Il prigioniero del Caucaso
Regia: Sergei Bodrov
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 250 - 1997
Titolo del film: IL PRIGIONIERO DEL CAUCASO
Titolo originale: KAVKAZSKI PLENNIK
Cast: regia: Sergei Bodrov - sogg. e scenegg.: Sergei Bodrov, Boris Giller, Arif Aliev - fotogr.: Pavel Lebeshev - line producers: Dmitry Gavrischenko, Valery Tarmosin - suono: Yekaterina Popova-Evans - scenogr.: Valery Kostrin - mont.: Olga Grinshpun, Vera Kruglova, Alain Baril - costumi: Vera Romanova - interpr. princip.: Oleg Menshikov (Sacha), Sergei Bodrov jr. (Vania), Djemal Sikharulidze (Abdul-Murat), Susanna Mekharalieva (Dina), Alexei Zharkov (il capitano), Valentina Fedotova (la madre) - colore - durata: 95 - produtt.: Boris Giller, Sergei Bodrov - produz.: B.G. Production/Caravan - origine: RUSSIA, 1996 - distrib.: Istituto Luce
Sceneggiatura: Sergei Bodrov, Boris Giller, Arif Aliev
Nazione: RUSSIA
Anno: 1996
Presentato: 49. Festival di Cannes 1996 - Premio FIPRESCI, Festival Karlovy Vary 1996-GRAN Premio
Candidato all’Oscar per il miglior film straniero (anche se il premio è stato assegnato a KOLYA del ceko Jan Serak) e tratto da un romanzo di Lev Tolstoj che faceva riferimento alla guerra russo-turca, IL PRIGIONIERO DEL CAUCASO è ambientato nella Cecenia invasa dalle truppe russe. Tuttavia il film non intende svolgere un’analisi di tipo politico o storico sul conflitto russo-ceceno, quanto piuttosto denunciare la spirale di odio e di violenza instaurata dalla stupida miopia degli uomini e indicare l’unica strada possibile per superare tale situazione, quella della pace e della comprensione.
LA VICENDA. Vania, un giovane soldato russo appena arruolato e dal temperamento decisamente pacifico, e Sacha, un sergente esperto di guerra, cinico e disin¬can¬tato, vengono fatti prigionieri da alcuni partigiani ceceni durante una perlustrazione tra i monti del Caucaso. Li prende in consegna l’anziano Abdul-Murat, che ne vuole fare merce di scambio con il proprio figlio fatto prigioniero dall’esercito russo. I due soldati vivono a lungo nello sperduto villaggio caucasico, imparano a conoscersi meglio e a fare amicizia, e sono sempre sorvegliati dal cognato di Abdul, Assam, un tizio cui i Russi hanno tagliato la lingua durante la sua prigionia in Siberia. Tra Vania e la giovane figlia di Abdul, Dina nasce anche un rapporto di simpatia e di amore. Dopo un primo tentativo di scambio tra prigionieri, fallito a causa della slealtà dei Russi, Abdul cerca di coinvolgere la madre di Vania, dettando le condizioni per la liberazione degli ostaggi. Nel frattempo i due prigionieri vengono prelevati da una banda di ribelli ceceni e sono costretti a disinnescare delle mine —- correndo un gravissimo rischio — che i Russi avevano nascosto lungo una strada. Mentre proseguono le trattative tra Abdul e la madre di Vania, che sembra aver convinto il comandante russo— inizialmente contrario — ad accettare il baratto, i due russi approfittano di un momento di distrazione da parte di Assam per tentare la fuga. Durante tale tentativo, Sacha uccide prima Assam e poi un pastore, per impossessarsi del suo fucile. Ma i due vengono braccati e ben presto ripresi. Vengono separati. Sacha viene giustiziato per aver ucciso il pastore; Vania è riportato a casa di Abdul per il baratto. Ma proprio quando tutto sembra essere pronto per lo scambio, il figlio di Abdul, approfittando di un momento di confusione, scappa assieme ad altri prigionieri e viene ucciso. Abdul riporta a casa il cadavere del figlio. Ora non gli resta che vendicare la sua morte uccidendo Vania. Dina, però, innamorata del giovane, lo libera; ma Vania non se la sente di scappare lasciando la ragazza sola ad affrontare le ire del padre. Si avvia cosí alla sua sorte. Ma all’ultimo momento, inaspettatamente, Abdul non segue la logica della vendetta e lascia libero il giovane. Vania non crede ai propri occhi e prova una gioia immensa. Ma a nulla valgono le sue grida di fronte ad alcuni elicotteri russi che vanno a bombardare il villaggio ceceno.
IL RACCONTO procede in modo lineare con l’inserimento di due brevi flashes, che rappresentano due visioni che Vania ha di Sacha, dopo la morte di quest’ultimo.
• Già nell’introduzione appare chiara l’intenzione dell’autore di presentare due personaggi (uno, Vania, il protagonista del film, e l’altro, Sacha, che per gran parte del film sembra essere co-protagonista) con caratteristiche diverse, non solo dal punto di vista umano ma specificamente in rapporto alla guerra e alla violenza, che avranno due sorti diverse. Vania e uno dei tanti giovani che si presenta alla visita di leva, di fronte a medici militari svogliati e stanchi. La sua nudità, come quella dei suoi compagni, sembra indicare la sua mancanza di difesa e il suo dover subire. E infatti Vania si trova abile e arruolato e destinato ad andare «dove la patria chiama». Durante l’imboscata tesa dai Ceceni, Vania è incapace di reagire, è come paralizzato, e non riesce a sparare un solo colpo. Sacha, invece, viene presentato subito come un veterano della guerra. È spavaldo, cinico, sprezzante. Spara per futili motivi e durante l’imboscata reagisce rabbiosamente e combatte con gagliardia finché un ordigno non lo colpisce facendolo svenire.
• Nel grosso corpo centrale del film, che può essere suddiviso in alcuni blocchi narrativi corrispondenti ai principali episodi della vicenda, continua la contrapposizione tra i due personaggi centrali, in vista del diverso destino che essi avranno. Ma il film dà largo spazio anche al loro rapporto, al lento ma graduale cambiamento di Sacha, ai rapporti che si instaurano tra loro e i vari personaggi del villaggio.
Ma prima di analizzare piú a fondo questi elementi, è necessario sottolineare un altro aspetto del film che assume un rilievo tematico notevole. Si tratta del contrasto, che viene continuamente rimarcato, tra la vita del villaggio caucasico e la violenza della guerra con le sue crudeltà e la sua disumanità.
• Il villaggio e la guerra. Subito dopo l’introduzione del film, le immagini indugiano su una natura splendida e affascinante, all’interno della quale è incastonato un villaggio che appare irreale nella sua nuda arcaicità. Si tratta del Caucaso, una terra tra il mare e le montagne, in cui il tempo sembra essersi fermato. La vita, all’interno del villaggio, è scandita dalla dolce nenia del muezzin, dalla preghiera degli abitanti, dai piccoli gesti che rispondono alle esigenze elementari e quotidiane. I ritmi sono quelli della natura e, al di là dell’inevitabile fatica necessaria per vivere, lasciano trasparire ordine ed armonia. Ed ecco la musica e le canzoni, la mietitura e la trebbiatura fatta con gli asini, i bambini che ballano e giocano, l’approvvigionamento di farina, il vino nascosto in cantina, l’amore — che viene dal profondo del cuore — di Abdul per la figlia, la festa di matrimonio, il pane e l’acqua che non si negano nemmeno ai nemici prigionieri. Ma questa vita cosí naturale e armoniosa, che sembra favorire rapporti umani autentici e genuini, è guastata e corrotta dalla presenza di una violenza disumana. È la guerra, con la sua logica crudele e le sue leggi brutali. Ed ecco i carri armati, le imboscate, i ceppi e le catene, i genitori sconvolti per la sorte dei loro figli.
Particolarmente significativo è in proposito l’incontro tra Abdul e la madre di Vania: di fronte alla donna che cerca comprensione e qualcosa che accomuni, Abdul risponde seccamente: «Noi siamo nemici». La violenza genera violenza e innesca una spirale di odio e di vendetta che sembra non avere fine. Si pensi a Sacha che confida all’amico il suo desiderio di ritornare in quei posti per potersi vendicare, o a quel vecchio del villaggio, cui i Russi hanno ucciso due figli, che tenta di eliminare gli ostaggi e in seguito arriva ad uccidere un altro suo figlio che si era arruolato nella polizia russa. E cosí come il comandante russo dice alla madre di Vania: «La morte dei nostri figli sarà vendicata», Abdul dice a Dina: «I Russi hanno ucciso tuo fratello e noi dobbiamo uccidere i Russi».
È all’interno di questo filone tematico che rientra l’immagine finale (appena prima dell’epilogo) relativa agli elicotteri bombardieri che vanno verso il villaggio.
È la prevaricazione dell’odio e della violenza, che sembrano soffocare e travolgere una vita che potrebbe essere serena e armoniosa.
• Sacha e Vania. La caratterizzazione dei personaggi continua su questo sfondo tematico. Anzi, Sacha e Vania sembrano costituire l’emblema dei due modi contrapposti di concepire e di vivere la vita, quello della guerra e quello della pace.
Sacha è un duro ed è esperto di guerra. Usa le armi con disinvoltura e dice di aver perso il conto dei nemici da lui uccisi in battaglia. Dopo la cattura non si dimostra impaurito, anzi, ostenta sicurezza e assume un atteggiamento provocatorio. Incatenato a Vania, mal sopporta le preoccupazioni e le paure del suo giovane compagno di prigionia.
È sprezzante e scontroso nei suoi riguardi, cerca di spaventarlo e gli racconta un sacco di frottole. È anche molto astuto: punzecchia Assam per il suo mutismo e poi cerca di corromperlo per ottenere la libertà. Il regista tuttavia non lo colpevolizza sul piano personale: Sacha non è cattivo, ma uno che per una serie di circostanze si è venuto a trovare in una certa posizione. E infatti, a contatto con Vania e con la gente del villaggio, gradualmente si scioglie e sembra entrare in un’altra dimensione. Nascono cosí le confidenze, il rapporto umano, l’amicizia. Veniamo a sapere che Sacha viene dall’orfanotrofio, che gli piacevano le armi, e cosí, gradualmente, è entrato in un certo giroLa sua evoluzione risalta pienamente in due momenti particolarmente significativi. Il primo: i due commilitoni cantano una canzone militare; il sonoro si dilata e la canzone diventa corale ed epica; Sacha ha un momento di commozione e singhiozza disperatamente, mentre l’immagine sottolinea in dettaglio le mani dei due compagni una accanto all’altra. Il secondo: una vecchia radio trasmette una canzone americana e i due soldati, incatenati tra loro, si mettono a ballare esprimendo tutta la loro voglia di vi¬ta e di felicità.
Ma, nonostante questa evoluzione, Sacha resta pur sempre un uomo di guerra. Lo dimostra quando esprime il suo desiderio di vendetta e, di fronte all’obiezione di Vania: «Io non voglio ucciderli», ribatte con fermezza: «Devi, è la guerra». Lo dimostra soprattutto nel momento della fuga. La sua determinazione è piena e non esita ad uccidere due uomini pur di riuscire nel suo intento. Ma, come s’è detto, la violenza chiama violenza e il suo destino sarà quello di subire la stessa sorte delle sue vittime.
Vania è il giovanottone gettato nella guerra, dove sembra essere un pesce fuor d’acqua. Catturato, si preoccupa per la propria sorte e per il dolore della madre, una donna «molto emotiva», cui Vania aveva già scritto una lettera in cui decantava le bellezze del Caucaso. Il giovane soldato, orfano di padre, è aperto alla vita e ai rapporti umani e sembra essere in sintonia con l’esistenza semplice e naturale della gente del villaggio. È gentile, premuroso, delicato. Ripara l’orologio di Abdul che, per la prima volta, si apre ad un sorriso di soddisfazione. È grazie a lui che lo stesso Sacha si scioglie e, almeno per un po’ cambia atteggiamento. È un essere pacifico. Si ripromette di imparare a combattere, ma nel momento in cui deve lottare con uno dei ribelli ceceni si dimostra talmente goffo e impacciato da coprirsi di ridicolo. La tenera storia d’amore con Dina rivela la sua delicatezza e la sua sensibilità (le attenzioni, i sorrisi, il rispetto, il regalo del gabbiano di legno fatto con le sue mani, ecc.). Non prova risentimento nei confronti di coloro che lo tengono prigioniero e, quando scappa, lo fa senza nuocere ad alcuno; anzi, istintivamente, cerca di salvare Assam che, dopo averlo aggredito, sta per cadere nel precipizio. La sua nobiltà d’animo emerge pienamente nel momento in cui Dina lo libera per sottrarlo all’ira del padre. Vania, per amore della ragazza, non fugge, ma resta lí accanto a lei in attesa della sua sorte.
Le immagini sottolineano le lapidi del cimitero: quanti morti; e chissà quanti tra loro vittime della violenza degli uomini.
Ma è significativo che proprio di fronte a quest’uomo pacifico e non violento si spezzi la catena delle vendette e delle ritorsioni. Abdul spara in aria. Vania è salvo.
• Nell’epilogo, la voce fuori campo di Vania racconta la felice conclusione della sua vicenda. Le immagini, fisse e in bianco e nero, rappresentano i volti delle persone conosciute dal giovane soldato. E Vania esprime il desiderio di poter rivedere — almeno in sogno — quelle persone che egli dice di aver amato e che ora non sono piú.
L’IDEA CENTRALE emerge dai due grossi filoni tematici analizzati: in un contesto storico in cui la guerra e la violenza soffocano le piú naturali e autentiche esigenze umane, solo un atteggiamento pacifico e non violento può spezzare — contagiosamente — la spirale di odio e di vendetta.
La TEMATICA del film è quanto mai interessante e attuale. Certo, Vania ed Abdul rappresentano l’eccezione all’interno di una logica di violenza. Nel finale, infatti, gli elicotteri vanno a bombardare il villaggio. Ma i due personaggi diventano emblematici di un modo nuovo di vivere i rapporti umani: quello della tolleranza, della comprensione e del dialogo.
Anche sotto il profilo CINEMATOGRAFICO, il film è opera pregevole.
IL PRIGIONIERO DEL CAUCASO, poi, è estremamente valido dal punto di vista MORALE (significativa la classifica della Cnvf: «raccomandabile/complesso») e può essere di grande efficacia per educare ai valori della pace e della tolleranza. (Olinto Brugnoli)