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Bianco e nero



Regia: Cristina Comencini
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 357 - 2008
Titolo originale: BIANCO E NERO
Cast: regia: Cristina Comencini - sogg. e scenegg.: Cristina Comencini, Giulia Calenda, Maddalena Ravagli – fotogr.: Fabio Cianchetti – mont.: Cecilia Zanuso – scenogr.: Paola Comencini – cost.: Antonella Berardi – arred.: Maurizio Leonardi – effetti: Giulia Infurna – suono: Bruno Pupparo – interpr.: Fabio Volo (Carlo), Ambra Angiolini (Elena), Aïssa Mäiga (Nadine), Eriq Ebouaney (Bertrand), Katia Ricciarelli (Olga), Franco Branciaroli (Alfonso), Anna Bonaiuto (Adua), [Maria] Teresa Saponangelo (Esmeralda), Awa Ly (Veronique), Billo (Ahamdou), Bob Messini (Dante) – durata: 100’ – colore – produz.: Riccardo Tozzi, Marco Chimenz, Giovanni Stabilini per Cattleya con Rai Cinema – origine: ITALIA, 2007 – distrib.: 01 Distribution (11.1.2008)
Sceneggiatura: Cristina Comencini, Giulia Calenda, Maddalena Ravagli
Nazione: ITALIA
Anno: 2007

È la storia di Carlo (il Bianco) e di Nadine (il Nero) e del loro incontro che sconvolgerà la loro vita e quella delle rispettive famiglie; ma andiamo con ordine e ricominciamo da Carlo, un piccolo artigiano che gestisce una bottega in cui si riparano computer; ha una moglie, Elena, impegnata fortemente nel sociale, dove si dedica ad una mediazione culturale tra africani e le istituzioni italiane; Nadine è invece impiegata all’Ambasciata del Senegal ed ha un marito «importante»: Bernard è professore, è sempre in giro per l’Europa e lavora nella stessa organizzazione umanitaria di Elena, dove entrambi sono dediti all’integrazione razziale. Carlo non condivide la passione della moglie per questa attività e raramente l’accompagna alle serate dell’associazione: in una di queste incontra Nadine e il colpo di fulmine arriva per entrambi.

Galeotto è il computer della donna che si guasta e cosí viene chiamato Carlo che provvede a ripararlo, ma lo riporta a casa della donna proprio in occasione di una assenza del marito, impegnato a Bruxelles: la passione li coglie con estrema violenza e i due si amano senza neppure aprire bocca; al termine dell’amplesso – sempre senza aprire bocca – i due si rivestono e Carlo lascia la casa di Nadine.

Quell’unica volta in cui Nadine e Carlo tradiscono i rispettivi coniugi è anche l’occasione sfortunata nella quale – per un complesso di circostanze – Elena scopre il tradimento e, di conseguenza, altrettanto fa Bernard; la conseguenza immediata è la cacciata di casa di entrambi gli adulteri e cosí, Carlo si ritrova ad andare ad abitare a casa della madre, mentre Nadine, dopo una breve sosta nella casa della sorella dalla quale viene scacciata dal cognato, si arrangia in una stanza che ospita una serie di statue lignee africane.

I due non sanno dove sia l’altro e quindi vivono una vita angosciata, fino a quando – con una buona dose di casualità – si possono riunire: inizialmente nella stanza di Nadine, dalla quale però vengono cacciati dal cognato della donna che l’accusa di «essere andata con un bianco» e successivamente con dei pernottamenti in squallide stanze di albergo, dove la «negra» viene regolarmente considerata una prostituta.

L’impossibilità di condurre una vita normale e il desiderio di riabbracciare i figli, conducono entrambi a rientrare nelle case di origine, dove peraltro sono accolti molto bene e dove tutto il passato viene cancellato.

Qualche tempo dopo Carlo e Nadine si ritrovano ad un giardinetto dove hanno condotto i rispettivi figli: la passione riesplode, i due si baciano appassionatamente, ma intanto i figli della coppia si mettono a litigare ed a picchiarsi:ancora una volta neri contro bianchi.

 

Il film è chiaramente suddiviso in tre parti, con l’aggiunta della sequenza nella quale i due si rincontrano: la prima parte è tesa a mostrare l’ambito nel quale si svolgerà la vicenda amorosa: è la saga dei luoghi comuni, nella quale si assiste alle «solite» considerazioni sulle due razze: le donne nere hanno il sedere a mandolino, gli uomini neri sono particolarmente dotati, i bambini bianchi accusano i neri perché non sono bianchi (e viceversa), nei luoghi di lavoro, ma anche negli ambienti di divertimento, si predica correttezza e si razzola pregiudizio; alla stessa tavola di Elena – donna impegnata nel campo dell’integrazione razziale – l’unica donna nera è la cameriera, tant’è vero che a Carlo sorge spontanea la domanda: «Come mai noi bianchi non abbiamo nessun amico nero e come mai i neri non hanno nessun amico bianco?».

In questo contesto – che è la Roma di adesso – si apre la seconda parte che vede nascere e consumarsi la passione tra Carlo e Nadine, con i due che paiono impotenti a fermare le loro pulsioni, pur consapevoli delle drammatiche conseguenze alle quali stanno andando incontro; quell’unico loro incontro tanto bello quanto avventato, sarà pagato da entrambi a caro prezzo.

E nella terza parte si hanno le reazioni sia dei bianchi che dei neri a questo «tradimento» che prima che famigliare è razziale: la stessa Elena si lascia scappare la fatidica frase «Tutto mi potevo aspettare da te ma non che mi tradissi con una negra!» e questo alla faccia dell’integrazione tanto spesso predicata dalla donna; ma altrettanto avviene nel campo opposto, dove amici e parenti liquidano la coppia come dei traditori ed arrivano addirittura a mettere le mani addosso a Carlo, reo di avere conquistato con l’inganno la loro compatriota.

I due hanno l’esatta consapevolezza dell’impossibilità di realizzare il loro amore – che c’è ed è forte e reciproco – perché questa società che predica tanto l’interrazzialità, si dimostra nelle cose concrete assolutamente chiusa ad ogni integrazione.

 

Ed ecco che da questo scaturisce la tematica che la Cristina Comencini cerca di esplicitare nel film: nonostante i tentativi, nonostante le forze che entrambe le razze mettono in campo, siamo ben lontani da poter dire che la nostra è una società multietnica; ed anche un sentimento forte e pieno come l’amore reciproco tra i due, non è sufficiente a sbloccare la situazione, tant’è vero che Carlo ed Elena debbono rinunciarvi perché la società nella quale vivono non è ancora pronta ad accoglierli.

E la sequenza finale è su questa linea: anzitutto Nadine viene mostrata come profondamente cambiata d’aspetto nel poco tempo trascorso da quando è rientrata in famiglia; ha i capelli tagliati corti, crespi, non piú «stirati», il vestire è abbastanza dimesso e la sua dedizione è per i bambini (è tornata ad essere la «negra» che tutti si aspettavano?); ma quando vede Carlo sente di nuovo dentro di se le pulsioni di una volta e si lancia ad abbracciarlo.

Ma non è che queste immagini modifichino la tematica, in quanto la stessa resta – a mio giudizio – fortemente pessimista, solo che la regista ha come una sorta di sussulto finale (assai individualistico, come se non accettasse di far finire il film senza che i due si rincontrino) nel quale rimette insieme i due amanti e si mette a guardare cosa succede; il risultato è che mentre loro si abbracciano, i figli si picchiano – la fazione «bianca» contro la fazione «nera» – e Carlo ha un ultimo grido nel quale invita una signora che li ha avvertiti della scazzottata a «lasciarli fare, perché è bene che se le diano»; il nuovo incontro è quindi una riprova della impossibilità di instaurare il clima di effettiva amicizia tra le due razze ed è l’ennesima goccia di pessimismo che la Comencini ci propone.

 

Il film è ben fatto, anche se con una tematica cosí complessa avrebbe avuto bisogno di una sceneggiatura piú strutturata, ma sappiamo che la Comencini ama mischiare commedia e dramma, ridicolo e tragico e – se prescindiamo dalla difficoltà realizzativa – possiamo dire che c’è almeno in parte riuscita: la tematica della non risolta integrazione razziale balza fuori dalla narrazione e forse è questo che a lei interessava piú di ogni altra cosa.

Gli attori sono ben diretti, con Ambra Angiolini che ormai non possiamo piú considerare come una sorpresa e con Fabio Volo ben calato nella parte di un «bianco qualunque», non particolarmente votato all’impegno sociale, ma pronto a riversare il proprio amore verso una nera.

La quale nera, Aissa Maiga, è stata per me un’autentica sorpresa, tanto è ben calibrata la sua interpretazione di «nera evoluta», conoscitrice di varie lingue, con padre e madre entrambi medici: insomma una che a parte il colore della pelle, potrebbe frequentare qualunque salotto, ma proprio questo colore le impedisce la felicità. (Franco Sestini)

 


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