa?; professore: «Dio non parla con i libri; i libri servono a qualsiasi padrone e a qualsiasi dio»; monsignore: «Dio ha riposto in quelle pagine parole di vita eterna per la salvezza di tutti i suoi figli»; professore: «Dio! È Dio il massacratore del mondo? Non ha salvato nemmeno suo figlio sulla croce»; monsignore: «Non bestemmiare! Offendi anche la tua intelligenza che Dio ti ha donato in abbondanza. Il giorno del giudizio dovrai renderne conto»; professore: «Nel giorno del giudizio sarà Lui a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo» (frase tratta da I fratelli Karamazov di Dostoevskij). Come si vede anche qui c’è l’accusa di blasfemia e c’è tutto il dramma del mistero del dolore e della sofferenza del mondo (Giobbe; lo stesso Gesú Cristo sulla croce) che nessun libro potrà mai spiegare, ma che solo la Parola incarnata può illuminare assumendolo su di sé.
È significativo inoltre che piú tardi il monsignore sia tutto preso dal togliere i chiodi dai libri, incurante del gesto di comprensione e di amore che il professore compie nei suoi confronti, dimostrandosi incapace di perdonare: «Lasciami! Non sei piú degno di questo luogo».
L’attesa del suo ritorno («Parusia»).
Quando vengono a sapere che il professore ha ottenuto gli arresti domiciliari, tutti aspettano il suo ritorno. Qualcuno afferma anche di averlo visto dirigersi da quelle parti. In modo particolare un bambino che dice di averlo visto che camminava sull’argine: «Aveva un vestito nuovo…si è messo a ridere». Fervono i preparativi: la tavola imbandita, la musica, le luci, un grande clima di attesa, una gioia immensa. Ma poco alla volta i toni si smorzano: non si vede arrivare nessuno. La Zelinda è la prima che si rende conto che l’attesa sarà vana e le lacrime rigano il suo volto. Poi le parole del postino, che parlano dell’autunno, dell’inverno e dell’inutile attesa. La dissolvenza in chiusura sembra porre fine ad ogni speranza.
Ma le ultime immagini del film, chiaramente collegate con quella iniziale, sembrano dire il contrario. Dopo la didascalia con il titolo del film, si vede una barca che si stacca dall’approdo. Un remo la fa muovere, segno di una presenza che però non viene svelata. La barca scorre lentamente lungo il fiume. Una carrellata in soggettiva mostra i paesaggi e l’ambiente fluviale. Si sentono le note del Non ti scordar di me…Alcune foglie secche cadono sull’acqua su cui si specchiano le nubi. L’acqua si muove. E le foglie, l’acqua e le nubi si fondono in un tutt’uno che scorre verso quel mare (immagine iniziale) dove tutto confluisce.
La significazione del film nasce, come quasi sempre, dalla figura del protagonista e dalla sua evoluzione. Chi è il protagonista del film? È un professore di filosofia (che pertanto ama e cerca la verità) di cui non viene mai detto il nome, proprio per renderlo emblematico di ogni uomo che – a modo suo – cerca la verità. Questa viene cercata nei libri, vero e proprio patrimonio dell’umanità. Ma ad un certo punto il protagonista va in crisi: s’accorge che i libri possono diventare oggetto di idolatria, possono essere strumentalizzati dal potere, possono rappresentare un sapere che non serve alla vita e che quindi può portare all’inganno, alla sopraffazione. Da qui il suo rifiuto e la sua fuga. Scopre poi un mondo nuovo a contatto con la natura e con una comunità (che forse è in via di estinzione) che sa vivere in pace, senza infingimenti, con semplicità. E capisce che forse il vero sapere è quello che viene dalla vita stessa, in cui Dio si rivela attraverso la natura, le relazioni autentiche e anche nell’interiorità di ciascun uomo. Diventa pertanto il difensore di questo mondo, cercando di tutelarlo anche a costo di rimetterci sul piano personale, creando in chi lo vive una nuova profonda consapevolezza e la determinazione a difenderlo ad ogni costo. La sua missione a questo punto si compie. Non c’è piú bisogno della sua presenza fisica perché la sua eredità spirituale resta in coloro che l’hanno capito e seguito.
Ma perché, ci si potrebbe chiedere, l’autore crea un parallelismo tra il protagonista e Gesú Cristo? Forse perché il film stesso è concepito come una parabola; perché ogni uomo che crede nella verità ed è fedele ad una missione può «diventare» Cristo (non ontologicamente, ma analogicamente), in quanto in lui si manifesta e si incarna il divino; perché Gesú Cristo è il «modello» del vero uomo, in quanto manifesta Dio all’uomo, ma anche l’uomo a se stesso.
E come Cristo non è ancora tornato (la Parusia) ma è solo apparso (in forme nuove), cosí anche il professore non torna, perché non vuole diventare un Capo, un nuovo idolo che rischia di limitare la libertà dell’uomo. Resta però lo Spirito, che soffia dove vuole e che «guiderà alla verità tutta intera» (Gv 16,13).
Valutazione tematica. Nel film sono presenti espressioni verbali molto forti che possono dar adito a discussioni e a controversie. Talvolta si ha l’impressione che il tono polemico e chiaramente provocatorio usato dal regista rischi di trasformarsi in un libello contro i libri (tutti i libri, compreso il Libro sacro), e di rappresentare un rifiuto di tutte le religioni, che non riescono a salvare il mondo.
Ma, tenendo conto del genere parabolico del film, si può facilmente notare che l’autore non vuole certamente dire che i libri non servono a niente o che vanno tutti eliminati. Il gesto del professore ha un valore simbolico, che denuncia l’idolatria dei libri (e l’idolatria è una forma di schiavitú) che rischiano di essere considerati piú importanti delle persone stesse. È significativo, infatti, che il protagonista non inchiodi quel libro che parla di amore e di libertà. Inoltre lui stesso usa le parole di Jaspers, che evidentemente provengono da un libro. Infine si può osservare che la vera chiave di lettura del film è data dalla didascalia iniziale che afferma che i libri sono necessari, anche se non parlano da soli.
Per quanto riguarda le religioni è quanto mai opportuno ribadire la distinzione che, in un dialogo con Ermanno Olmi, Gianfranco Ravasi3 opera tra fede e religione e l’affermazione che Gesú non è venuto a fondare una religione, un complesso di dottrine e principi, ma a cambiare la vita, il senso del mondo.
Ed è proprio di vita che l’autore vuole parlare. E di verità di vita. Che non può ridursi alla verità di tipo intellettivo, ma che è concepita come ideale completo di pensiero e di vita, che abbraccia tutto (e il Tutto, cioè l’Uno). Una visione che si potrebbe definire «mistica». Non a caso, come si è detto nella prima nota, Raymond Klibansky è stato uno studioso delle correnti mistiche e, in particolare di Meister Eckhart, secondo il quale Dio non è la totalità degli enti, ma la totalità degli enti è in Dio (panenteismo, non panteismo).
Cosí, anche la Parola di Dio (che è comunque sempre scritta con parole d’uomo) non è qualcosa di già dato che s’innesta sul palcoscenico della Storia, perché Dio continua a parlare nella Storia e nella vita. Cosí la Storia, cioè l’esperienza, può gettare una luce nuova anche sulla Parola. Perché se è vero che la Parola feconda la Storia, è anche vero che la Storia vivifica la Parola.
Utilizzazione didattica e formazione della personalità.
Il film può essere proficuamente utilizzato come riflessione sul senso della vita e sul rapporto tra parola e vita in un’ottica squisitamente cristiana.
Certo, la pregnanza tematica – e specificamente teologica – del film rischia di non essere colta, o di risultare addirittura fuorviante (data la complessità dell’opera e la sua impostazione parabolica) se non ci si avvale di una corretta lettura strutturale che – in quanto tale – non si fermi alla vicenda, ma sappia, attraverso l’analisi dei modi del racconto, cogliere le profonde verità che il film esprime. (Olinto Brugnoli)
1) Raymond Klibansky (1905-2005), storico della filosofia, è stato professore di studi medievali all’Università di Montréal e titolare della cattedra di logica e metafisica nell’Università McGill della stessa città. Studioso delle opere di Niccolò da Cusa, di cui mise in evidenza l’influsso sulla filosofia e la scienza dei secoli posteriori, è importante in questo contesto soprattutto per il riferimento ai suoi studi sulle correnti mistiche (in modo particolare quella di Meister Eckhart) e per la sua sensibilità che lo ha portato a interessarsi soprattutto delle relazioni fra il momento teorico e il momento storico del pensiero filosofico.
2) V. la celebre espressione di Zavattini in MIRACOLO A MILANO di Vittorio De Sica.
3) Citato da CLAUDIO MAGRIS nel Corriere della Sera del 3 dicembre 2006 (pag. 33)