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Il Falsario - Operazione Bernhard



Regia: Stefan Ruzowitzky
Lettura del film di: Adelio Cola
Edav N: 358 - 2008
Titolo del film: IL FALSARIO - OPERAZIONE BERNHARD
Titolo originale: DIE FÄLSCHER
Cast: regia e scenegg.: Stefan Ruzowitzky – sogg.: Adolf Burger tratto dal suo libro ´Des Teufels Werkstattª – fotogr.: Benedict Neuenfels – mus.: Marius Ruhland – mont.: Britta Nahler – scenogr.: Isidor Wimmer – arredamento: Gerhard Krummeich, Christian Krüger – cost.: Nicole Fischnaller – effetti: Christian Pundschus, Markus Degen – interpr.: Karl Markovics (Salomon Sorowitsch), August Diehl (Adolf Burger), Devid Striesow (Friedrich Herzog), Martin Brambach (Holst), August Zirner (Dottor Klinger), Marie Bäumer (Aglaya), Veit Stübner (Atze), Sebastian Urzendowsky (Kolya Karloff), Andreas Schmidt (Zilinski), Tilo Prückner (Dottor Viktor Hahn), Lenn Kudrjawizki (Loszek), Arndt Schwering-Sohnrey (Hans), Werner Daehn (Rosenthal), Dolores Chaplin (Donna dai capelli rossi) – colore – durata: 98’ – produz.: Aichholzer Filmproduktion, Magnolia Filmproduktion con Studio Babelsberg Motion Pictures Gmbh, Babelsberg Film Zdf – origine: AUSTRIA / GERMANIA, 2007 – distribuz.: Lady Film (25-01-2008)
Sceneggiatura: Stefan Ruzowitzky
Nazione: AUSTRIA, GERMANIA
Anno: 2007
Presentato: 58. Festival di Berlino 2008 - In Concorso; Premio OSCAR 2008 MIGLIOR FILM STRANIERO

«Ma voi di EDAV, mi provoca un amico, per programma eliminate i sentimenti! Almeno in teoria, da quanto conosco del vostro metodo, pretendete di fare lettura oggettiva del film fredda e staccata: tutto cervello e niente cuore!»

È vero, lettura oggettiva, per quanto ci è possibile, ma per quanto riguarda il «niente cuore», è questione d’intenderci.

Non vogliamo mescolare la lettura con le nostre impressioni e reazioni personali, per distinguerle bene da quello che il film dice e che il regista esprime con il film stesso. Non rimaniamo apatici ed insensibili di fronte allo spettacolo. Non siamo fatti soltanto di cervello: anche noi, come tutti, abbiamo cuore, sentimenti e relative reazioni personali di fronte a quello che il film racconta. Non vogliamo però attribuire al regista idee e sentimenti nostri facendoli passare come suoi. Di fronte ad una scena horror o violenta, anche noi ci emozioniamo, ma cerchiamo di leggere il fatto e soprattutto il modo con cui il regista lo racconta, con lo scopo di renderci conto della sua portata ed importanza semiologica all’interno del contesto di tutto il film, oltre che del singolo breve contesto nel quale il fatto è inserito.

Se permetti, vorremmo imitare l’atteggiamento del giudice in tribunale. Egli sente e vede tutto, prende nota delle parole e delle reazioni dell’imputato quando il pubblico ministero lo accusa e quando l’avvocato difensore cerca attenuanti nei suoi confronti, ma non si lascia influenzare, mentre fa il possibile per farsi l’idea della colpevolezza dell’imputato, né dai pianti, né dalle minacce del cliente. Il giudice ha cervello e cuore, ma la sua posizione e responsabilità esigono che egli stia ai fatti in modo esclusivamente oggettivo… per quanto umanamente gli è possibile.

Il paragone tra il lettore d’un film con la metodologia della lettura strutturale ed il magistrato nell’esercizio della sua funzione, tiene soltanto fino ad un certo punto, come del resto tutti i paragoni, anche perché lo spettatore oggettivo non è chiamato, in prima istanza almeno, a pronunciare un giudizio sul film.

A. Tolta di mezzo la presunzione che il lettore oggettivo sia un essere umano soltanto cervello, possiamo tentare di ripensare al film IL FALSARIO cercando di leggerlo piú oggettivamente possibile secondo la metodologia Taddei della lettura strutturale, che esige anzitutto di individuare le parti strutturali del film.

Esse, dopo una breve introduzione, sono due, non perché lo diciamo noi ma perché corrispondono al modo con il quale il regista ha diviso il suo lavoro.

• La prima parte inizia con l’arresto dell’ebreo Salomon, il protagonista, mentre si trova tra le braccia d’una sua ammiratrice.

• Laseconda partecostituisce il corpo centrale vero e proprio del film in un campo di sterminio nazista, anni quaranta.

B. Riprendiamo ora le singole parti strutturali indicandone il contenuto nei tratti essenziali e soprattutto i modi espressivi usati dal regista nel raccontarli.

Per chiarezza sarà opportuno durante la lettura ripetere osservazioni espresse precedentemente in riferimento a fatti e particolari già ricordati.

INTRODUZIONE

Le prime inquadrature (anno 1936) mostrano un uomo sulla spiaggia del mare con il giornale aperto in mano: La guerra è finita.

Si avvia verso un gran hotel di Montecarlo, gioca alla roulette e intanto ricorda il suo passato.

Al centro dell’attenzione dei giocatori d’azzardo, dei curiosi ospiti e di agghindate dame del bel mondo anni trenta, vediamo il personaggio che ricoprirà nel film il ruolo di protagonista. Ammirazione, invidia, sorpresa e tendenziose mute interpretazioni degli astanti accompagnano le sue ripetute imprevedibili vincite.

Per stacco lo vediamo poi in intima compagnia con un’affascinante signora.

La polizia nazista (l’ufficiale Herzog) fa irruzione e lo arresta per contraffazione di denaro. È ebreo: destinazione il campo di concentramento di Mauthausen.

È importante ricordare la breve INTRODUZIONE DEL FILM perché rivedremo le medesime inquadrature iniziali alla fine, in modo tale da costituire inclusione.

Il film sarà un lunghissimo flash bach (all’interno del quale se ne apriranno due brevi ma essenziali al fine di comprendere la portata dell’operazione a capo della quale vedremo il protagonista come motore trainante) sulle avventure e disgrazie di Salomon Sorowitsch, «il piú grande falsario del mondo».

Ed eccoci alla PRIMA PARTE.

Il regista ci immette in medias res: arrivo e sistemazione degli ebrei arrestati nel campo della morte: Mauthausen.

Qualche anno dopo Salomon viene trasferito al campo di Sachsenhausen. È stata ammirata la sua straordinaria capacità pittorica. I tedeschi vogliono servirsene per realizzare «L’operazione Bernhard».

Nella nuova sistemazione Salomon ritrova Herzog.

Un gruppetto di ebrei deve dichiarare le proprie generalità (d’ora in poi saranno soltanto numeri di matricola!) separatamente da tutti gli altri. Sono specialisti: disegnatori, grafici, tipografi… I capi nazisti hanno bisogno di loro per immettere nel mercato mondiale sterline e dollari falsi (operazione Bernhard) in quantità tale da «rovinare la finanza dei governi nemici in guerra».

L’unico mezzo a disposizione del gruppo degli specialisti per salvare la vita è collaborare con i nazisti. Si piegano alla necessità e accettano l’assurdità della sorte in vista che la guerra finirà con la sconfitta della Germania. Del resto, per il grande falsario «fare soldi facendo soldi è piú rapido che fare soldi vendendo arte!» cioè quadri falsi!

La straordinaria fama di falsario assegna al protagonista del film, Salomon, la responsabilità della rischiosissima impresa. Sarà la piú grande truffa del secolo.

I risultati della contraffazione di carta moneta è tale che neppure gli espertissimi giudici inglesi e americani sono in grado, (in due brevi flash bach), di distinguere le false sterline e i dollari contraffatti dalle divise legali.

Questo è il contenuto delle vicende ricostrutite.

Il modo di raccontarle ci comunica il motivo che ha spinto il regista a dirigerle.

Tra il gruppetto c’è chi entra in crisi di coscienza: posso continuare a comportarmi cosí, dal momento che sto facendo un lavoro sporco e contrario ai miei princípi morali? Posso collaborare con il nazismo che ha sterminato la mia famiglia e quelle di tanti altri innocenti destinati a morire di stenti? È lecito piegare la testa di fronte alle ingiurie, alle percosse, alle umiliazioni, al disumano trattamento degli aguzzini SS contro i nostri fratelli?

Salomon è il duro del gruppo. Sembra apatico fino a rimanere indifferente di fronte a quanto di tragico gli succede intorno. Quando però viene umiliato fino ad essere trattato non soltanto come uno straccio immondo ma come oggetto di scherno, colpito dal fetido getto d’urina di Herzog (gentile ed educatissimo in famiglia con la moglie e i tre figli!), che «gli piscia in testa», è tentato di reagire, ma per il momento, in considerazione del fatto che ribellarsi significherebbe condannare a morte non soltanto se stesso ma anche i suoi amici, per il momento frena la sua indignazione e controlla la sete di giustizia-vendetta.

C’è uno tra di loro, il piú giovane e debole, che da qualche tempo accusa febbre intermittente. I tedeschi lo obbligano (suo malgrado, perché, se non fosse esortato ad obbedire da Salomon, egli rifiuterebbe!) a «mangiare bene», perché la sua specializzazione è preziosa nel laboratorio dei «falsari». Ha bisogno di medicine per curarsi. Al fine di ottenerle, Salomon accetta dal responsabile del campo di continuare a fabbricare carte moneta false.

Le medicine arrivano ma i suoi amici rimangono esterrefatti quando poco dopo l’ufficiale avverte i detenuti d’aver «eliminato, dopo aver fumato con lui l’ultima sigaretta, il tubercoloso per il bene suo ed anche per il vostro, perché avrebbe potuto infettarvi tutti!».

Salomon non riesce piú a sopportare e tacere. Nella colluttazione con l’ufficiale, gli sottrae la pistola e lo minaccia mentre il miserabile supplica di risparmiarlo… poi lo lascia andare… «Nell’aria si avvertono i segnali che la guerra sta per terminare».

Arrivano i militari russi e liberano i prigionieri. I sopravvissuti del gruppo dei falsari rischiano d’essere fucilati dai compagni delle baracche viciniori che li credono nazisti («abbiamo udito le vostre musiche nelle settimane passate»). Lavoravano infatti mentre il sottofondo musicale diffondeva canzoni tedesche nelle baracche privilegiate numero 18 e 19, attrezzate a laboratorio per la fabbricazione di denaro e documenti falsi.

I tedeschi fanno sparire i macchinari e distruggono i depositi di soldi falsi della «piú grande truffa mai realizzata al mondo».

Nell’ EPILOGO del film rivediamo Salomon al tavolo da gioco di fronte alla roulette, sulla quale deposita ed abbandona una impressionante quantità di fiches allontanandosi da quel … mondo di m., seguito da una lussuosa signora, che sulla riva del mare lo abbraccia e danza con lui lamentando desolata: «Tutti quei soldi! …Tutti quei soldi!».

FINE.

È chiaro il fatto che il regista non era interessato a documentare come si costruiscono i soldi falsi! Il suo intento è consistito nell’evidenziare i limiti ai quali può arrivare l’uomo, quando le circostanze sono tali da metterlo in pericolo di vita. Pur di sopravvivere, egli può arrivare a tutto (ricordate ALIVE [di Frank Marshall, 1993] in cui i sopravvissuti ad un disastro aereo si nutrono delle carni delle vittime?)

La coscienza può reggere nelle situazioni difficili ordinarie; non si può prevedere dove e quando potrebbe cedere o per quanto tempo potrebbe sostenere la condotta della persona in circostanze eccezionali, nelle quali fosse necessario scegliere tra continuare a vivere a determinate condizioni o morire.

Il film si presenta fin dall’inizio come un puzzle, i cui pezzi sono già stati collocati al loro posto da una mano intelligente che ha trovato per ognuno l’esatta collocazione per evidenziare il disegno generale di chi l’aveva concepito.

Il merito nel nostro caso va al montaggio, che ha reso comprensibile il racconto del film narrandolo in modo logico e chiaro nel teso contrasto tra protagonista (Salomon) ed antagonista (Herzog).

Il film ha verificato ancora una volta l’esattezza della regola generale: «Il nucleo narrativo presente anticipa quello che lo segue caricandolo del suo peso espressivo». La consequenzialità dei pezzi del puzzle raccontano senza iati e fastidiose ellissi i fatti nel loro succedersi di cause e di effetti.

Se fossero presi separatamente uno dall’altro, i singoli nuclei narrativi rimarrebbero tra di loro quasi estranei: raccolti invece, cioè «lètti» ordinatamente nel contesto generale, illuminati dai due perni strutturali che contraddistinguono gli stati d’animo di Salomon e dell’ufficiale tedesco con la relativa evoluzione psicologica, sono il film.

L’ambientazione della seconda parte è claustrofobia. I personaggi sono ripresi in camici bianchi con illuminazione scarsa all’interno di improbabili laboratori scientifici, curvi su lunghi tavoli di lavoro forniti di lampade e lenti per disegnatori, mentre altri, destinati al funzionamento di pedaline tipografiche anni quaranta, sorvegliano scrupolosamente i risultati del frenetico lavoro che deve fornire quintali di carta moneta estera contraffatta, identica a quella legale.

Su tutti vigila il severissimo ufficiale nazista, armato di pistola facile (si rende colpevole d’omicidi per motivi ingiustificabili!), impaziente nell’attesa di accumulare il denaro falso destinato a rovinare la potenza economica degli alleati contro i quali la Germania in guerra sta ormai agonizzando.

Lo stato d’animo degli ebrei e degli aguzzini tedeschi viene bene evidenziato dal film. Esso si presenta narrativamente quasi statico, eppure drammaticamente espressivo e coinvolgente, pur procedendo con rapide, e talvolta rapidissime, brevi inquadrature. L’incessante spettacolo degli specialisti ebrei viene ogni tanto interrotto dalla visione in soggettiva di torture ed esecuzioni inferte a compagni meno fortunati di loro. I nostri sono alloggiati nelle baracche numero 18 e 19, segretamente convertite in officine per fabbricare soldi falsi, dove i tedeschi usano particolari attenzioni per mantenere segreta la loro permanenza. I «preziosi» reclusi però non godono del beneficio maggiore, la libertà; sono, anzi, trattati con disprezzo da coloro stessi che dovrebbero ringraziarli! e che invece rammentano frequentemente ai prigionieri il privilegio di «essere ancora vivi!».

Chi sembra rimanere quasi insensibile e non partecipare, almeno fino ad un certo punto, alla disperazione comune, è Salomon. Lavora con dedizione totale; nell’apparente freddezza che lo distingue rinuncia al suo pasto e lo offre al vicino che sta morendo di fame; s’indigna quando è fatto testimone di maltrattamenti e torture inflitte a colleghi di sventura; s’ingegna a suo rischio di procurare le necessarie medicine al giovane collega tubercolotico; distoglie con le buone e con le cattive un altro dalla velleità d’organizzare un’impossibile azione di rivolta contro i tedeschi, che si sarebbero vendicati ammazzando tutti.

La sua carica umana, tenuta sotto difficile controllo dalla maschera d’apparente indifferenza, esplode quando l’ufficiale… esagera trattandolo come un animale e disprezzandolo come un arrugginito giocattolo da buttare. La tentazione della violenta reazione arriva alla minaccia di vendicarsi ammazzandolo con la sua stessa pistola dopo la colluttazione personale («mi hai pisciato sulla testa!»). Poi, come ho ricordato sopra, lo lascia andare… «perché la guerra sta per finire!».

Sopportazione eroica senza rassegnazione, altruismo, solidarietà, sete di vendetta, prudente attesa del giorno della verità… convivono nel protagonista, «il piú grande falsario del mondo», con l’accettazione di una ignobile cooperazione con i nemici giurati della sua razza ebraica, intrapresa «pur di sopravvivere» nella previsione sopra ricordata.

La vita prima di tutto e sopra tutti gli altri, è il massimo valore da difendere!

Contrariamente a lui, dichiara la sua convinzione un anziano collega, che però non avrà forza della coerenza di testimoniare con i fatti la sua confessione: «L’unico valore che ci rimane è l’onore!».

Il regista completa il quadro descrittivo delle reazioni ebraiche in quelle situazioni estreme evidenziando la crisi di coscienza dei colleghi del protagonista. «Avevo una famiglia…!», si limita a ricordare Salomon con espressiva reticenza, quasi per giustificare la sua condotta verso coloro che hanno sterminato i suoi cari. Non lo lasciano indifferente il coraggio invincibile di coloro che vorrebbe salvare, i lutti provocati dalle fredde eliminazioni, per futili motivi di istintive reazioni, di qualche disperato.

La diga di contenimento della piena umana del protagonista sta per cedere quando viene informato del trattamento riservato all’amico tubercoloso per il quale ha procurato le medicine… ma la guerra è finita… basta cosí… è inutile infierire contro il nemico sconfitto.

Alcune ombre compromettono il risultato artistico dello spettacolo, del resto ben diretto e credibilmente interpretato dal protagonista.

La verosimiglianza dei fatti narrati (ricostruiti partendo da avvenimenti veramente successi?) vorrebbe convincere lo spettatore della sua credibilità facendo correre il rischio agli specialisti d’essere fucilati dai compagni di prigionia per non essere mai stati visti da loro.

Perdoniamo allo sceneggiatore di aver messo in bocca agli interpreti frequenti frasi sentenziose letterarie («mai fidarsi degli ebrei!»), che escono poco spontanee da persone esasperate.

Il coraggio dimostrato dal regista tedesco di riconoscere colpe attribuibili anche ad alcuni ebrei, indirettamente conniventi con i nazisti nell’esecrabile disegno dell’olocausto, è accettabile soltanto perché limitato a pochissimi individui in circostanze estreme in cui si sono trovati a scegliere tra cooperazione o morte certa.

Lo stereotipo tradizionale che maggiormente si nota nel film e dal quale il regista non è stato in grado di liberarsi, è lo spirito manicheistico secondo il quale i cattivi sono tutti da una parte ed i cosiddetti buoni (anche se buoni soltanto fino ad un certo punto!) sono dall’altra.

Innocente è nessuno. Gli eroi sono molto rari.

Non è credibile infine l’ingenuità dell’ufficiale che confida ai reclusi piani organizzativi ed infine il luogo dove, una volta smontati i macchinari della tipografia clandestina, essi sarebbero stati occultati al nemico in profonde gallerie della vicina montagna.

È la storia di SALOMON, espertissimo disegnatore ebreo che gli ha consentito di diventare il piú grande falsario del mondo imitando opere d’arte ed in seguito contraffacendo carta moneta e documenti, IL QUALE, arrestato dai nazisti alla vigilia della seconda guerra mondiale assieme ad innumerevoli altri della medesima razza impura e deportato in campo di concentramento, dopo aver accettato con alcuni colleghi specialisti disegnatori e tipografi, come unica condizione per salvare la vita, (sopportando umiliazioni e torture morali e rimanendo testimone impotente ma partecipe della tragedia dei reclusi condannati a morte certa), di collaborare con i tedeschi con la fabbricazione di carta moneta falsa inglese e americana al fine di mettere a terra la potenza alleata, in fine, liberato dai militari russi arrivati vittoriosi a Berlino, RINUNCIA A VENDICARSI della persecuzione nazista E ABBANDONA il grosso mucchio di soldi vinti al casinò (forse come simbolo dell’abbandono definitivo dell’attività di falsario).

IDEA CENTRALE

IN CIRCOSTANZE ESTREME È IMPOSSIBILE NON SCENDERE A PATTI CON I PRINCIPI MORALI DELLA PROPRIA COSCIENZA, che fino ad allora erano stati alla base del comportamento, che del resto già precedentemente doveva essere giudicato condannabile sotto l’aspetto d’interesse personale.

Il regista non giudica l’operato e la scelta del gruppo di ebrei coinvolti nella sporca avventura, (che si rifà ad una storia vera testimoniata da un sopravvissuto allo sterminio); lascia allo spettatore il giudizio sulla condotta di persone che si sono trovate nella necessità di scegliere tra la cooperazione con i tedeschi, responsabili dell’olocausto, in previsione dell’imminente fine d’una guerra che avrebbe vista sconfitta la Germania, e la sicura condanna a morte.

Noi rispettiamo e non condanniamo le persone; siamo portati a definire disordinata la loro scelta.

È facile, forse!, rispondere qui-ora alla domanda: E noi che cosa avremmo fatto?

Ma tra il dire e il fare... (Adelio Cola)

 


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