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Gabrielle



Regia: Patrice Chéreau
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Edav N: 333 - 2005
Titolo del film: GABRIELLE
Titolo originale: GABRIELLE
Cast: regia: Patrice Chéreau – scenegg.: Patrice Chéreau e Anne-Louise Trividic – fotogr. : Eric Gautier – mont.: François Gedigier – mus.: Fabio Vacchi – scenogr.: Olivier Radot – costumi: Caroline de Vivaise – interpr.: Isabelle Huppert (Gabrielle) – Pascal Greggory – Claudia Coli – Thierry Haneisse – Chantal Neuwirth - durata 90’ – colore – produtt.: Patrice Chéneau – produz.: Azor Film - origine: Francia/Italia, 2004 – distrib.: Mikado
Sceneggiatura: Patrice Chéreau e Anne-Louise Trividic
Nazione: FRANCIA, ITALIA
Anno: 2004
Presentato: 62. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2005- In Concorso - LEONE SPECIALE PER IL COMPLESSO DELL'OPERA (a Isabelle Huppert)

Uno dei presenti, ricordando i tempi in cui con quell’allegrone dell’allievo e amico Don Neffari, salesiano, si masticava e si digeriva la «Lettura strutturale» con le sue barzellette e spiritose definizioni, ha cosí espresso il «È la storia di…» di questo film: «È la storia di una figlia di buona donna, la quale porta a tale esasperazione il marito, da costringerlo ad andarsene, cosí a lei resta la casa.»
Anche se nemmeno la vicenda del film è proprio questa, la boutade non è lontana dalla sostanza del film che mi accingo a «leggere.»    

È la storia di un violento scontro sentimentale, tra marito e moglie (o tra moglie e marito) dopo dieci anni di matrimonio. Vorrei dire che il film è un dramma psicologico, ma non mi sento di affermarlo, perché, come dirò, ho l’impressione che l’autore non abbia idee molto chiare su una vita di vero amore, sebbene la battuta finale del film, che citerò, sia in suo favore.  
  Prima di entrare nel film, ricordo quello che ne ha scritto l’autore: «(il film è) come un esperimento chimico su due campioni – il crollo irreparabile di un mondo (quello di lui) e la nascita di un altro (quello di lei) che si sviluppa dalla sofferenza.»
Ma quello che l’autore è altro: «Lo scopo era quello di rappresentare in maniera dettagliata le usanze di una tribú esotica; la ricca e potente tribú parigina dei primi del Novecento (…) Un mondo fatto di uomini onnipotenti e donne costrette a sottomettersi al loro potere. (…) Quello che succede in quella ricca casa, nella calma delle sale d’aspetto, è come un’esplosione atomica. Questo film non è su «una donna di quel periodo, ma ha un valore universale.»  
  E come mai? Perché «racconta la storia di una donna, che ritorna a casa sua, perché l’amore è scomparso, e di un uomo che lascia la sua abitazione perché è sempre stata priva di vita (…) Problemi esistenziali sempre attuali».  
  Ma il linguaggio cinematografico ci insegna che l’«universalizzazione» in cinema si attua non già con qualche dettaglio di vicenda, bensí con il «modo» in cui esso è strutturato in sé e nello specifico contesto (*).
  E veniamo al film. Comincia con un treno che arriva e nella folla isoliamo Jean, che sapremo essere il «lui» il padrone di casa e marito. Con v.f.c. parla della moglie che esalta come donna e come compagna. Dal bianco e nero passiamo al colore all’interno della casa con un gruppo di amici a cena, che discutono; ma lui ha sempre gli occhi sulla moglie di cui, sempre con v.f.c., dice meraviglie.  
La sera seguente, il marito rientrando non trova la moglie, bensí un suo biglietto nel quale gli dice di essere andata via con un altro uomo. Mentre il marito incredulo inizia a disperarsi, la moglie rientra.  
A quel punto, inizia l’interrogatorio del marito: vuol sapere tutto: chi è quello, se fa l’amore meglio di lui… se, se, se… A tutte le domande la moglie risponde anche con dei dettagli. Il marito si preoccupa anche di come fare a dirlo agli amici o se si deve far finta di niente.  
Cena con gli amici, durante la quale il marito comunica il fatto.  
Partiti gli amici e rimasti soli i due sposi, comincia una discussione tra loro, che si fa sempre piú accesa, tanto da far temere peggio (e io tra me e me, mi auguravo che non succedesse, per non far cadere il tutto in una enorme banalità). Il regista non ci casca; e porta la vicenda verso un’altra soluzione, non molto meno banale, ma almeno non priva di significato logico: il rapporto sessuale.  
Pare cosí – se non ho capito male – che, almeno da parte della moglie, per quella strada, la sua crisi poteva essere superata: lei si mette denudata sul letto e invita il marito per stabilire chi dei due (marito o amante) vale di piú. Il marito, quando sta per aderire, si ritrae con evidente disgusto, affermando che non essere lí una vita d’amore. E se ne scappa via da qualcosa, dove una v.f.c. informa che non farà piú ritorno.    
Ed è vero: la vita umana, che ha alla base l’amore, non può essere tutta e solo nel sesso, tuttavia, in essa e in quella delle coppie, il sesso ha grande e fondamentale parte, perché proprio esse e proprio attraverso il sesso sono destinate, dalla natura e quindi da Dio, a rea-lizzare la loro enorme funzione sociale, ch’è quella di conservare la specie umana.  Niente di questo traspare nella concezione e nella realizzazione del film; quindi anche sotto l’aspetto cinematografico e artistico, esso se ne resta mi¬serello e incompiuto, per l’insufficienza del soggetto, prima ancora che della sceneggiatura, pur facendosi lodare l’ottima direzione e anche la bravura degli attori. (Nazareno Taddei SJ)  

(*) v. N. TADDEI, Dalla Comunicazione alla lettura strutturale del film, ediz. Edav, 1995, pag. 129.  
 

 


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