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Espiazione



Regia: Joe Wright
Lettura del film di: Eugenio Bicocchi
Edav N: 353 - 2007
Titolo del film: ESPIAZIONE
Titolo originale: ATONEMENT
Cast: regia: Joe Wright – scenegg.: Christopher Hampton – dal romanzo Atonement di Ian McEwan – fotogr. : Seamus McGarvey – scenogr.: Sarah Greenwood – mont.: Paul Tothill – mus.: Dario Marianelli – suono: Catherine Hodgson – cost.: Jacqueline Durran – interpr. princ.: James McAvoy (Robbie Turner), Keira Knightley (Cecilia), Romola Garai (Briony Tallis a 18 anni), Saoirse Ronan (Briony Tallis a 13 anni), Vanessa Redgrave (Briony Tallis in etเ matura), Brenda Blethyn (Grace Turner), Patrick kennedy (Leon Tallis), Juno Temple (Lola Quincey) – durata: 123’ – colore – produtt.: Tim Bevan, Eric Fellner, Paul Webster – produz.: Working Title – origine: USA, 2006 – distrib.: Universal Italia
Sceneggiatura: Christopher Hampton
Nazione: USA
Anno: 2006
Presentato: 64. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2007 - In Concorso - (Film D'apertura)

La vicenda si svolge in tre contesti diversi.
Il primo, in Inghilterra (Surrey) nella sfarzosa villa in stile gotico-vittoriano, della famiglia Tallis, nell’estate del 1935.
Il secondo, quattro anni dopo, nel corso dell’ultima guerra mondiale, sia nel Regno Unito sia sulla spiaggia francese di Dunkerque.
Il terzo, a fine secolo, negli studi di un’emittente televisiva inglese.
La protagonista del film, Briony Tallis è, cosí, dapprima una tredicenne (mese più, mese meno), in seguito una diciottenne e, infine, un’attempata signora, negli ultimi giorni di lucidità, prima della comparsa conclamata di una malattia degenerativa celebrale, diagnosticata, senza appello, dai medici.
Briony da adoloscente dimostra un’accesa fantasia che la porta a scrivere, nonostante la giovanissima età, commedie che vorrebbe mettere in scena con la collaborazione dei cugini.
Questa dote interferisce, però, nella sua vita quotidiana, dimostrandosi fonte di immaginazioni e soprattutto di menzogna, quando, a causa della delusione provata per il rifiuto di corresponsione amorosa (forse anche ingenuamente e fanciullescamente attesa con sensibilità erotica) da parte del fidanzato della sorella, maggiorenne, Cecilia, accusa il giovane, di nome Robbie Turner, di violenza sessuale ai danni della cugina Lola.
La condanna porta Robbie in galera e in seguito, per usufruire della scarcerazione come volontario, in guerra, sul fronte in Francia. In questo secondo contesto Briony assiste alla crescente disperazione dei due innamorati costretti alla separazione e progressivamente avverte il «danno» inferto con la propria irresponsabile denuncia.
Nella terza parte Briony, presa piena coscienza della responsabilità di quella lontana menzogna, confessa la propria colpa attraverso il suo «ultimo» romanzo (esattamente il 21 della sua prolifica carriera, anche se, per la lontananza dell’inizio della storia, può essere definito «il primo»; il «primo» anche per l’importanza della componente autobiografica contenuta).
Il racconto cinematografico è – si può dire – la «piena forma» della vicenda, nel senso che il resoconto verbale della storia, appena riferita, senza l’indicazione dei modi cinematografici, non rende i significati che il regista ha espresso, neppure riguardo la vicenda raccontata per la quale dovrebbero essere indicati anchealtri personaggi secondari, ma non irrilevanti.
Tra gli altri (illuminazione, scenografia, costumi, movimenti della macchina da presa) due elementi sono fondamentali. Il primo è costituito dall’alternanza tra scene immaginate e scene reali. Il regista tende (grazie anche al montaggio) a ridurre drasticamente la differenza, proprio per esprimere la troppo realistica capacità visionaria della protagonista.
Il secondo elemento è costituito dalla colonna sonora; in particolare dal ticchettio della macchina da scrivere che punteggiando certe scene ne indica la natura. Come lo spettatore capisce verso la fine del film si tratta di una «natura» legata alla stesura dell’«ultimo» romanzo.

L’idea centrale (che, secondo i principi metodologici della Teoria della comunicazione cinematografica di Nazareno Taddei, può essere formulata in diverse maniere) verte attorno alla autenticità del pensiero, nel senso che il pensiero (la coscienza della protagonista, in questo caso) percepisce la distinzione tra verità e menzogna. Tale percezione, interiore, è cosí forte – se l’individuo sceglie di essere onesto prima di tutto con se stesso – da rimettere nel giusto ordine colpe personali, gravi responsabilità e da portare tutto ad una piena e pubblica confessione «espiatrice» (testo del romanzo ed anche intervista finale), oltrepassando cosí, seppure in un lungo travaglio durato praticamente un’intera vita, i limiti delle debolezze individuali e del proprio narcisismo.
Per far emergere questi valori il regista presenta, «in chiaroscuro», valori negativi impersonati da un personaggio, un amico del fratello, che è solo «simpatica apparenza». In realtà egli non ha scrupoli sia nell’ambito sessuale, sia in quello commerciale. Per lui la guerra, se è fonte di ricchezza, perde ogni connotazione tragica, ogni dolore, ogni sovvertimento della esistenza singola e collettiva.

Stilisticamente questo film, che ha inaugurato la LXIV Mostra di Venezia, ha diviso i commentatori, soprattutto a proposito di un evidentissimo «piano sequenza»(1). Due estremi: «un sovraccarico piano sequenza», cosí Piera Detassis, direttrice responsabile del periodico Ciak e del suo supplemento quotidiano, durante il periodo della Mostra, valuta quel passo del film di Joe Wrigth (Ciak in mostra, n. 1, 20 agosto 2007); uno «splendido piano sequenza», cosí Mariarosa Mancuso (Il Foglio Quotidiano, 22 settembre 2007).
Che dire? Il giudizio dipende dal criterio estetico di riferimento. Se si considera la struttura del film (non si chiama forse Lettura strutturale del film una delle opere fondamentali della metodologia di Nazareno Taddei?) si può affermare che il piano sequenza di ESPIAZIONE, con la sua evidentissima rottura di stile, lancia un segnale circa l’eterogeneità della materia trattata, come a richiamare l’attenzione sulla forzatura della somiglianza tra le immagini riferite alla realtà della storia e le immagini riferite alla visualizzazione delle fantasie della protagonista (forzatura legittima, anzi interessante, anche se, pur in altra maniera espressiva, non originale: si ricordi, tra i vari casi, il film di Fellini 8 E MEZZO e l’opposizione del regista nei confronti della produzione che intendeva differenziare gli incubi e i ricordi del protagonista tramite il viraggio delle immagini corrispondenti. E, ancora, come tacere di Buñuel; per esempio tra i tanti delle sue opere, del film LA VIA LATTEA, in cui la fucilazione del papa da parte degli anarchici spagnoli, una immaginazione di uno dei due protagonisti, è rappresentata in modo da sembrare reale). Certo, in L’ESPIAZIONE il piano sequenza appare «sovraccarico»; si direbbe una stranezza, ma lo è per essere una spia di quell’altra stranezza che costituisce l’ossatura dell’intero film. (Eugenio Bicocchi)

(1) Si tratta di una ripresa, senza stacchi, di una intera azione cinematografica; piano in questo caso è la traduzione del francese plan che significa inquadratura; ecco, dunque, «un’inquadratura» tanto articolata – e quindi, di fatto, spesso, molto lunga – da costituire una «sequenza», una unità narrativa conclusa (o, a volte, conclusa ma all’interno di un’azione piú ampia). La storia del cinema registra esempi interessantissimi e sublimi per invenzione stilistica, da Buñuel a Tarkowskj, da Hitchcock ad Antonioni, da Kurosawa a Bergman, da Kubrick a Godard, da Janksò ad Anghelopulos, solo per limitarsi ad alcuni maestri.
 

 


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