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Incontri alla fine del mondo



Regia: Werner Herzog
Lettura del film di: Adelio Cola
Edav N: 356 - 2008
Titolo del film: INCONTRI ALLA FINE DEL MONDO
Titolo originale: ENCOUNTERS AT THE END OF THE WORLD
Cast: Regia, scenegg. e suono: Werner Herzog – fotogr.: Peter Zeitlinger – mont.: Joe Bini – mus.: Henry Kaiser, David Lindley – durata: 99’ – HD Cam, colore – produz.: Discovery Films – origine: USA, 2007 – luogo delle riprese: Polo Sud, Antartide
Sceneggiatura: Werner Herzog
Nazione: USA
Anno: 2007
Presentato: Film Festival di Toronto 2007

Il film cattura subito lo spettatore con la visione «fantascientifica», ma reale!, d’una ripresa subglaciale supportata da un coro misterioso affascinante di solenne religiosità contemplante.

Quasi immeditamente il regista ci riporta nel nostro mondo quotidiano. La sua voce f.c., sempre serena nella semplicità dei brevi interventi, ci accompagnerà per tutta la durata del suo ultimo film, Werner Herzog ha incontrato e fatto una breve esperienza con il mondo... ai confini del nostro mondo.

Egli osserva e documenta, intervista e registra, soprattutto «dialoga» con un mondo apparentemente morto, anch’esso con i rumori dei suoi «passi» e le voci dei suoi abitanti.

Un grande aereo atterra sull’aeroporto d’un lago ghiacciato prossimo al Polo Sud. Sotto di lui due metri e mezzo di ghiaccio accolgono senza incrinarsi mezzi pesantissimi di trasporto che depongono attrezzature e strumenti scientifici sofisticati assieme a tonnellate di risorse di viveri per i numerosi scienziati che scrutano i misteri di quel lontano continente misterioso.

Laggiú scorgiamo le montagne che giacciono sotto coltri di tre chilometri di ghiaccio eterno.

Di fronte a noi un iceberg delle dimensioni della Sardegna. I cinquanta metri della cristallina «scogliera», che impediscono la visione dell’aldilà, sono sostenute da centinaia di metri di fondamenta posate... sull’acqua a –2 gradi centigradi di temperatura.

Ecco i pinguini. Dove va quel goffo signore sbattendo le pinne alate allontanandosi dal gruppo?

È impazzito?, chiede il regista. Anche i pinguini impazziscono?

L’esperto gli spiega che una legge misteriosa alla quale nessuno può opporsi sospinge quell’individuo verso i cinquemila chilometri che lo dividono dalle montagne, abbandonando l’istinto di correre verso l’acqua che l’aspetterebbe alla sua destra, per andare a morire nell’interminabile viaggio suicida. Non esiste spiegazione. Anche se lo si riportasse al luogo di partenza tra i colleghi uccelli, che preferiscono camminare anziché volare, egli ritornerebbe ad allontanarsi definitivamente dalla nera folla dei pinguini e riprenderebbe la strada verso il deserto ghiacciato.

Il regista ha la facoltà di porre brevi domande agli scienziati che studiano la vita del Polo Sud. Sorprendono la serenità e l’entusiasmo di persone che stanno sperimentando l’esistenza in circostanze insolite, nelle quali, ad esempio, la luce del giorno dura ventiquattro ore per cinque mesi.

L’organizzazione scientifica è «militarizzata», domande e risposte non sfiorano argomenti segreti, che del resto al regista non interessano, perché lo scopo del suo viaggio ai confini del mondo è loro estraneo.

Ha ottenuto la possibilità di indossare il pesante scafandro del palombaro e con il fedele collaboratore delle sue riprese, s’inabissa con una macchina digitale verso il mistero del sottoghiaccio. La voce f.c. spiega che qualunque altra cinecamera con pellicola avrebbe esigito la troupe e gli addetti alle macchine, condizione irrealizzabile in quella circostanza.

I due uomini dunque scendono a scrutare i segreti del mondo morto. La sorpresa è grande: quel mondo è vivo, piú vivo che mai.

Ecco i molluschi che si spostano sbattendo e schiudendo le valve delle loro casette di conchiglia.

A destra s’abbarbica alla roccia un essere stellato con zampette filiformi stese alla cattura di minuscole prede.

A sinistra compare un angelo volante dotato di ali e ampie cortine luminescenti che lo spostano con eleganza incontro ad un altro, fornito di paracadute di medusa d’infuocato rubino.

Ed ecco la regina degli abissi, la foca. L’avevamo già vista lassú tra i ghiacci, ora è qui, ci gioca attorno indifferente. Lo spettatore se la vede vicina e quasi l’accarezza con le mani dei due palombari.

Avevamo udito, quand’era lassú che coccolava il suo cucciolo goloso, anche il suo grugnito, lungo e insistente, senza inflessioni di fastidio e intolleranza. La presenza degli uomini rispettosi del suo territorio non le procurava disagio. La convivenza era reciprocamente accettata. Anche quando lo scienziato le impediva la visione della luce incappucciandola con un sacchetto di carta mentre un collega le spremeva con delicatezza poche gocce di latte, rubandole al cucciolo sempre affamato, per consegnarle agli strumenti misuratori della percentuale di grasso, che ordinariamente raggiunge il quaranta per cento del peso, anche allora lei, l’animale, e l’uomo... si dànno una mano e vivono in pace.

Non è sempre festa e gioia neanche al Polo Sud.

Ogni tanto arriva «la tempesta», vento che non permette di restare in piedi, temperatura che paralizza la faccia adornando il naso, pur protetto da lana e pelliccia, di eleganti traslucidi stalattiti ghiacciate.

Bisogna prepararsi all’eventuale pericolo, anche perché in quelle circostanze viene meno la possibilità di vedere addirittura le proprie mani. Ecco allora la prevenzione con esercizi di sopravvivenva estrema. Gli uomini si legano l’uno all’altro e simulano operazioni ed esercizi che sperano di non mettere mai in esecuzione. Ma non si sa mai! Bisogna essere pronti e preparati a tutto laggiú, dove non esiste pronto soccorso, ambulanza ed ospedale.

Per la verità l’organizzazione ha predisposto le cose in modo da sopperire ad ogni necessità. Ma se la Natura decide di manifestare la sua forza, è necessario resisterle e cederle con umiltà e coraggio.

Al Polo Sud s’incontrano gli estremi termici del globo: un continente di ghiaccio eterno contenente vulcani attivi e minacciosi.

Emozione e pericolo attendono regista ed operatore, che vogliono scendere nel ventre del vulcano che, in una giornata senza gli ordinari densi vapori che l’incoronano, permette la visione del mare di fuoco della lava bollente. Il brontolío del vulcano violato lancia sbuffi di magma al cielo; i nostri non si arrendono e scendono ancora. Quando «le bombe» minacciano di colpirli, umilmente risalgono... a migliori consigli.

Il regista sceglie di farci rivedere nel montaggio il panorama del fondo oceanico nel quale s’era immerso.

Rivediamo il soffitto dei metri di ghiaccio sopra di lui, lisci come preziosa vetrata, compatti come splendido plafon, percorsi da gocce d’acqua sfuggenti al gelo che ne insidia la corsa.

Quando si va là sotto, spiega la voce f.c., si dice «scendere nella cattedrale». Ecco il «miracolo»: la cattedrale parla. È sufficiente stendersi umilmente per terra, appoggiare con riverenza l’orecchio al ghiaccio che circonda le baracche degli scienziati, ed ascoltare. Si sentono i passi dell’iceberg, gli scricchiolii da lui provocati nel suo lentissimo spostamento verso mete sconosciute, dove in un passato recente un suo collega ha demolito lussuosi Titanic e travolti spensierati passeggeri.

Si ascolta il respiro dell’oceano sottostante, si resta affascinati dalla voce e dal canto delle nere foche, che là sotto danzano e inneggiano alla vita.

 

Grazie, Werner Herzog, che, dopo averci fatto sognare con FITZCARRALDO e compagni di viaggio cinematografico nei tuoi quarant’anni di esplorazione registica del mondo degli eroi e dei sognatori, oggi ci hai partecipato la tua emozione esplorando una larga porzione sconosciuta e misteriosa del nostro ecumène.

 

L’assoluta mancanza di enfasi retorica e di simulata esaltazione poetica rendono maggiormente gradito ed apprezzabile l’ultimo film. (Adelio Cola)

 


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