LA PROMESSA DELL'ASSASSINO
Regia: David Cronenberg
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 356 - 2008
Titolo del film: LA PROMESSA DELL'ASSASSINO
Titolo originale: EASTERN PROMISES
Cast: regia: David Cronenberg scenegg.: Steven Knight (Steve Knight) fotogr.: Peter Suschitzky mus.: Howard Shore mont.: Ronald Sanders scenogr.: Carol Spier cost.: Denise Cronenberg effetti: Manex Efrem, Aaron Weintraub, Mr. X Inc. interpr.: Viggo Mortensen (Nikolai Luzhin), Naomi Watts (Anna Khitrova), Vincent Cassel (Kirill), Armin Mueller-Stahl (Semyon), Sinιad Cusack (Helen), Donald Sumpter (Yuri), Josef Altin (Ekrem), Raza Jaffrey (Dottor Aziz), Sarah-Jeanne Labrosse (Tatiana), Aleksandar Mikic (Soyka), Mina E. Mina (Sig. Azim), Michael Sarne (Valery Nabokov), Jerzy Skolimowski (Stepan Khitrov), Mia Soteriou (Moglie di Azim), Tereza Srbova (Kirilenko) durata: 100 colore produz.: Serendipity Point Films, Bbc Films, Focus Features, Kudos Pictures, Scion Films origine: CANADA, GRAN BRETAGNA, USA, 2007 distrib.: Eagle Pictures (uscita 14-12-2007)
Sceneggiatura: Steven Knight
Nazione: CANADA, GRAN BRETAGNA, USA
Anno: 2007
È la storia di Anna, una giovane ostetrica di origine russa che lavora in un ospedale londinese e, durante il suo normale turno di lavoro, si ritrova ad assistere una ragazzina (appena 14 anni) incinta e malridotta da percosse e assunzioni di droghe; la ragazzina – scopriremo subito dopo che si chiama Tatiana – muore dando alla luce una bellissima bambina e Anna scopre nella borsetta della ragazza un diario scritto in russo: lo prende con l’intenzione di farlo tradurre da qualcuno che conosca il russo (per esempio un suo zio che abita a Londra) e scoprire, se possibile, l’indirizzo della famiglia di Tatiana, alla quale affidare la piccola appena nata.
Dentro il diario Anna trova un biglietto pubblicitario di un ristorante londinese e vi si reca, sempre con l’intenzione di scoprire qualcosa della ragazzina deceduta: in effetti entrerà nella sede centrale di una delle piú pericolose gang della mafia russa, una sorta di clan mafioso dal nome impronunciabile di «vor v’zacone»; il proprietario del ristorante, Semyon, tanto pacioso e affabile in apparenza, quanto spietato nella realtà, accoglie la ragazza e le promette di tradurre il diario di questa Tatiana che lui sostiene di non avere mai conosciuto e di escludere che avesse frequentato il locale.
Intanto Anna fa la conoscenza di altri due personaggi dello stesso clan, Kirill, squilibrato e debosciato figlio di Semyon, e Nikolai, autista della banda, un personaggio dall’apparenza algida e fredda come la lama di un coltello.
Semyon scopre nelle pagine del diario il racconto di Tatiana, una ragazzina di soli 14 anni, tenuta segregata per mesi, drogata quotidianamente e stuprata dallo stesso capo clan e successivamente dal figlio e da altri componenti della banda; l’ovvia deduzione è che il figlio sopravvissuto alla povera ragazzina è di Semyon e quindi il diario e la giovane ostetrica diventano un pericolo mortale per il boss, il quale dopo avere cercato invano di «impaurire» Anna, si dedica a coloro che hanno letto il diario e quindi possono trarre la conclusione della colpevolezza di Semyon.
Nikolaj intanto sembra salire di livello nella considerazione del capo e del di lui figlio, tanto che viene introdotto nell’harem personale di Semyon, dove viene invitato pressantemente a congiungersi con una ragazzina, probabilmente della stessa età di Tatiana, alla quale l’autista chiede nome e luogo di provenienza e quindi le lascia un pacchetto di banconote accompagnate da un santino russo.
Anna intanto scopre la verità contenuta nel diario e si lancia in accuse spietate nei confronti di Semyon, il quale, peraltro, accentua la pressione per impaurire la ragazza; contestualmente il capo clan circuisce Nikolaj, attraverso una «promozione» all’interno della banda: da autista a membro effettivo della struttura, evidenziata dalle stelle che gli vengono tatuate sul cuore (per indicare l’amore per il capo) e sui ginocchi (a indicare che non deve inchinarsi a nessuno).
Semyon però si rende conto che Nikolaj è un pericolo permanente, in quanto ha letto il diario e quindi è a conoscenza della verità: lo manda ad un incontro con un suo luogotenente in un bagno turco, dove lo attendono due killer ceceni che cercano di ucciderlo in un duello assolutamente insolito, fatto da due uomini imbacuccati in abiti di pelle contro uno che invece è nudo e coperto soltanto dai suoi tatuaggi.
Nikolaj riesce a sopravvivere uccidendo i due avversari e, nell’ospedale incontra nuovamente Anna la quale comincia a mutare giudizio nei suoi confronti; a questo punto avviene il colpo di scena: a trovare Nikolaj si reca il capo dell’Intelligence Service, Sezione russa e si comprende pienamente che l’autista non è altro che un «infiltrato» per conto dei due servizi segreti, russo e britannico, per cercare di colpire Semyon; adesso c’è l’opportunità, in quanto il vecchio capo clan può essere accusato di stupro a una minore, dimostrando ciò attraverso l’esame del DNA suo e della bambina.
E cosí adesso è la piccola ad essere in pericolo ed infatti Semyon manda il figlio Kirill all’ospedale per rapirla; Anna si accorge del rapimento e si rivolge a Nikolaj che, insieme alla ragazza, insegue Kirill e riesce a fermarlo prima che abbia gettato la bimba nel Tamigi.
Al termine del film vediamo Anna insieme alla bambina che ormai sembra restare con lei e Nikolaj che è diventato il capo – insieme a Kirill – della struttura e da questo posto di comando potrà fornire alle autorità britanniche e russe informazioni circa i movimenti della mafia russa.
Vediamo adesso come l’autore struttura l’opera: all’inizio abbiamo una sequenza il cui aspetto narrativo – sia pure ripreso piú tardi nel contesto del film – non ha molto senso, specie se collocata a quel punto; e invece il regista la colloca proprio all’inizio ed è una sequenza di una violenza inaudita: siamo in una bottega di barbiere e sulla sedia c’è un cliente, giovane, biondo, che parla amabilmente con il barbiere; ad un certo punto arriva un ragazzino che sembra mezzo scemo e, insieme al padrone che scopriamo essere lo zio, taglia la gola al cliente.
Evidentemente l’autore intende mettere subito lo spettatore nel clima che poi prevarrà nell’intera narrazione: la violenza; dalla vicenda emergono tre figure: l’ostetrica, Anna, che ha un passato burrascoso, segnato da un aborto e da un abbandono da parte di un medico di colore con il quale conviveva; (dirà lo zio russo: «non si debbono mescolare le razze, ed è per questa ragione che il bambino che avevi in pancia è nato morto»); la nascita della bambina di Tatiana, alla quale darà il nome di Cristina («richiama il nome di Cristo» dirà alla madre), la riporta al periodo in cui lei aspettava un figlio e, in concreto, quando nasce la bambina di Tatiana è come se fosse nata a lei, tanto è il trasporto e l’affetto che lega l’infermiera con la vicenda della piccola.
Accanto al personaggio della ragazza c’è Nikolaj, il freddo e impassibile autista della banda («io sono solo autista, vado a destra o a sinistra oppure a diritto, secondo come mi ordinano» dirà alla ragazza); viene presentato in simbiosi con il figlio del capo, il debosciato Kirill, e crea quello stereotipo caro al cinema: il capo ama piú il suo autista che il figlio, in quanto il primo rappresenta quella figura di figlio che avrebbe desiderato. Nikolaj non compie mai azioni delittuose e questo ci dovrebbe mettere sulla strada giusta per il colpo di scena della seconda parte, quando si scopre che è un «buono» messo nella stessa gabbia dei «cattivi» per carpirne i segreti; per la verità c’è anche un altro accenno che il regista ci fornisce e cioè quando si fa dare dalla ragazzina, con la quale ha fatto all’amore, i propri dati identificativi: ebbene qualche giorno dopo, apprendiamo da Kirill che la Polizia inglese ha fatto un’irruzione della casa di piacere ed ha portato via solo una ragazzina, guarda caso proprio quella che conosceva Nikolaj: evidentemente la Polizia è stata mandata da qualcuno, cioè dal nostro autista che è ben «introdotto», come scopriremo al termine del film.
La terza figura è quella di Semyon, il capo del clan russo, con la doppia immagine: da una parte gentile ed affabile proprietario di ristorante, attento ai desideri delle signore e sempre disponibile per soddisfare i desideri della clientela; dall’altra, feroce boss della malavita, attento a non scoprire mai i propri intenti, audace nelle mosse e spudoratamente cattivo nello sverginare Tatiana («se vuoi cavalcare un cavallo devi prima domarlo» dirà al figlio Kirill che invece non riesce a deflorare la ragazzina).
Al termine del film assistiamo a grosse mutazioni: Semyon è scomparso – probabilmente arrestato dalla Polizia inglese come gli ha suggerito Nikolaj – insieme a lui non appare piú neppure Kirill che senza il padre che lo protegge è ben poca cosa; sono invece rimasti – e l’autore dedica loro le ultime due sequenze – Anna e Nikolaj: la prima la vediamo in famiglia, con la madre e lo zio, mentre accudisce la piccola Cristina che sembra crescere bene e fare cosí la felicità di Anna; Nikolaj lo vediamo comodamente seduto in una poltrona del ristorante dove evidentemente è diventato il capo: sembrerebbe avere assunto il comando della gang, ma l’autore ci manda in sottofondo una piccola parte del diario di Tatiana (letto da lei stessa), quando la ragazzina racconta delle sevizie e delle torture subite: chiaro l’intento dell’autore di collocare Nikolaj al comando della banda ma con alle spalle l’esperienza della ragazzina e con la mente presa dalla soluzione data al caso; cioè il nostro autista, assurto al potere mafioso, non dimentica di essere uno che cerca di fare del bene a coloro che cadono nelle grinfie dei malavitosi russi.
E vediamo adesso se è possibile tirare delle conclusioni: Cronenberg, già nel film precedente (A history of violence v. Edav n.337) assume che la violenza è un tratto essenziale per la soluzione dei problemi della gente; in questo film la tematica, sopraffatta peraltro dalla narrazione sempre molto ben fatta e ben curata, si sposta sulla dualità tra la violenza dei «cattivi» e quella dei «tutori dell’ordine», e in questa lotta c’è l’essenza dell’attuale società, nella quale le varie mafie operanti nel mondo sono destinate ad uscire sconfitte dalla lotta con i «buoni»; questi ultimi, anche se appaiono inizialmente sprovveduti al combattimento (Anna non sa cosa fare contro Semyon), a gioco lungo prendono il sopravvento e riescono a sconfiggere un capo che appariva addirittura invincibile. Ma questo assunto tematico, l’autore lo sussurra appena, senza la pretesa di distribuire condanne o assoluzioni, ma traducendo tutta la narrazione con un cupo realismo nel quale la Londra della periferia conferisce il tono appropriato.
Il cast del film è da prendere in blocco per l’Oscar: Mortensen riesce a conferire un’aria gelida e distaccata al personaggio dell’autista, ma nella sequenza – che sono certo diverrà un «cult» – in cui Nikolaj, nudo, coperto solo dai suoi tatuaggi, si batte a morte contro due sicari ceceni vestiti di pelle nera, mostra tutte le sfaccettature del grande attore; la Naomi Watts nei panni dell’ostetrica con alle spalle un sacco di sconfitte, mostra una grinta indicibile ed è bravissima a tenere il passo dei mostri sacri che la circondano, come per esempio, Cassel, bravissimo nel «suo» personaggio di giovane debosciato e dedito a tutte le turpitudini e gli perdoniamo pure se qualche volta va sopra le righe.
Ma quello che mi ha veramente impressionato, anche piú degli altri che pure hanno parti piú rilevanti, è Armin Mueller-Stahl che riesce a conferire al personaggio di Semyon quella «doppiezza» tra il buon ristoratore ed il perfido capo clan: veramente un’interpretazione degna di un grande premio. (Franco Sestini)