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La passione di Giosuè l'ebreo



Regia: Pasquale Scimeca
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Edav N: 333 - 2005
Titolo del film: LA PASSIONE DI GIOSUÈ L'EBREO
Cast: regia: Pasquale Scimeca– scenegg.: Pasquale Scimeca e Nennella Buonaiuto – fotogr. : Pasquale Mari – mont.: Babak Karimi – mus.: Miriam Meghnagi – scenogr.: Eva e Osvaldo Desideri – costumi: Grazia Colombini e Giulia Mafai – interpr.: Anna Bonaiuto (Anna), Leonardo Cesare Abude (Giosuè), Marcello Mazzarella (Johann), Giordana Moscati (Sara), Franco Scaldati (mastro Sciumek), Vincenzo Albanese (L’inquisitore), Toni Bertorelli (Abravanel) - durata 105’ – colore – produtt.: Rosa Scimeca e Rosario Calanni Macchio– produz.: Arbash - origine: ITALIA, 2005 – distrib.: Istituto Luce
Sceneggiatura: Pasquale Scimeca e Nennella Buonaiuto
Nazione: ITALIA
Anno: 2005
Presentato: 62. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2005 - Giornate degli autori

È la storia dell’ ebreo Giosué, ambientata nella Spagna del 1492, che fin dalla sua nascita viene considerato dalle autorità religiose ebraiche, primo fra tutti il ministro di corte, e (in seguito) dal padre stesso, il nuovo “Messia”, colui cioè che “scorterà gli ebrei fino alla terra promessa”. Giosué vive la sua adolescenza senza dare troppa importanza alla profezia, ma intanto studia i testi ebraici e rivela una sorprendente facilità nell’assimilarli e ritenerli a memoria.
In seguito a un editto promulgato dalla regina Isabella e dal re Ferdinando, editto che ordina ai “non cristiani” di convertirsi o lasciare la Spagna, Giosué è costretto ad abbandonare la terra natale con la sua famiglia (madre e sorella; il padre infatti è nel frattempo morto) e a partire verso Napoli, scortato dal soldato Hiovanni, ebreo come lui e da un paio di musulmani anch’essi colpiti dall’editto, ma che, al confine, decideranno di rimanere in Spagna (poiché “quella é la loro terra”) e di arrangiarsi.
Dopo un viaggio pieno di difficoltà e pericoli, durante il quale rischia pure di morire in un naufragio, al quale scampa fortunosamente, Giosué giunge finalmente a Napoli dove incontra il ministro di corte ebreo che lo saluta di nuovo come un Messia e sotto la guida di questi, Giosué viene a contatto con i testi della tradizione cristiana, dai padri della Chiesa ai Salmi, e li comincia a studiare con dedizione, imparandoli a memoria.
Poco tempo dopo però anche a Napoli, invasa dalle truppe francesi, scoppia, oltre alla peste, l’odio antisemitico; e il giovane ebreo (con famiglia al seguito), su consiglio dello stesso ministro, parte per la Sicilia dove le cose per gli ebrei, peraltro non sembrano certo migliori. Anche qui, infatti, essi sono stati scacciati dalla città, ghettizzati e costretti a convertirsi e vivono in una piccola comunità di carbonai da loro fondata. In essa, arriva anche Giosué che seppure non battezzato, ma fingendo di esserlo, comincia a rendersi utile, lavorando con la gente del posto e stringendo amicizia con Salvatore, un ebreo “battezzato” che nutre verso il cristianesimo un profondo rancore.
Un giorno, mentre va a vendere il carbone in città accompagnato da Salvatore, Giosué partecipa per caso alla festa della “Casazza”, una gara di erudizione su temi religiosi cristiani e stupisce persino il Vescovo con la sua conoscenza. Non aspettando la proclamazione del vincitore, si rimette in viaggio verso la sua comunità, ma in preda all’euforia che lo fa cantare e proclamare inni, ritto sul suo asino, non si avvede di un ramo di un albero contro il quale sbatte la testa, venendo sbalzato dalla sella; viene portato al villaggio e lí resta per ore (giorni?) in un sonno profondo quanto un coma che fa preoccupare tutti (“non si sveglia!”, esclamerà avvilita la madre).
Nel villaggio giunge poco dopo anche il Vescovo cristiano: messo al corrente della situazione, si mette a pregare con gli altri fino a quando Giosué misteriosamente (“è un miracolo!” grida pure qualcuno) si risveglia e gli viene comunicato di aver vinto la gara e di essere stato scelto per interpretare la parte di Gesu nella recita della Passione e per vestire la “casazza”, una bianca tunica che lo “renderà degno di rispetto” davanti all’autorità e lo renderà anche “immune dai peccati”.
Nei giorni seguenti, Giosué però sembra immedesimarsi troppo nella parte di Cristo, si autoproclama il “Messia”; raccoglie un gruppo di proseliti e inizia una vera e propria predicazione (con discorsi nei quali mischia elementi della tradizione cristiana con quella ebraica) che presto lo rende inviso agli stessi ministri ecclesiastici cristiani dai quali prima era stato scelto. Questi, visto il successo popolare del giovane, decidono di farlo uccidere da falsi soldati romani.
Avendo quindi patito la sua personale «via crucis», Giosué, crocefisso, dopo aver esclamato che lui «non é il Messia, ma Giosué, l’ebreo» e aver chiesto (in ebraico) «Padre, perché mi hai abbandonato?», fa ancora in tempo a gridare che «Dio é uno solo»… e poi muore.
Il film comincia con una scritta nero su bianco: «Negli ultimi decenni del XV sec. re Ferdinando e la regina Isabella riunificano la Spagna in nome del cattolicesimo. Dopo secoli di convivenza, ebrei e musulmani vengono cacciati via» e si conclude con un’altra scritta, una frase di Papa Giovanni XXIII: «Perdonaci per le maledizioni che abbiamo ingiustamente attribuito al loro nome di ebrei. Perdonaci per averti una seconda volta crocefisso in essi, nella loro carne, perché non sapevamo quello che facevamo».
Il primo incontro di Giosué con i cristiani è difatti un brutto incontro: durante una processione, il giovane ebreo, reo solo di aver ostacolato il passo al capo processione, viene da questi bastonato ferocemente. Il capo processione, rigorosamente vestito di nero, come il resto degli altri in processione, forniti anche di neri cappucci a punta, dopo averlo lasciato malconcio e in lacrime, passa oltre, tornando a cantare i suoi inni.
Altre volte nel film assisteremo a scene di simile natura, per es. il brusco allontanamento da una Chiesa («come osi toccare nostro signore, cane di un ebreo») da parte del sacerdote che un attimo prima con acqua benedetta e voce piena d’amore invitava i “fratelli” ebrei a convertirsi.
L’odio cristiano nei loro confronti risulta nel film feroce, ingiusto e ingiustificabile; tanto piú ingiusto agli occhi di Giosuè che ritiene che “Cristo sia ebreo” (frase che ritornerà piú volte nel film); Giosué , nella sua mitezza, non avversa Cristo (“Cristo è ebreo”), tanto è vero che quando il compagno Salvatore, in un impeto di rabbia, sta per sputare sul crocefisso che porta al collo, viene da lui fermato e ammonito: “Cristo non ha colpa. La colpa non è sua!”.
Di chi é allora la colpa?
La “colpa”, dalla struttura del film, sembrerebbe essere dell’autorità ecclesiastica, di quei ministri che circondano la regina a corte e contro cui si scaglia il dignitoso primo ministro ebreo.
D’altra parte gli stessi cristiani riconoscono l’errore commesso dai loro confedeli: “l’ho sentito parlare! Il demonio non parla come Gesu”, tenterà di ribattere un sacerdote alle accuse che vengono mosse contro Giosué; ”Che cosa aveva fatto di male, era un uomo buono”, dice commosso il monaco che occupa la casa siciliana da cui è stato sfrattato il rabbino ebreo ; E pochi minuti dopo, lo stesso monaco non riuscirà a pronunciare le formule latine del battesimo e quindi ad officiare il rito, richiestogli dalla madre di Giosué, perché - sopraffatto dalla commozione - scoppierà in lacrime.
L’ipocrisia e la cattiveria dei ministri portano cosí Giosue alla morte, nello stesso identico modo di Cristo e la recita della Passione si identifica cosi’ profondamente in quella vera di Gesu Cristo (il titolo è del resto emblematico); l’ebreo morirà ricordando che Dio è uno, mentre il gerarca cristiano, svelando ancora una volta la sua ipocrisia, calmerà la folla tonante contro le atrocità subite da Giosuè chiedendo: “perché gridate in questo modo? È solo una recita!”, ben sapendo che in realtà essa è una condanna a morte.
È il film di un uomo arrabbiato contro la Chiesa cristiana, soprattutto deluso da essa – non so quanto giustamente – e che con questa opera si scaglia contro le strutture ecclesiastiche colpevoli – a suo modo di vedere – di essere responsabili del dramma ebraico e di non essere capaci di chiedere un autentico perdono per le malefatte commesse.
A parte che tutto questo è in contraddizione – anche abbastanza palese – con il perdono richiesto da Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II e riconosciuti entrambi dall’autore, non mi sembra che il film abbia quella serenità di giudizio e quella obbiettività nel narrare che sarebbero state necessarie per affrontare un argomento del genere; il livore dell’autore sprizza da ogni immagine e, si sa bene, che l’ira non permette serenità di giudizio.
Comunque una vicenda bene impostata, attori ben diretti – ad esclusione dell’interprete di Giosué che non mi ha convinto – e un montaggio serrato e con un ritmo sostenuto; peccato per tutto quell’astio che spunta fuori ad ogni piè sospinto, perché le stesse cose avrebbe potuto dirle in un altro modo con forse maggiore efficacia. (Manfredi Mancuso & Franco Sestini)
 

 


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