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L'uomo che ama



Regia: Maria Sole Tognazzi
Lettura del film di: Adelio Cola
Edav N: 365 - 2008
Titolo del film: L'UOMO CHE AMA
Cast: regia: Maria Sole Tognazzi – sogg. e scenegg.: Ivan Cotroneo, Maria Sole Tognazzi – fotogr.: Arnaldo Catinari – mus.: Carmen Consoli – mont.: Walter Fasano – scenogr.: Tonino Zera – cost.: Antonella Cannarozzi – effetti: Paolo Verrucci – interpr.: Pierfrancesco Favino (Roberto), Ksenia Rappoport (Sara), Monica Bellucci (Alba), Marisa Paredes (Dott.ssa Campo), Michele Alhaique (Carlo), Glen Blackhall (Yuri), Piera Degli Esposti (Giulia), Arnaldo Ninchi (Vittorio), Fausto Maria Sciarappa [Fausto Sciarappa] (Dottore) – durata: 102’ – colore – produz.: Donatella Botti per Bianca Film Srl con Medusa Film e SKY – origine: ITALIA, 2008 – distrib.: Medusa (24-10-2008)
Sceneggiatura: Ivan Cotroneo, Maria Sole Tognazzi
Nazione: ITALIA
Anno: 2008
Presentato: 3. Festival Internazionale del Cinema di Roma, 2008 - In Concorso - (Film D'Apertura)

L’interminabile e, per quanto mi riguarda, noioso e monotono film presenta due facce di lettura: facile la prima per quanto in essa non succede (quasi due ore di proiezione in cui succede tutto e... niente!), difficile l’altra per convincerci della verosimiglianza di ciò che aveva previsto la sceneggiatura, ridondante di carne messa al fuoco e offerta allo spettatore con apparenze appetitose. Gli eventi sono tutti di natura letteraria, non perché fuori dal mondo ma per il fatto di venire presentati senza «puntelli» di sostegno. Vediamo sullo schermo personaggi teatrali d’una commedia farcita di luoghi comuni e recitata senza molta partecipazione.

Nel film ci sono troppi «morti», tutti vittime designate d’amore. Alla regista interessa sopra ogni altro personaggio il protagonista: è un elemento strutturale a suo favore.

Nella PRIMA PARTE ci viene riferita la relazione di Renato con Sara. Quest’ultima ha una doppia vita. Quando l’altro ne viene a conoscenza per caso, come di solito succede anche nella vita oltre che sullo schermo, a causa d’un’imprudenza della convivente che ha dimenticato la prova del suo tradimento nella memoria del cellulare, gli cade addosso il mondo. L’amava davvero ed ora per vendetta la mette alla porta e si fa riconsegnare la chiave di casa degli appuntamenti. All’abbandono «definitivo senza ripensamenti» fa seguito il suo affannoso inutile inseguimento nel disperato tentativo di recupero della fedifraga che non riesce a dimenticare e senza la quale non può vivere. Ma lei non lo vuole piú neppure vedere.

I due tempi dell’amore incondizionato, espresso con ripetute affannose effusioni sessuali, e dell’allontanamento della partner, che costituiscono la prima parte del film, sono nettamente divisi da un evento con valore emblematico, lo scoppio della moka con la quale Roberto sta preparandosi il caffé espresso. La macchinetta domestica va in pezzi... come il suo proprietario.

Da questo punto in poi il nostro si comporta come un adolescente, inizialmente illuso, vittima dalla cotta che l’aveva colpito, innescata da una simpatica coetanea, e che poi reagisce in modo quasi isterico dopo le delusione alla fine dell’avventura. Getta a terra ciò che gli capita tra le mani, butta in un sacchetto gli oggetti che gli ricordano Sara e corre verso il cassonetto stradale delle immondizie per disfarsi di ogni cosa che gliela potesse far ricordare, ci ripensa e ritorna in casa conservando tutto come prima. Insomma che vuol fare adesso?

La risposta arriva nella SECONDA PARTE del film. Essa, molto piú breve della prima, riguarda la relazione compensatrice di Roberto che ritorna ad un’antica fiamma, Alba. Viene intanto meglio illustrata, senza inutili cadute spettacolari, l’amicizia omosessuale del fratello minore del protagonista, che a sua volta si ritroverà solo, dopo aver abbandonato l’amico per essersi innamorato d’un altro.

Gli incontri amorosi del protagonista con Alba danno origine a scene melense e lacrimogene. La povertà interpretativa dei due, in particolare di lei in confronto con lui, depone a sfavore di giudizi positivi sui noti interpreti.

La seconda parte del film conferma la convinzione della regista circa due verità già espresse nella prima: chi è stato colpito dai dardi di Cupido non guarirà, la ferita rimarrà sanguinante e non cicatrizzerà piú; nessuno, esposto alle frecce fatali, rimarrà invulnerabile, come dire che nessuno può vivere senza amare ed essere amato. Non è una sorpresa!

Ma come lo dice? Con una storia originale o almeno raccontata in modo originale, coinvolgente emotivamente lo spettatore? Indaga il mistero del cuore umano innamorato scoprendone le profonde radici?

Nulla di tutto questo. Illustra soltanto una vicenda sentimentale vista in medias res. I personaggi «recitano» la parte assegnata con debole convinzione. L’unica a distinguersi per «sincera» partecipazione ai sentimenti del personaggio che interpreta è la madre dei due figli, il protagonista ed il fratello piú giovane, quest’ultimo ammalato di cuore oltre che di passione omosessuale. Il padre dei due si dimostra talmente «spontaneo» nelle spiritose battute delle scene in cui appare... da non risultare credibile.

Nel film, dicevo all’inizio, ci sono troppi «morti», tutti vittime del misterioso amore. Scontano la colpa di non essersene guardati con cura per non cadere bersagli del dio Cupido, che, secondo il film, non risparmia alcuno. Tutti agonizzano d’amore e ne soffrono le «inutili pene» dopo l’abbandono od il rifiuto della persona amata, senza riuscire a rassegnarsi alla sorte comune. Ma, confida a Renato la nevrotica anziana farmacista, anche lei «lasciata» da anni dal marito, «col tempo ci si abitua», ma lo dice con le lacrime a stento trattenute!

Una miracolosa ricetta per guarire dalla sofferenza provocata da Amore ci sarebbe: «Continuare a vivere per i figli o, come è stato per me, dice convinta la anziana madre di Roberto, perché amo mio marito».

Il film non termina con il funerale dei «morti»!

Tutti vorrebbero ritornare allo status quo ante: il maturo Renato a Sara, il fratello, poco piú che adolescente, all’amico che ha licenziato «perché ne ha conosciuto un altro piú bello di lui», Alba inutilmente vorrebbe continuare ad incontrarsi con Roberto che non la ama piú. L’anziana farmacista con il tempo s’è abituata alla solitudine.

In chiusura del film sembra che le cose tornino effettivamente in ordine e diano adito ad un provvisorio happy end: la coppia Roberto-Sara s’allontana sulla strada scarsamente illuminata ed esce dal set mano nella mano.

Finalmente... FINE.
* * *

Desidero riflettere ulteriormente sul modo usato dalla regista nel dirigere il suo film, costantemente immerso in semioscurità (significativa), dove i personaggi si scambiano confidenze in presa diretta emettendo a fatica parole a fior di labbra senza permetterci di comprendere bene i loro discorsi.

A prima vista il film sembra confermare la paradossale verità contenuta dal proverbio popolare «Si stava meglio prima, quando si stava peggio».

Se a tale sentenza anonima aggiungiamo l’indiretto consiglio che la regista rivolge allo spettatore: «nelle circostanze difficili non lasciarti prendere dalla fretta di cambiare condizione di vita», forse facciamo qualche passo verso la scoperta dell’idea centrale del film.

Conviene però sottoporre questa prima impressione al vaglio della LETTURA STRUTTURALE.

Anzitutto, che cosa abbiamo visto sullo schermo?

Ancora: come ci è stato presentato dalla regista ciò che abbiamo visto?

E perché?

Nelle risposte, in parte anticipate dalle note precedenti, cercherò di evidenziare le particolari caratteristiche del film, i contorni due.

Al centro degli eventi c’è un uomo sui quaranta. Il maturo farmacista ROBERTO è un uomo arrivato. Non gli manca né il lavoro né il successo.

Eppure il suo modo di rapportarsi con le persone non sembra quello né d’una persona «matura» né d’una «arrivata». Lo vediamo frequentare, in tempi diversi, due donne con dedizione, anche con soddisfazione, ma sempre in attesa d’altro, per cosí dire. In nessuna delle due amicizie sessuali, Sara ed Alba, trova ciò che cerca. Per la verità, forse non sa neppure lui che cosa aspetta da loro. Forse, se si decidesse per l’una o per l’altra....

Ma cos’è, dunque, il protagonista di questo film, l’emblema dello stato d’animo di coloro che corrispondono alla categoria da lui rappresentata? Ma allora, qual è questa categoria? Quella dei coniugati o conviventi a quarant’anni d’età, insoddisfatti della vita?

Egli non offre caratteristiche per definirlo rappresentante di tale categoria, perché non è dotato di contorni due che permettano di elevarlo a quel livello.

Il film non è l’indagine psicologica su un fatto di cronaca.

Film di genere psicologico non sembra, anche se forse aspirerebbe ad esserlo. Chi arriva a conoscere le vicende del protagonista e delle sue donne non viene a scoprire nulla circa le segrete pulsioni e le oscure motivazioni che sono alla base di sofferenze e di incertezze, fonti di crisi irrisolvibili. Si afferma soltanto che amore e sofferenza vanno di pari passo.

Tali sono le problematiche circostanze nelle quali si dibatte Roberto.

L’originalità del film sta nell’illustrazione dei problemi amorosi dell’uomo, eseguita da una donna.

Numerosi registi hanno indagato ed illustrato con acume problemi simili. Nel caso attuale ho l’impressione che il film sia di sola vicenda.

La sovrabbondanza dei nuclei narrativi fine a se stessi, realizzati con intento spettacolare, pur senza arrivare ad inutili e fastidiose esagerazioni oggi di maniera, (eccetto l’incipit dello spettacolo!), non gli consentono di vantare validità tematica.

Il contenuto del proverbio sopra citato esce dalla «cosa rappresentata» e non dal modo di rappresentarla; il modo sembra preoccupato d’altro, soprattutto di descrivere in maniera «spettacolare», e nel caso superficiale, l’esperienza del protagonista. Anche la presunta indiretta esortazione (sopra riferita) della regista allo spettatore, esce dai fatti e non dal loro modo di presentarli.

Riferisco alcuni particolari ed episodi che mi sembrano essere stati realizzati con attenzione soprattutto all’aspetto spettacolare, talvolta anche con effetto positivo:

– la scelta della «Monica nazionale» come interprete di Alba appare come «specchietto» d’attrazione;

– il montaggio parallelo della duplice relazione del protagonista con le due donne è espediente narrativo strutturale riuscito per attirare l’interesse;

– la distinzione cinematografica «prima-durante-dopo» l’incontro amoroso di coppia con finalizzazione psicologica, anche se ovvia, ottiene lo scopo;

– il racconto cronologico dei fatti con ripetute ellissi è scelta ormai di moda;

– la messa in campo di personaggi con tendenze omosessuali è stato cedimento forse superfluo alla convenzione sociale contemporanea;

– generica risulta nel film l’ambientazione dei personaggi dialoganti, che potrebbero incontrasi in qualunque altra location senza perdere nulla del significato vero delle reciproche confidenze;

– la prima lunga scena di Roberto a letto con Sara bocca a bocca corpo a corpo è consolidata scelta spettacolare di moda.

Il presupposto giudizio del film che «all’amore non si può resistere», (il film, però, confonde ed identifica amore e sesso!)ma anche che talvolta s’incontrano «amore e morte», sono confermati dagli esempi di numerosi eroi patriottici e civili e di martiri cristiani d’ogni tempo.

Elenco infine certi «luoghi narrativi comuni», riscontrati nel film come privi d’originalità:

– il protagonista riverso sul water con la bocca aperta sotto la spinta di conati di vomito, dopo aver fatto una brutta esperienza;

– l’acqua della doccia di casa, che cade sul corpo del personaggio stressato a «rinfrescargli» le idee o a consolarlo accogliendo sotto quella pioggia l’amante focosa;

– il comportamento degli interpreti a tavola, in casa e al bar, dove si sbocconcella ben poco e si abbandona mezzo vuoto il bicchiere;

– lo squillo del telefono e la suoneria del cellulare, che… scoprono i coperchi alle pentole;

– il frettoloso riempimento della valigia con il guardaroba essenziale prima di andarsene per i fatti propri sbattendo la porta;

– l’inseguimento del «nemico» nel caotico traffico stradale con il pericolo di provocare incidenti;

– il frequente «retorico» fermo immagine sul PPP del protagonista per evidenziarne il turbamento che l’assale.

Con pregi e difetti, anzi con qualche nota in eccesso, il film mostra un uomo che soffre perché amante non amato. Questa È LA STORIA del protagonista, che a causa del modo usato dalla regista per raccontarla nel contesto di altre circostanze riguardanti personaggi di contorno, non aggiunge nulla a ciò che gli spettatori conoscono per esperienza personale o indiretta sull’argomento (non sulla «tematica») «AMORE», fonte di gioia e di disperazione.

Il giudizio morale sulla condotta di Roberto presentata dal film è negativo, perché egli agisce senza convinzioni etiche personali ma condizionato soltanto dalla sua cosiddetta «necessità d’amore», che sembra soltanto di natura sessuale, e che lo fa apparire come persona amorale.

Qualche spettatore potrebbe rimanere influenzato negativamente dalla condotta del protagonista del film; altri potrebbe addirittura essere distolto dal fare nella vita oculate scelte amorose moralmente lecite, impressionato dalle fobie del personaggio dello schermo. (Adelio Cola)

 


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