Cinema e musica: Ennio Morricone, i suoni come tatuaggi dell'anima
di ACHILLE ABRAMO SAPORITI
Edav N: 358 - 2008
L’articolo ampliato e completo di foto, schemi si trova in Edav n. 358 marzo 2008
Data l’ampiezza dei temi trattati sarà inevitabile fermare l’attenzione solo su alcuni argomenti, e invitare i lettori di Edav (dando per scontata la loro conoscenza della teoria di Taddei sul sonoro nel cinema, di cui comunque riportiamo alcuni elementi a seguito di questo articolo) a fare qualche riflessione teorica sull’argomento.
La musica applicata
Con l’avvento del sonoro sono cambiate molte cose nel cinema, e si è scoperto il grande contributo apportato dalla musica ad un maggiore coinvolgimento dello spettatore e ad una migliore comprensione del film. Se la colonna sonora non fosse ritenuta cosí determinante non verrebbero assegnati gli oscar anche ai musicisti.
La musica del film è quella che Giordano Montecchi definisce «Musica di servizio», cioè quella musica che «se improvvisamente venisse a mancare, tutto il cinema crollerebbe di schianto, privato di quell’aura indicibile che, nonostante i timori, non è affatto svanita dalle cose dell’arte, anche quella piú popolare».
Ciononostante molti compositori (cosiddetti puri) ritengono che la musica colta debba essere riservata esclusivamente alle sale da concerto e debba essere totalmente libera, cioè non debba subire condizionamenti o subalternità alle esigenze del regista, alla natura delle immagini, ai ritmi e al contenuto del film. Ma nel caso di Morricone le cose vanno diversamente.
I condizionamenti possono essere una sfida creativa e un punto di forza, dato che nessun artista può dirsi totalmente libero da vincoli. Si pensi ai capolavori che testimoniano il genio dei grandi pittori nelle nostre cattedrali o nelle corti. Come minimo era loro imposto il soggetto, i personaggi e la scena da rappresentare. Quando poi si trattava di affreschi, i condizionamenti derivavano anche dalla dimensione, dalla posizione, dall’illuminazione della parete da dipingere, per non dire delle superfici curve delle vele e delle cupole, dei triangoli e dei tondi. Per quanto riguarda la musica, i compositori sono stati spesso limitati dai vincoli imposti dall’organico strumentale disponibile, ma soprattutto dalle regole imposte dalla liturgia o dalle forme musicali in voga o dai desiderata dei committenti. Sappiamo che l’opera di Palestrina ha toccato i vertici del sublime nonostante i «paletti» imposti dalla Controriforma. E – per fare un esempio caro a Morricone – le celeberrime cantate di Bach non erano forse funzionali alla liturgia luterana?
La musica da film va considerata in base al suo «specifico» (ovvero alla sua complementarietà con l’immagine cinematografica) ma nel rispetto dei canoni estetici che sono comunque i canoni dell’arte musicale.
Quando ci si imbatte in musiche commerciali (per non dire dozzinali) si finisce per attribuire la mediocrità del risultato alla fretta o alle scarse disponibilità economiche, ma è ovvio che si debba soprattutto al pressappochismo o alla limitatezza del talento del compositore.
Lo dice apertamente Ennio Morricone: «…la musica per il cinema deve essere, prima che per il cinema, musica in se stessa. Deve cioè corrispondere a idee formali, non necessariamente della tradizione, a strutture, a una logica organizzazione dei suoni». (Pag. 21).
Musica preesistente applicata al cinema
«La composizione – dice ancora l’autorevole musicista – deve anche vivere di vita propria» e i «sincroni» non devono essere forzati ma naturali. Evidentemente un brano di musica (spesso classica) composto in precedenza, addirittura in altra epoca, è indipendente dal film e potrebbe «combaciare» alla perfezione solo a condizione che le immagini siano girate proprio su quella musica.
Il cinema ha utilizzato in molti casi musiche preesistenti, d’autore (tra i numerosi esempi, tre per tutti: le arie della «Passione secondo Matteo» di Bach nel Vangelo secondo Matteo di Pasolini, i «Concerti per mandolino e archi» di Vivaldi in Un ragazzo di Calabria di Comencini, o i brani di Strauss e di Beethoven nei film di Kubrick). In alcuni casi funziona, e aiuta a render chiaro il senso del film grazie al coinvolgimento emotivo dello spettatore (con il rischio, a mio modesto parere, che un brano molto noto possa essere fuorviante, perché potrebbe attirare su di sé – piú che sulla sequenza filmica – l’attenzione dello spettatore).
Il metodo di utilizzo non può che essere empirico, in quanto scattano meccanismi misteriosi, dovuti all’ambiguità e all’astrattezza (nel senso di asemanticità) della musica. La conferma viene proprio da chi ha composto su misura (con metodi di volta in volta diversi) splendide colonne sonore: «La risposta a questa verità è, secondo me, che l’applicazione di una musica al film ha una ragione poetica e quindi misteriosamente empirica. L’amalgama tra musica e immagine è sempre determinato da qualcosa che non è completamente controllabile da chi combina i suoni». (Pag. 21).
Infatti, secondo Pasolini, la musica aiuta a «sentimentalizzare un concetto e a concettualizzare un sentimento».
La musica – preesistente o composta ad hoc – può essere applicata in senso «orizzontale» o in senso «verticale». «L’applicazione orizzontale si ha sulle immagini che scorrono, quindi è espressa da valori ritmici che si aggiungono, dall’orecchio al cervello, alle percezioni visive. L’applicazione verticale, in realtà, riguarda la profondità dell’immagine, e per il fatto che il cinema è per sua natura piatto, malgrado la volontà illusoria, è molto piú importante dell’applicazione orizzontale». (Pag. 22).
In altri termini, il senso «verticale» della musica agisce sulla sfera psichica dello spettatore e, spesso a livello inconscio, amplifica la sua capacità di approfondimento razionale e di partecipazione emotiva.
La musica e il pubblico
Chi compone musica per il cinema non può ignorare completamente il gusto corrente degli spettatori, tuttavia….
Tener conto della cultura e delle aspettative del pubblico è importante per il successo, ed è uno dei vincoli per il musicista, ma non dovrebbe essere mai un pretesto per scadere nella banalità o un alibi alla debolezza dell’inventiva. La musica di consumo, e ancor piú quella destinata alla pubblicità, piace perché non si propone di far pensare; è molto efficace e di facile ascolto per la brevità della linea melodica e ancor piú per la semplificazione della struttura armonica e contrappuntistica. È questo un dato di fatto che, per un vero artista, può trasformarsi in una salutare sfida.
Morricone reagisce alle tendenze al basso con grande dignità ed energia: «Da tutte queste considerazioni nasce la musica di un compositore che fa cinema, di un compositore che non rinuncia a farsi comprendere dal pubblico e a essere se stesso, proponendo e realizzando le sue soluzioni. (…) Quanto detto finora sui condizionamenti alla creatività, e che vorrei fosse oggi tenuto presente, mi ha portato a trasformare quei limiti in una opportunità creativa». (Pag. 28).
E ancora: «… nei limiti delle mie possibilità e in assenza, spesso determinate, di libertà esteriore ho sempre cercato di perseguire una sorta di segreta libertà interiore. Una libertà che, pur nel rispetto della committenza, quindi delle esigenze spesso ferree del regista e talvolta della produzione, mi consentisse di mantenere una mia identità musicale. (…) Quindi credo di poter affermare che ho scritto musica applicata cercando però di non dimenticare mai la musica assoluta (un’attività, quest’ultima, che ho cercato di coltivare comunque, anche al di fuori del cinema), sebbene – come credo di aver dimostrato fin dalle premesse – la distinzione fra le due categorie non è sempre cosí netta come si pretenderebbe». (Pag. 42).
Quest’ultima dichiarazione testimonia un modo d’intendere – ma soprattutto di operare – che fa onore al grande, riconosciuto maestro.
Morricone, i registi, i film
Il testo che stiamo analizzando dedica ampio spazio (vedi i capitoli: I film e La musica applicata alla televisione), da pag. 47 a pag. 221, e fa una carrellata sui piú importanti film che si avvalgono delle musiche di Morricone. Pubblica anche belle e significative immagini che possono aiutare a riconoscerli e a ricordarli. Queste pagine sono anche corredate di preziose annotazioni (e anche di qualche spartito) in cui l’autore ricorda i suoi rapporti con i registi e racconta le strategie utilizzate per le diverse colonne sonore.
Abbiamo scelto, anche in questo caso, solo pochi esempi, non per l’importanza o per il successo dei film citati, ma in funzione degli accorgimenti strategici attuati e della creatività del musicista. (I testi in corsivo corrispondono alle dichiarazioni dello stesso Morricone).
I pugni in tasca di Marco Bellocchio (1965)
Nel finale del film il protagonista ha un attacco epilettico provocato dall’ascolto di un brano della «Traviata». In questa parte del film il suono emesso dal giradischi diventa l’elemento musicale piú espressivo. «Lui muore con la bocca spalancata, mentre dal giradischi si alza l’acuto del soprano, fisso, interminabile, che sottolinea l’angoscia del momento. A questo proposito ho una convinzione: le sinfonie classiche di grandi autori funzionano al cinema perché emotivamente efficaci e dotate di precise ed esatte caratteristiche formali». (Pag. 79).
Merita una citazione, anche in questo film, l’impiego creativo ed efficace del tema di una celeberrima composizione preesistente. «La scelta della citazione Bachiana della “Toccata e fuga in re minore” si lega a due caratteristiche delle immagini: anzitutto il fatto che il tema si sente per la prima volta in una chiesa, suonato da un organo e poi ripreso dalla tromba; in un secondo luogo, perché la musica accompagna spesso fermo immagini di Volonté che ricordano dei quadri rinascimentali». (Pag. 59).
Quando si dice la creatività! Per questo film, Pasolini chiedeva una musica dodecafonica e anche una citazione dal «Requiem» di Mozart. «Ho esaudito il suo desiderio inserendo una citazione tematica eseguita dal clarinetto, peraltro irriconoscibile nel contesto delle dissonanze del brano». (Pag. 85).
Musica applicata e musica assoluta. In questo caso l’autore ha inserito nella colonna sonora composta appositamente per il film un suo pezzo da concerto: «Musica per undici violini» composto precedentemente, al quale ha aggiunto una voce femminile e uno strumento a percussione.
Qui la musica è determinante non solo dal lato espressivo ma anche perché «interna» al film che presenta Padre Gabriel (e gli altri gesuiti) impegnati a insegnare musica agli indios della missione. È giusto segnalare gli escamotages tecnici adottati da Ennio Morricone per rendere piú fascinosa e piú credibile la musica del film. Egli stesso dice: «Per il brano dell’Ave Maria Guaraní, abbiamo scelto un piccolo coro di professionisti al quale abbiamo affiancato dei cantori non esperti, provenienti da diverse aree linguistiche. Ho disposto i coristi alla rinfusa, non seguendo il tradizionale ordine rispettato in ogni coro». (Pag. 131). Un’altra trovata creativa riguarda il fatto che il mottetto è cantato subito dopo il «Tema dell’oboe di Padre Gabriel» e ad esso si sovrappone creando un effetto di straordinaria suggestione.
Nuovo cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore (1988)
Giuseppe Tornatore ritiene che la musica non debba essere qualcosa da sovrapporre alle immagini, ed è convinto che musica e cinema siano piú vicini di quanto non lo siano cinema e letteratura. Perciò ha chiesto a Morricone di comporre le musiche prima delle riprese. La conferma viene dalla seguente dichiarazione del musicista: «Da allora, mentre si è ancora al lavoro sulla sceneggiatura, Peppuccio mi racconta il film e ne parliamo con grande libertà. In quei momenti elaboro le idee sulle quali si fonderà la colonna sonora. Successivamente compongo dei temi e attraverso una serie di aggiornamenti si arriva alla stesura finale del materiale tematico. Una volta finita la sceneggiatura, inizio a incidere sulla base di quanto concordato con lui prima delle riprese. A film finito, i temi composti vengono riapplicati seguendo il montaggio; poi si torna a rieseguire e incidere i vari brani tematici scena per scena». (Pag. 150).
La musica senza le immagini
Per completezza d’informazione, il bel libro in oggetto – nel capitolo La musica assoluta – riporta diligentemente sia l’elenco delle composizioni per le piú disparate formazioni strumentali da camera e per orchestra (la musica assoluta, appunto), sia quello relativo ai concerti tenuti dal 1970 al 2007.
Dal capitolo Testimonianze, ovvero dalle conversazioni e dai cenni biografici (a cura di Francesco De Melis, Giorgio Miceli e Giordano Montecchi) si possono trarre interessanti spunti di riflessione sulla musica in generale (fuori dalle sale cinematografiche), cioè di quando «si spegne l’immagine e si accende il concerto». Morricone teorizza la tenuta della buona musica da film – a prescindere dalle immagini – perché strutturata secondo una sintassi propria e una sua logica interna. Logica che merita di essere valorizzata anche all’interno del film. Infatti: «Una regola che ho sempre cercato di rispettare è quella di far iniziare e terminare la musica nel silenzio. Quando arriva la musica lo spettatore deve essere predisposto ad ascoltarla. E il silenzio prepara a “ricevere” i suoni». (Pag. 235).
I puntuali Apparati che completano il testo comprendono, oltre ai doverosi cenni biografici, una meticolosa filmografia nella quale sono citate ben 346 (!) colonne sonore prodotte per il cinema, per la televisione, per i documentari, dal 1961 al 2007.
Inoltre: la discografia essenziale, l’elenco degli arrangiamenti e quello dei premi e dei riconoscimenti.
Per non dire del compact disc con tredici brani di musica applicata (belle e godibilissime colonne sonore da film) e quattro brani di musica assoluta (che, per la loro intrinseca natura, richiedono un ascolto piú attento, e sono destinati a un pubblico piú selezionato).
Concludiamo queste note sommarie e incomplete citando un articolo riportato a pagina 260, nel quale Giordano Montecchi, sintetizza con lucidità l’opera straordinaria di Ennio Morricone. «Non canzoni, non arie o sinfonie o sonate, no. La sua materia prima è qualcosa di piú denso e sottile, insinuante e profondo: è la musica che lí per lí quasi non esiste, quella musica che ci avvolge dallo schermo e che tocca forse il suo massimo quando di lei non ci accorgiamo piú, trasfigurata in immaginazione allo stato puro, suggestione quintessenziata, suoni come tatuaggi dell’anima, emozioni, entusiasmi, angosce, abbandoni, lacrime, rabbia: tutto».