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12



Regia: Nikita Michalkov
Lettura del film di: Eugenio Bicocchi
Edav N: 353 - 2007
Titolo del film: 12
Titolo originale: 12
Cast: regia: Nikita Michalkov – scenegg.: Nikita Michalkov, Vladimir Moiseenko, Aleksandr Novototskij – fotogr.: Vladislav Opeliants – scenogr.: Victor Petrov – mont.: Andrey Zaitsev, Enzo Meniconi – mus.: Eduard Artemev – suono: Andre Rigaut, Vincent Arnardi – cost.: Natalia Dziubenko – interpr.: Sergey Makovetsky, Nikita Mikhalkov, Sergey Garmash, Valentin Gaft, Aleksey Petrenko – durata: 153’ – colore – produtt.: Nikita Mikhalkov, Leonid Vereschagin – produz.: Three T Production – origine: RUSSIA, 2007
Sceneggiatura: Nikita Michalkov, Vladimir Moiseenko, Aleksandr Novototskij
Nazione: RUSSIA
Anno: 2007
Presentato: 64. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2007 - In Concorso (Film sorpresa)
Premi: LEONE SPECIALE PER L'INSIEME DELL'OPERA ( A Nikita Michalkov) ALLA 64A MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA, VENEZIA, 2007

È la storia – ambientata nella Russia a circa vent’anni dal crollo del regime comunista, vale a dire del disgregamento dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche – di dodici uomini chiamati a costituire la giuria che deve emettere la sentenza definitiva e irrevocabile al processo intentato contro un giovanissimo ragazzo della Cecenia con l’accusa d’aver assassinato il padre adottivo, un ufficiale russo reduce da una delle campagne proprio in quella ex-repubblica sovietica, dei quali il primo (Nikita Sergeevich, un fisico)..., il secondo..., il terzo..., eccetera, il dodicesimo...
Il lettore ha già compreso che una siffatta «È la storia di...» (efficacissimo strumento di lettura secondo la metodologia di Nazareno Taddei) richiede uno spazio rilevante (non per niente il film dura 153 minuti) non disponibile nel contesto di questo numero di EDAV. Pertanto se ne propone una in versione «compressa»: È la storia – ambientata nella Russia... ecc. – di una giuria popolare, costituita da dodici uomini, chiamata ad emettere la sentenza definitiva e irrevocabile al processo... ecc., la quale, dopo un’iniziale e apparente omogeneità di giudizio, discute, non senza momenti di grande tensione psicologica, ogni risvolto del caso alla luce di strategie di ragionamento, criteri di valutazione, termini di paragone, mutuati dal vissuto personale di ciascun membro, arrivando cosí alla conoscenza della verità dei fatti, ma è costretta a constatare, non senza differenziazioni al proprio interno, la difficoltà enorme di fare veramente giustizia al di là di una equa sentenza giudiziaria, a causa della complessità della reale situazione storica ed esistenziale.
Difficoltà quasi insormontabile secondo la citazione di B. Tosja con la quale termina il film: «La legge è al di sopra di tutto, ma come fare quando la pietà è al di sopra della legge?».
Si tratta senz’altro di un film di «pensiero», di una vera e propria riflessione filosofica sull’agire umano e, piú precisamente, sulla possibilità o impossibilità di agire umanamente bene. Con un po’ di disinvoltura si potrebbe affermare che il film si interroga se ci sono «uomini di buona volontà» (il riferimento all’espressione del Vangelo non suoni, però, come una mia forzatura stonata: il primo giurato, il fisico, è associato, dal regista, ad una piccola icona religiosa e, probabilmente, non è un caso se nelle dichiarazioni dell’attore che lo interpreta, Sergej Makovetskij, si trova un’indicazione positiva dopo aver affermato che è un film ricco di associazioni, di riflessioni, di idee: «[...] Forse offre anche una risposta su come dobbiamo affrontare la vita nel mondo d’oggi» [brochure della casa di produzione la Three T Production di Nikita Michalkov]).
Che sia un film di associazioni, di riflessioni e di idee ne èsegno anche la presenza, sia in testa che in coda, di due citazioni di Tosja. La seconda è quella sopra riportata; la prima recita cosí: «La verità non va cercata nei dettagli della vita quotidiana, ma nell’essenza della vita stessa.».
Come si può notare il livello di universalizzazione cui mirano le due frasi è al vertice. Essa travalica circostanze e situazioni determinate geograficamente e storicamente per tendere ad un significato che coinvolga ogni essere e ogni comunità umana.
Anche nel film stesso si individua lo stesso intento; e non solo in virtú delle due frasi che il film ingloba in se stesso o, per usare un’altra espressione, non solo in virtú delle due frasi entro le quali il film si ambienta, ma anche per le sfaccettature di cui i dodici uomini della giuria sono portatori. Nella loro varietà, per analogia, si deve vedere l’umanità con le differenze che la caratterizzano.
I dodici personaggi del film si differenziano per età, per professione (il fisico, il militare, il tassista, l’operaio, il chirurgo, l’attore-intrattenitore, ecc.), per esperienze esistenziali, per visione del mondo; per pregiudizi, per assenza di pregiudizi. Per coerenza, per comportamento: c’è un personaggio che cambia piú volte parere e soprattutto che perde, ad un certo punto, l’orientamento dei propri orientamenti. Al contrario c’è chi ha fin da subito una linea guida di pensiero ben definita (il già ricordato fisico).
Cosí questa umanità dibatte sul tema della giustizia, tema che poi incontra altri temi, il tema della verità, il tema della libertà, il tema dei sentimenti, il tema della compassione o, come recita la citazione finale, il tema della pietà. In una parola: il tema dell’esistenza.
Il regista, come si dice, osserva i suoi personaggi e accompagna lo spettatore dentro il loro animo, scoprendo, finitudini e grandezze, limiti e possibilità. Il suo occhio è spietato, ma anche attento ed acuto. Un occhio che sa anche guardare attorno, il contesto che l’umanità crea e abita.
La concezione che Michalkov ha della storia umana è tragica (è come se dicesse che c’è violenza dappertutto): la vicenda del film ruota attorno ad un omicidio, il quale è un evento individuale all’interno di eventi piú ampi, la guerra cecena (presentata come una guerra; una guerra come altre, violenza totale, cioè). Ma, come si è detto, Michalkov va alla ricerca dell’uomo e scopre, anche se problematica («Come fare quando la pietà è al di sopra della legge?»), la presenza di virtú.
Si può dire che il film affermi violenza e virtú, ossia odio e amore, e fondi l’interrogativo di questo contrasto stridente.
Lo sforzo dell’autore e dei suoi collaboratori (sceneggiatori ed attori dato che anch’essi hanno partecipato, a vario titolo, alla definizione del film, come informa la già citata brochure) è quello di scuotere l’«indifferenza» dello spettatore, portandolo a riflettere sui temi trattati.
In questo senso va visto il tentativo di introdurre un’analogia simbolica rappresentata dai vari dettagli di un uccellino imprigionato nel locale dove è riunita la giuria, che in montaggio alternato, lungo tutto lo svolgimento del film, si inseriscono, di tanto in tanto, tra i piani cinematografici dei protagonisti.
Nel finale, l’ultimo giurato, il fisico, restato solo nel locale, aprendo una finestra prima di andarsene, si rivolge all’uccellino: «La strada è libera. Se vuoi restare, resta. Ma la decisione spetta a te. Nessuno può scegliere per te.» L’uccellino spicca il volo e nell’inquadratura successiva, in esterni, l’uccellino scompare nell’immensità del cielo azzurro. Esso è uscito, libero. Sul significato e sul valore di questa analogia simbolica non è possibile fare approfondimenti ora, perché la proiezione del film, alla Mostra, con i sottotitoli impedisce oggettivamente di poter associare con precisione immagine e parlato. Quali parole fuori campo dei personaggi il regista ha abbinato ai vari dettagli dell’uccellino? Lí sta la chiave d’interpretazione. Certo, questo tentativo di simbolizzazione fa capire ulteriormente l’intenzione argomentativa di Michalkov, a prescindere dalla piena riuscita o meno della soluzione espressiva da lui adottata. (Eugenio Bicocchi)
 

 


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