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In questo mondo libero



Regia: Ken Loach
Lettura del film di: Eugenio Bicocchi
Edav N: 353 - 2007
Titolo del film: IN QUESTO MONDO LIBERO
Titolo originale: IT’S A FREE WORLD
Cast: regia: Ken Loach – scenegg.: Paul Laverty – fotogr.: Nigel Willoughby – scenogr.: Fergus Clegg – mont.: Jonathan Morris – mus.: George Fenton – suono: Ray Beckett – cost.: Carole K. Fraser – interpr.: Kiersteon Wareing (Angie), Juliet Ellis (Rose), Leslaw Zurek (Karol), Joe Siffleet (Jamie), Colin Coughlin (Geoff), Maggie Hussey (Cathy), Raymond Mearns (Andy), Davoud Rastgou (Mahmoud) – durata: 96’ – colore – produtt.: Rebecca O’Brien – produz.: Sixteen Films – origine: REGNO UNITO, ITALIA, GERMANIA, SPAGNA, POLONIA, 2007– distrib.: BIM
Sceneggiatura: Paul Laverty
Nazione: REGNO UNITO, ITALIA, GERMANIA, SPAGNA, POLONIA
Anno: 2007
Presentato: 64. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2007 - In Concorso
Premi: OSELLA MIGLIOR SCENEGGIATURA ALLA 64A MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA, VENEZIA, 2007

È la storia di Angie, una donna londinese sulla trentina, ragazza-madre di un adolescente, Jamie, la quale, dopo il fallimento di una prima fase lavorativa, decide di mettersi in proprio gestendo, assieme ad un’amica, Rose, un’agenzia per la selezione di prestatori d’opera a contratto, ma, nonostante le proprie notevolissime capacità di relazione col personale, è costretta (o forse, è meglio dire: «si adatta»), dopo una serie di incidenti professionali (una pericolosa minaccia, un pestaggio, un’intimidazione trasversale nei confronti del figlio), a ridimensionare l’ambizione di poter operare nel segno della legalità, facendo anche da organizzatrice dei flussi migratori di aspiranti lavoratori da paesi stranieri.
La significazione della vicenda riguarda le insormontabili difficoltà che la protagonista, Angie, trova sul nuovo proprio percorso professionale, nonostante le sue doti straordinarie di gestione del lavoro, ma anche a causa di certi suoi lati fragili, in parte oggettivi per l’urgenza di seguire i problemi adolescenziali del figlio, in parte soggettivi per l’ossessivo desiderio di non finire pensionata come la sua famiglia operaia e per una visione del mondo che privilegia gli affari e la scalata sociale. A causa di tali difficoltà è praticamente inevitabile l’abbandono della iniziale linea di condotta e l’adesione a una pratica comportamentale di sfruttamento degli aspiranti a un lavoro in Inghilterra.
Ci si deve chiedere, a questo punto, secondo la metodologia della lettura strutturale ideata e messa a punto da padre Nazareno Taddei, se la vicenda di Angie ha una significazione che si chiude e si esaurisce su se stessa (fatto che si dà, per esempio, in molti film storici. Tanto per citare un caso evidente e indiscutibile, il film LA CADUTA ha una significazione relativa a Hitler e ai suoi ultimi giorni nel bunker di Berlino, in quel luogo, in quel tempo), oppure, se si apre verso livelli diversi.
Ci sono negli elementi costitutivi del film IT’S A FREE WORLD... (IN QUESTO MONDO LIBERO...) molti aspetti generalizzabili; vale a dire personaggi e situazioni che hanno diversi punti analogici con la vita reale.
Dunque non è una storia «strana» o «straordinaria» o «a sé stante», ma una storia in cui si possono vedere riflessi– magari anche con la distorsione che si ha, quando si guarda in uno specchio incrinato in piú frantumi vicini – accadimenti o circostanze della nostra vita di tutti i giorni.
Lo stesso regista nella brochure messa a disposizione a cura dell’ufficio stampa della casa distributrice del film rivela di essere ben consapevole delle decisioni da lui prese in funzione dell’universalizzazione della vicenda e quindi della emblematizzazione del film.
Ken Loach: «(...) Se il protagonista è troppo “estremo” la gente può rifiutarlo all’inizio. Invece deve pensare: “Beh, è una situazione piuttosto comune... se non lo fa lei, lo farà qualcun altro... il mercato è molto competitivo, quindi anche lei deve esserlo... deve ricavarsi un suo spazio... quindi deve essere abbastanza dura all’inizio...”
«Lo spettatore deve poter comprendere la sua logica e, alla fine, scoprirne la malvagità. Angie è una donna che incarna lo spirito di questa nostra epoca».
Metodologicamente diventa ora corretto il passaggio (anche se una attenta applicazione della teoria del Taddei comporterebbe l’individuazione di livelli intermedi) a un livello di significazione «mediata» del film, livello in cui si abbandona lo specifico personaggio di Angie per assumere come riferimento qualsiasi persona che è rispecchiabile in Angie.
Per rendere evidente questo passaggio di lettura giova usare forme impersonali.
Si dirà, pertanto, che la significazione mediata del film riguarda le difficoltà – praticamente insormontabili – che incontra chi intraprende, in una realtà complessa come quella metropolitana londinese o ad essa simile, un’attività di gestione del personale con contratti a termine, anche se ha doti notevoli e anche se è mosso dalle buone intenzioni di seguire la legalità. I problemi sono tanti, sia derivati dall’oggettivo difficile contesto in cui si opera, sia anche derivati dalle aspettative soggettive che inducono ad intraprendere un’attività in tale settore (visione del mondo che privilegia gli affari e la scalata sociale: «chi darebbe inizio a una simile attività in proprio senza che ci sia la prospettiva di un significativo ritorno economico?», sembra dire Loach), tanti problemi e tante difficoltà, dunque da rendere praticamente inevitabile l’abbandono della iniziale linea di condotta e l’adesione a una pratica comportamentale di sfruttamento degli aspiranti a un lavoro in Inghilterra o in paesi ad essa sovrapponibili.

L’idea centrale che va tratta da tale significazione può essere cosí formulata (la sopracitata metodologia alla quale si ispira questa lettura consente diverse espressioni linguistiche; e, pertanto, quella che qui segue è una delle tante possibili): la situazione contemporanea nell’ambito della prestazione lavorativa è estremamente complessa e inevitabilmente fonte di arbitri e perpetuazione di illegalità.
Nella già ricordata brochure del film, il regista, alla domanda «Il film offre un giudizio morale su di lei (la protagonista Angie, ndr.)?», risponde: «Non su di lei. Il film giudica il sistema in cui la sua impresa può prosperare.»
Giova mettere in evidenza le interessanti osservazioni che il film di Loach contiene, per sottolineare la complessità – enorme – del fenomeno (va precisato che il film non propone soluzioni né indicazioni in tal senso. Analizza).
Osservazioni sulle difficoltà del contesto storico: gli uomini e le donne che vengono d’oltre frontiera costituiscono una massa elevata di persone, dalle svariate culture, lingue e competenze professionali. In vari casi le necessità di tali persone sono aggravate dalla presenza di famigliari (bambini, in particolare). Ci sono anche casi di persone che sono venute spinte non da prospettive materiali, ma dall’incombenza di pericoli dovuti a motivi politici.
Molti individui sono gravati psicologicamente dal peso di esperienze negative di lavoro (retribuzione la piú bassa possibile; addirittura mancanza di retribuzione; promesse rivelatesi non vere, ecc.) il che si traduce in comportamenti molte volte contro la legge e spesso caratterizzati da una aggressività piú o meno contenuta.
Si tratta di un’umanità in cui è carente il senso della convivenza.
Altre difficoltà presenti nel contesto storico, evidenziate dal film, sono dovute all’atteggiamento opportunista e «approfittatorio» dei datori di lavoro (il che non è che l’altra faccia delle retribuzioni bassissime, delle mancate retribuzioni, delle promesse false, ecc.).
Ad aggravare drammaticamente questo aspetto concorre anche la presenza di associazioni malavitose che dominano sui datori di lavoro (significativa quella sequenza in cui il titolare «ufficiale» di un’impresa, uomo apparentemente responsabile della mancata retribuzione ai lavoratori operai, dopo un incontro con «persone importanti», appare col volto tumefatto da violente percosse).
Terribile è poi l’osservazione sulla latitanza delle istituzioni: il film ricorda il caso di un uomo che, servitosi ripetutamente di personale con i documenti non in regola, vale a dire un uomo che opera nella illegalità, viene raggiunto soltanto da una diffida da parte delle autorità competenti.
La conseguenza che il film mostra è la caduta della fiducia e quindi del rispetto verso le proprie nazionali istituzioni che avviene nella coscienza della protagonista; che avviene, universalizzando come si è sopra detto, in chi si trova ad operare in tale ambito o in un contesto simile.
A quel punto anche chi, come la protagonista, aveva idee rispettose della legge e pure buone intenzioni (nel film la protagonista in un iniziale momento aiuta in prima persona una famiglia clandestina di rifugiati politici) abbandona tale linea per comportarsi come tutti gli altri del settore, anzi peggio (la protagonista che ha grosse doti manageriali arriva a organizzare direttamente dall’estero, nel caso specifico l’Ucraina, lo sfruttamento di manodopera).
Per queste ragioni il film di Loach è tragico.
Eppure, in sordina, Loach constata che all’interno del fenomeno denunciato c’è una piccola disomogeneità: nel finale la socia della protagonista non appare piú accanto a lei. In precedenza, pur non avendo avuto sempre idee limpidissime sulla filosofia del lavoro, ella aveva espresso dissenso su certe scelte e aveva detto «Non ti riconosco piú».
Forse, sembra dire il film, questa persona è diversa. Diversa non tanto (ma probabilmente Loach correggerebbe in «non solo») perché donna di colore (o addirittura Loach correggerebbe in «proprio perché donna di colore»?), diversa perché, probabilmente, non portatrice della stessa visione del mondo della protagonista.
Quella protagonista che nella prima parte del film il regista mette al centro di un brevissimo ma straordinario episodio: a lei si avvicina un ragazzo immigrato, molto giovane, con movenze dettate da timidezza e discrezione, che le allunga un piccolo regalo, segno di gratitudine per il lavoro che la protagonista gli aveva trovato e di cui egli continua ad essere soddisfatto.
Per contrapposizione è un episodio dirompente e chiarificatore della tematica del film. Un colpo d’ala indimenticabile di creatività artistica. (Eugenio Bicocchi)
 

 


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