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Rosso come il cielo



Regia: Cristiano Bortone
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 350 - 2007
Titolo del film: ROSSO COME IL CIELO
Cast: regia, sogg.: Cristiano Bortone – scenegg.: Paolo Sassanelli, Cristiano Bortone, Monica Zapelli – fotogr.: Vladan Radovic – mus.: Ezio Bosso – mont.: Carla Simoncelli – scenogr.: Davide Bassan – cost.: Monica Simeone – effetti: Stefano Marinoni – interpr.: Luca Capriotti (Mirco), Paolo Sassanelli (Don Giulio), Marco Cocci (Ettore), Simone Colombari (Achille), Rosanna Gentili (Teresa) – durata: 96’ – colore – produz.: Orisa Produzioni – origine: ITALIA, 2005 – distrib.: Ladyfilm
Sceneggiatura: Paolo Sassanelli, Cristiano Bortone, Monica Zapelli
Nazione: ITALIA
Anno: 2005
Presentato: 1. Edizione Festival Internazionale del Cinema di Roma, 2006, Sezione Alice - Evento Speciale Unicef

È la storia di Mirco, un bambino come gli altri, un bambino che ama giocare con i compagni con i quali frequenta la scuola; siamo nel 1970 e un banale incidente – attratto da un vecchio fucile tenta di staccarlo da un chiodo appeso al muro e l’arma cade a terra, facendo esplodere un colpo che colpisce il ragazzo proprio in faccia – lo rende «quasi» cieco e quindi bisognoso di scuole e attenzioni speciali. Il medico del paese (siamo a Pontedera, in Toscana) consiglia il padre – un attivista del P.C.I. – a inviarlo ad una scuola per ciechi a Genova, dove gli verrà insegnato a scrivere in Braille ed a svolgere un mestiere (o tessitore o centralinista) uniche due cose che potrà fare uno come lui.
Nella scuola di Genova trova molti ragazzi anche loro non vedenti, ma la maggior parte ha questa situazione fino dalla nascita; nel gruppo dei bambini, nonostante la loro particolare condizione, ci sono «clan» e bulletti cosí come avviene nelle scuole normali e Mirco questa situazione non l’accetta, soprattutto non accetta di essere considerato cieco (come in effetti è) perché – continua a ripetere – «io ci vedo, non sono come loro».
Intanto, Mirco ha conosciuto una bambina, Francesca, figlia della portiera dello stabile, con la quale instaura un bel rapporto: le accomoda la bicicletta usando soltanto il tocco dei polpastrelli per individuare il danno; con la bambina al seguito inforca la bici e si lancia verso la città, riuscendo a non travolgere nessuno e neppure a cadere: arriva in una Piazza dove c’è una manifestazione sindacale e lí conosce un operaio, Ettore, cieco anche lui, ma inserito nel mondo produttivo, tant’è vero che è addetto all’altoforno di una fabbrica.
Insieme alla ragazzina e con l’aiuto di uno dei pochissimi amici che è riuscito fino a quel momento a farsi nell’Istituto, scopre un vecchio registratore audio e lo porta nella cantina di Francesca e, insieme, decidono di realizzare una «favola sonora», utilizzando le voci di vari compagni che piano piano si aggiungono al gruppo di sperimentatori e, soprattutto, con il talento di Mirco che, strappando il nastro con le mani, esegue dei montaggi delle varie voci, mixate con rumori e suoni, veramente magistrali.
Siamo al giorno fatidico nel quale tutti i ragazzini – esclusi quelli che stanno lavorando con Mirco – stanno provando la recita da presentare ai genitori, recita fatta di poesie insulse e mal recitate; dall’altra parte il gruppo di ragazzini che lavora con Mirco sta provando la sonorizzazione della favola; il direttore dell’Istituto, insospettito dalla scarsa partecipazione alla recita ufficiale, indaga e scopre i ragazzi che stanno armeggiando attorno al registratore: è lo scandalo, in quanto un cieco non può essere illuso di poter fare un mestiere diverso da quello di centralinista oppure di tessitore e, chi ne va di mezzo è anche un insegnante, Don Giulio, un prete che ha regalato a Mirco un nuovo registratore; la decisione del Direttore è irrevocabile: Mirco verrà espulso da scuola con la motivazione che «vuole imparare qualcosa di diverso dagli altri».
Il prete, a questo punto s’impegna in prima persona, affronta con decisione il Direttore e, in pratica, attua una sorta di ammutinamento, al termine del quale assume lui i poteri che prima erano del Direttore: come prima conseguenza, la recita annuale sarà quella pensata e realizzata da Mirco e cosí i genitori assisteranno ad un autentico capolavoro della fantasia, quella cosa che i ragazzi non vogliono assolutamente perdere; alla manifestazione assiste anche Ettore con gli amici operai e sindacalisti e cosí la saldatura tra il mondo del padre di Mirco e quello del ragazzo è realizzato.
Una didascalia finale segnala al pubblico che Mirco è restato in Istituto fino all’età di 16 anni, quindi è uscito ed è entrato nel mondo del cinema, diventando uno dei piú famosi rumoristi e montatori del suono del nostro cinema (tra le ultime cose realizzate LE FATE IGNORANTI e LA NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI).
Scopriamo cosí, al termine del film, che la vicenda è tratta da una storia vera, quella di Mirco Mencacci, che nel film ha collaborato al soggetto ed alla sceneggiatura, autentico non vedente che si è poi specializzato nel suono: questo cambia qualcosa nell’analisi del film? Non credo, ma cambia semmai nel nostro modo di approcciare la storia; forse c’è una maggiore partecipazione da parte nostra!
Questo perché il film – attraverso una struttura che si muove linearmente – vuole essere una narrazione di quello che è accaduto a Mirco, ma, attraverso questa, includere anche un attacco feroce alle strutture pubbliche che, negli anni ’70, gestivano questi ragazzi affetti da cecità.
In pratica si vuole affermare che a questi giovani – considerati veramente «figli di un Dio minore» – è precluso qualsiasi desiderio circa il loro futuro che ormai è pianificato dalla società ed è vietata qualunque fantasia, rinchiusi come sono – dopo essere stati strappati all’affetto dei genitori – in un tetro Istituto religioso per ciechi, senza la minima speranza di poter diversificare il proprio futuro.
La struttura del film mostra anche un suo sviluppo, volto a comunicarci qualcosa: prima dei titoli di testa, Mirco gioca con dei compagni di classe a mosca cieca; al termine del film lo ritroveremo che torna a casa in vacanza e rigioca con gli stessi amici, nello stesso posto e con gli stessi gesti: nel mezzo c’è la narrazione della tragedia, della sua accettazione e della vittoria di Mirco nei confronti di tutto e di tutti, vittoria che – a livello emblematico – è rappresentata dall’autore con la seconda sequenza del gioco, come a dire che Mirco è lo stesso ragazzo di prima dell’incidente (il coraggio di fare lo stesso gioco), il che implica l’accettazione e il superamento dell’handicap.
Ci sono due persone nel film che aiutano Mirco a cercare di risolvere la sua situazione, due persone apparentemente agli antipodi, ma entrambi dotati di quella sensibilità che l’autore indica come la necessaria componente per affrontare il problema: uno è l’operaio cieco, Ettore, che quando viene ventilata l’espulsione di Mirco dall’Istituto riesce a mobilitare anche le autorità politiche della città; l’altra è l’insegnante/prete, Don Giulio, che capisce le difficoltà del ragazzo, ne afferra – sia pure sommariamente – le grandi potenzialità e decide di aiutarlo in ogni modo, a rischio anche della propria carriera: in pratica è l’unico che si rende conto della inconcludenza di quel tipo di insegnamento che, di fatto, tarpa ai ragazzi le ali della loro fantasia.
Il film, sia pure troppo preso dalla narrazione, riesce anche ad esprimere una idea centrale che parte dalla condizione di inferiorità di quei disgraziati ragazzi, per farci assistere alla loro risalita: cioè nessuno può essere considerato un essere umano di serie B, tutti hanno diritto a ricevere quell’aiuto dall’istruzione che gli permetterà poi di affermarsi nella vita secondo i singoli valori; e le strutture come quella mostrata nel film sono da considerare anacronistiche, in quanto curano soltanto il corpo degli esseri umani loro affidati, senza considerare minimamente la loro spiritualità e le loro potenzialità.
Per concludere, direi che l’opera è molto ben fatta, anche se un po’ troppo mirata sulla vicenda, ma temo che non troverà un pubblico disposto a recepirla, ed invece dovrebbero essere in molti a vederla, per liberarsi dalle falsità dei vari «Reality»; e dovrebbe anche essere proiettata nelle scuole per mostrare ai ragazzi cosa significhi la volontà di realizzare il proprio sogno e come si fa a diventare «grandi», sia pure rimanendo dei fanciulli. (Franco Sestini )
 

 


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