WUYONG (Inutile)
Regia: Jia Zhangke
Lettura del film di: Antonio Sancamillo
Edav N: 353 - 2007
Titolo del film: WUYONG (INUTILE)
Titolo originale: WUYONG
Cast: regia e scenegg.: Jia Zhangke fotogr.: Yu Lik Wai, Jia Zhangke mont.: Zhang Jia mus.: Lim Giong suono: Zhang Yang interpr.: Ma Ke durata: 80 colore produtt.: Chow Keung, Mao Jihong, Kang Jianmin produz.: Xstream Pictures - origine: CINA, 2007 distrib.: Memento Films International
Sceneggiatura: Jia Zhangke
Nazione: CINA
Anno: 2007
Presentato: 64. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2007 - Orizzonti Premio Orizzonti DOC
Premi: PREMIO ORIZZONTI DOC ALLA 64A MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA, VENEZIA, 2007
Il film si svolge in tre macrosequenze fondamentalmente legate dal tema del vestito. Non è neanche la storia dei vestiti, perché sono tre situazioni totalmente diverse e non c’è evoluzione dall’una all’altra, ma solo passaggio di tema: il vestito.
In una fabbrica di vestiti a Canton, decine e decine di operaie lavorano senza dialogare, (neanche nella pausa pasto), catene di montaggio umane, sommerse dal frastuono delle macchine e dei nastri trasportatori, rese «tutte uguali» da lampade fluorescenti. I vestiti confezionati, a blocchi tutti uguali, prenderanno le strade piú diverse e saranno indossati da persone sconosciute alla totalità di chi lavora nella fabbrica.
A Parigi, una stilista, Ma Ke, presa dall’idea che le stoffe hanno una storia, una storia in fieri con chi li indossa e ritenendo la catena di montaggio come qualcosa di esecrando, crea una boutique «Wuyong» (Inutile) i cui vestiti sono confezionati a partire da stoffe tessute artigianalmente. Addirittura, per dare loro il senso del tempo e per acquisire ulteriormente aspetti della natura persa nella lavorazione, e perché si impregnino di memoria e di storia, li seppellisce nel fango per un periodo alquanto lungo.
Allestisce la sfilata, molto applaudita, con quei capi unici, belli, pieni di fascino ma ingombranti. Le modelle/i che li indossano sono assimilate a statue, difatti sono su piedistalli di luce, in una sala buia. Durante l’esposizione, nessuno si muove e vengono isolatamente illuminati, per cui non entrano in relazione.
Il terzo blocco è di nuovo in Cina, in una regione mineraria dove il vestito assume la sua funzione di coprire e di facilitare il lavoro e, lí sí, si riempie di storia. I minatori o le casalinghe abitualmente si recano in una sartoria familiare per rattopparli e ritoccarli. Anche quelli nuovi, «all’occidentale», acquistati nei mercati vengono fatti personalizzare dal sarto del villaggio.
Il film quindi non ci dà una storia, ma delle situazioni dalle quali possiamo dedurre riflessioni e idee presenti nel film.
L’industria dell’abbigliamento cinese sta invadendo il mondo ed è inarrestabile anche se il lavoro a catena priva le cose del loro fascino e della loro storia. Ma se alle cose gli si ridà la storia, mantenendo o ritornando a un lavoro artigianale, il costo diventa troppo elevato o il lavoro è inutile. La stilista che vuol «restituire» storia e memoria ai vestiti ricoprendoli di terra e facendo loro assorbire colori e sostanze della terra non fa altro che creare cose «inutili».
I vestiti della gente delle montagne e dei villaggi si riempiono di terra camminando e lavorando giorno dopo giorno. Le piccole sartorie riparano ed adeguano il vestito alle singole persone in funzione del lavoro e della loro condizione. I vestiti vanno a ricoprire quei corpi che dopo il turno di lavoro in miniera si devono «svestire» di polvere di carbone. Quelli sí, che sono la storia di chi li indossa, visto che vengono continuamente riparati. Anche i vestiti comprati al mercato e di foggia occidentale acquistano, addosso alle persone, la storia di queste persone perché, una volta indossati, non verrano cambiati tanto facilmente.
I vestiti alla moda messi in esposizione sono indossati prima da manichini e poi dalle modelle che nel momento in cui li portano divengono a loro volta quasi dei «manichini». A Parigi il pubblico applaude per la spettacolarità e l’originalità della mostra, ma quei vestiti non sono indossabili.
Per concludere, i vestiti della catena di montaggio appartengono alla civiltà «usa e getta», i vestiti della boutique appartengono al mondo del «guardare ma non toccare», i vestiti della gente delle miniere, della montagna, dei villaggi sperduti, fanno invece la storia delle persone che li indossano. (Antonio Sancamillo)