Senza tetto nè legge
Regia: Agnes Varda
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 140 - 1986
Titolo del film: SENZA TETTO NÈ LEGGE
Titolo originale: SANS TOIT NI LOIT
Cast: regia: Agnes Varda - scenegg.: Agnes Varda - fotogr.: Patrick Blossier- mont.: Agnès Varda, Patricia Mazuy - mus.: Joanna Brudzowicz - interpr. princ.: Sandrine Bonnaire, Macha Mérile, Stephane Freiss, Marthe Jarnias, Yolande Moreau, - distrib.: Academy Pictures - colore - durata: 105' - orig.: FRANCIA, 1985
Sceneggiatura: Agnes Varda
Nazione: FRANCIA
Anno: 1985
Chiavi tematiche:
La vicenda. Simone Bergereaux (detta Monà) è una giovane ragazza, diplomata segretaria d'azienda, che ha rotto i ponti con il mondo normale e vaga come una «barbona» per le campagne e i paesi del «Midi» francese in pieno inverno. Incurante del proprio aspetto fisico, sporca, malodorante, Monà è una specie di campeggiatrice selvaggia fuori stagione. Pianta la tenda dove capita (in un cimitero; in mezzo alla neve; ecc.); vive alla giornata facendosi offrire qualche panino, un po'd'acqua e talvolta raggranellando un po' di spiccioli con qualche lavoretto che le viene offerto. Vaga senza meta e senza un apparente scopo. Fa l'amore liberamente, con chi le va; fuma «I'erba» e ama la musica, soprattutto quella allegra. Nel suo girovagare incontra diverse persone: dei ragazzi che la guardano con curiosità ed interesse (soprattutto sessuale): camionisti che le danno qualche passaggio: un benzinaio che le offre qualcosa da fare; un filosofo-pastore, che ha scelto di tornare alla natura, e che cerca di recuperarla ad una vita attiva donandole consigli e suggerimenti; una platanologa, docente universitaria e ricercatrice, che la prende a benvolere e la porta in giro con la sua macchina; un lavoratore tunisino che le si affeziona, le insegna a potare le viti e dice di voler rimanere con lei, ma quando tornano i suoi compagni sarà costretto a lasciarla; una ragazza (Yolande), al servizio presso una vecchia e fidanzata con un poco di buono, che la introduce nella casa dove lavora; la stessa vecchia, con la quale Monà familiarizza, con la complicità di qualche «goccetto» di vino. Ancora: qualche compagno occasionale; gente della strada; prostitute; barboni, ecc. A causa di un incendio scoppiato per una lite tra barboni in una casa diroccata, Monà perde la sua tenda, I'unico riparo che possedeva contro i rigori delI'inverno. Continua a girovagare, ora piú smarrita e indifesa di prima, e s'imbatte in una paurosa festa dei «vignerons» dalla quale s'allontana terrorizzata. S'inoltra nei campi, dove cerca rifugio. Ha freddo. S'accascia in un fosso dove verrà trovata morta assiderata alle prime luci del giorno da alcuni contadini.
Il racconto. Possiede l'impostazione strutturale del flash-back. L'introduzione, con i titoli di testa e la didascalia che dedica il film a Nathalie Serraute, costituisce una prima ma già efficace descrizione dei luoghi che diventeranno il teatro della vicenda: le dolci e ventose campagne del Sud della Francia. In un fosso viene trovato il corpo esanime di Monà. Vengono espletate le formalità di rito: I'arrivo dei gendarmi, alcune fotografie, un po' di domande. Per i poliziotti il caso è chiaro; non resta che archiviarlo come uno dei tanti episodi di morte naturale per assideramento. Un fatto di cronaca, come tanti altri, niente piú. Ma improvvisamente una voce fuori campo dà il via ad alcune considerazioni fondamentali per lo sviluppo narrativo del film: «Quella morta di morte naturale non lascerà nulla dietro di sé. Mi chiedo se chi l'ha conosciuta da bambina si ricorda di lei. Ma chi l'ha incontrata negli ultimi tempi si ricorda molto bene di lei e ci ha permesso di ricostruire le sue ultime settimane di vita. Si chiamava Monà Bergereaux».
Parte un groso flash-back, che dura sino alla fine del film, intervallato soltanto da alcuni ritorni al presente in cui compaiono i vari personaggi che parlano della ragazza. Da notare che alcuni di questi «testimoni» (Yolande in modo particolare) si rivolgono talvolta direttamente verso la macchina da presa quasi a sancire il carattere di inchiesta che da questo momento va assumendo tutto il racconto filmico. Vengono cosí ricostruite le ultime settimane di vita di questa ragazza.
Dal punto di vista della struttura narrativa, si possono evidenziare i seguenti perni, in funzione tematica:
1) Monà fa (ha scelto) un certo tipo di vita;
2) nei suo girovagare incontra numerose persone e viene coinvolta in diversi episodi;
3) alla fine resta sola e muore, ma lascia un ricordo molto vivo e profondo in coloro che l'hanno conosciuta.
Analizziamo brevemente questi tre perni strutturali:
1) Risulta subito chiaro quello che il film vuole essere: un'indagine di natura socio-politica, con tanto di polemica nei confronti della società, sul problema dell'emarginazione. Prima di tutto perché non si può dire che nel film si parli di emarginazione, ma piuttosto di «marginalità»; secondariamente perché non esiste assolutamente un approfondimento delle cause che hanno portato Monà, lei, una segretaria d'azienda, a fare un certo tipo di scelta.
Solo un paio d'accenni: uno ai capiufficio che hanno «rotto», I'altro al fatto che è «meglio la strada e lo champagne». Non pare che la sua sia stata veramente uná scelta (razionale e ponderata), quanto piuttosto una reazione istintuale, spontanea, naturale, di rifiuto da una parte e di ricerca dalI'altra. Il suo è soprattutto un lasciarsi andare, un abbandonarsi a ciò che l'istinto detta, momento per momento, senza porsi troppe domande o troppi perché. Ecco perché lei passa «come un colpo di vento... senza meta, senza desideri e senza ambizioni». Con tutte le contraddizioni che un simile atteggiamento comporta, ma anche con quel tanto di autenticità e di umanità che nascono dal sentirsi completamente liberi.
2) Le varie testimonianze di coloro che l'hanno incontrata svolgono una duplice funzione: da un lato gettano luce sull'identità e la personalità della protagonista; dall'altro costituiscono una specie di quadro d'ambiente che circonda la ragazza.
— Per quanto riguarda le caratteristiche che denotano Monà, si può rilevare, oltre a quanto già osservato a livello di vicenda, la sua scontrosità, la selvatichezza del comportamento, il coraggio che la porta a sfidare la fame, la sete, la paura, il freddo. Ma anche la sensibilità e la dolcezza, che talvolta emergono sotto le croste del sudiciume e che la portano a familiarizzare coi bambini, con i vecchi e che la rendono naturalmente accetta a tutti i cani che incontra. Monà non cerca legami stabili e si rifiuta di lavorare piantando patate, ma si affeziona sinceramente alla dottoressa e al tunisino, che «ha gli occhi da buono» e col quale accetta di fare un lavoro duro e faticoso. La vediamo donare il sangue non per interesse o guadagno, ma cosí, quasi per divertimento.
Ma ciò che piú colpisce in lei è il prepotente bisogno di una grande, assoluta libertà. «Tu hai scelto la libertà assoluta e la paghi con un'assoluta solitudine», le dice il filosofo-pastorale, che con un certo rammarico ammette di aver scelto una via di mezzo fra solitudine e libertà. La ragazza ribatte dicendo di star bene da sola. Ma la risposta del filosofo è drammaticamente premonitrice: «Tutti i miei amici che avevano scelto la strada sono morti o scoppiati, perché la solitudine li ha divorati».
Anche la ragazza farà la stessa fine, bruciata dal suo radicale ma (è necessario dirlo anticipando una valutazione) malinteso bisogno di libertà.
— Per quanto si riferisce alle persone che l'incontrano e che hanno con lei qualche rapporto, si può osservare come ciascuna si comporti nei suoi confronti in un modo particolare. Sintetizzando, però, si potrebbe dire che due sono sostanzialmente gli atteggiamenti che emergono: uno, negativo, che di volta in volta assume le forme del rifiuto, del tentativo di sfruttamento, della critica; uno, positivo, che si manifesta nella comprensione, nell'accettazione e nell'affetto, pur con tutte le riserve e i limiti del caso.
3) La protagonista si perderà, vittima di una scelta esistenziale esaltante e utopica, ma che è incapace di salvare, anzi sembra portare inevitabilmente ad uno scacco definitivo. Ma ciò che la regista sembra voler evidenziare, scegliendo una precisa struttura cinematografica (quella del flash-back), è il fatto che tutti coloro che in qualche modo hanno avuto a che fare con Monà ne conservano vivo il ricordo. Alcuni ne parlano male, altri la criticano, altri dicono di averla invidiata per la sua libertà, altri ancora pensano a lei con nostalgia o affetto o compassione; ma tutti, in ogni caso, si ricordano di lei.
Segno evidente che questa ragazza è riuscita, nonostante tutto, a lasciare una traccia dietro di sé. Non certo perché la sua scelta sia stata giusta o esemplare. La regista non fa di Monà un'eroina e non la propone come un modello da imitare. Ma se la sua scelta di fatto si rivela sbagliata (cercare l'assoluta libertà in un certo modo), le radici profonde della sua scelta (cioè l'anelito verso la libertà) rappresentano una dimensione profondamente e genuinamente umana che non può non trovare riscontro in ogni persona.
A questo punto la lettura sconfina necessariamente nella valutazione tematica. Se è vero che il film afferma che nell'uomo è presente questa profonda sete di libertà, è anche vero che non sembra che in alcun modo l'uomo riesca a realizzare tale anelito. Non ci riesce Monà, che alla fine risulterà sconfitta; non ci riescono i vari personaggi, che vedono nella ragazza quasi un simbolo della piena libertà (e per questo si ricordano di lei).
Vuol dire allora che la libertà è solo un'illusione, una vuota chimera, un'alienante utopia? Mi pare che il film non risponda a questi interrogativi, pur suscitandoli almeno in parte. Una risposta (che però il film non dà) potrebbe essere quella che fa capire che la libertà umana non potrà mai essere assoluta, ma sempre e solo relativa, e che fa consistere la piú piena libertà dell'uomo non nella solitudine assoluta, ma nella piena solidarietà con gli altri, in un rapporto di comprensione e di amore.
Cinematograficamente ci troviamo di fronte ad un'opera pregevole e di grande interesse. Lo stile cinematografico è quasi bressoniano nella sua essenzialità narrativa ed asciutezza formale. La regista non si rifugia mai nel patetismo o nella facile spettacolarità, ma firma un'opera espressivamente precisa e ammirevole. La recitazione è sempre equilibrata e cinematografica; la fotografia sa creare atmosfere ricche di significato; il sonoro (comprendente un commento musicale agro ed efficace) integra armonicamente l'immagine visiva.
Sotto il profilo morale spicca il valore della «pietà» che circonda e avvolge il personaggio di Monà. Anche la sua inquietudine, il suo coraggio, la sua sete di libertà non possono che essere valutati positivamente. Manca forse; come già accennato a livello tematico, la parte propositiva, quella cioè che, partendo dal fallimento di un'esistenza, sappia non solo dolersene ma anche individuarne con lucidità le ragioni e prospettare, magari con coraggio e creativamente, delle vie «di salvezza». (Olinto Brugnoli)