Se le aziende, oltre al prodotto, vendono concezioni di vita
di LUIGI ZAFFAGNINI
Edav N: 359 - 2008
Su Avvenire, in una delle pagine speciali Giovani del 18 marzo, è comparso un breve servizio di Elia Porcellato dal titolo «Smascheriamo gli spot per tornare protagonisti» sui ragazzi di una parrocchia in provincia di Treviso, che hanno studiato per alcuni mesi la pubblicità commerciale televisiva, orientata ai giovani. Essi hanno sottolineato come lo spot tenda a massificarli e a farli vivere in un mondo distorto di esigenze fittizie. In particolare, poi, hanno puntato l’indice contro alcuni spot della Vodafone che, a loro giudizio, farebbero credere che «tutto sia a disposizione, al loro servizio» e che «non spingono a cambiare il mondo, perché “tutto è intorno a noi”. Ed è perfetto cosí».
La reazione dell’azienda e la lettera dei giovani.
Il 25 marzo, sempre su Avvenire Giovani, Silvia de Blasio, a nome della Vodafone, ha risposto, in un articolo dal titolo «Gli spot e i giovani: il confronto è possibile». L’autrice, tutelando gli interessi dell’azienda, ha invitato i giovani al dialogo, sicura che, partendo dai buoni propositi della Vodafone e dei giovani stessi, avrebbe tratto utili suggerimenti. Per far comprendere le funzioni positive della pubblicità e per avvalorare il senso di responsabilità sociale ed etica dell’azienda in questione, oltre a una «guida all’uso responsabile del cellulare”, Silvia de Blasio ha enumerato una serie d’investimenti attenti all’ambiente, ai minori disagiati, agli anziani, agli immigrati, all’uso responsabile delle immagini via Internet. Insomma un mix di ragioni economiche e di solidarietà sociale che gioverebbero tanto all’impresa quanto alla crescita equilibrata e graduale della società.
In coda a questa risposta il giornale ha riportato, infine, il ringraziamento dei ragazzi della parrocchia e la loro disponibilità a confrontarsi sul significato di «buona pubblicità» e sui messaggi costruttivi che considerino i giovani non solo come clienti.
Le nostre osservazioni.
Certamente è incoraggiante il fatto che da un gruppo di giovani arrivi una decisa presa di posizione su un fenomeno che rischia di formare la loro personalità assai piú di quanto non facciano scuola e famiglia. Ma non basta, occorre fare di piú e soprattutto in modo piú approfondito. Benedetto XVI ha messo a fuoco nel suo messaggio sulla Giornata delle Comunicazioni Sociali il livello al quale considerare la questione. Una consolidata professionalità, fondata sulla lettura strutturale dei Media di Padre Taddei, proprio in campo cattolico, ha irrobustito le coscienze di tante persone già da decenni. Taddei, infatti, aveva da tempo preannunciato i pericoli, che oggi vengono a malapena avvertiti e per decenni ha martellato con la sua opera, non sempre ascoltato, istituzioni civili e religiose sulla necessità di una diffusa formazione della personalità che contrasti la mentalità massmediale. È evidente, infatti, che tutti gli attori coinvolti nella piccola discussione sulla «buona pubblicità»: i ragazzi, la parrocchia, la Vodafone e l’Avvenire stesso, hanno considerato la cosa sotto un profilo interessante, generoso, ma settoriale e non esente da qualche ingenuità. Ci sembra di capire dal tono del discorso e dagli esempi fatti che essi trovano una certa difficoltà a mettere in campo strumenti di lettura dei media veramente innovativi e affidabili. A prescindere dai contenuti dello spot e dalle tecniche del medium, bisogna far emergere il concetto, la natura e il funzionamento di quelle Comunicazioni Inavvertite che Taddei ha individuato nel linguaggio stesso e che non hanno nulla a che fare con gli aspetti del condizionamento psicologico subliminale o delle operazioni di marketing. Le Comunicazioni Inavvertite, infatti, sono la vera e unica causa che genera quella personalità infarcita di materialismo economico e di relativismo etico, che tanto si sente il bisogno di combattere. Senza cogliere la loro struttura e senza conoscere l’antidoto scientifico ad esse non si può andare piú in là di un ormai inadeguato buon senso o di un sentimento sociologico di accettazione o rifiuto del messaggio in base a convinzioni morali, non di rado proprio soggettive e relativistiche, perché fondate su una mentalità già plasmata dai massmedia. È chiaro, infatti, che la riflessione sulla pubblicità e sulla comunicazione tecnologica dei nostri tempi va posta a livello del fatto che tutte le ideologie e tutte le aziende del mercato non vogliono solo clienti, piú o meno costanti, non vendono solo prodotti, piú o meno affidabili, ma vogliono soprattutto stili di comportamento e di ragionamento mutevoli, vendono concezioni di vita che si contendono la trasformazione dell’intera società, sostituendo il valore di qualità con quello di quantità, il valore della dignità umana con quello della presunta libertà individualistica. Ora, per quanto non ci sia negli spot della Vodafone niente di moralmente cosí terribile e ben altri casi di trasmissioni di tutti i tipi, anche insospettabili, siano responsabili di gravi guasti pedagogici nei confronti dei giovani, nella piccola querelle sulla «buona pubblicità», andava attribuita alla Vodafone la responsabilità della Vodafone, ricordandosi che, in tutti i casi di pubblicità commerciale, c’è anche quella della agenzia di pubblicità che ha realizzato lo spot, e, a sua volta, pure quella delle reti che l’hanno messa in onda. E queste non sono sottigliezze giuridiche o amministrative, ma riguardano il tenore culturale di un intero Paese. Cosí, per illustrare la volontà di trasformare i comportamenti da parte dei media si sarebbero potuti citare esempi di spot che hanno proprio al centro il concetto di famiglia. Ad esempio la sfruttata pubblicità di una nota azienda alimentare di sughi in cui si crea la forzata relazione tra «il volere bene a un bimbo» e il «non esserne il padre» inducendo a considerare accettabile qualunque situazione familiare, non solo sotto il profilo dei sentimenti (che sarebbe normale), bensí sotto quello di orientare il pubblico a essere disponibile per qualsiasi situazione familiare non istituzionalizzata.
Ugualmente la pubblicità di un detersivo per lavastoviglie, andata in onda in due step, il primo dei due giovani (maschio e femmina) che armeggiano intorno allo «splendido splendente» risultato del lavaggio, il secondo in cui gli stessi due giovani manifestano, in analoga situazione, la condizione di attesa di un figlio, fa capire che, anche se non civilmente o sacralmente, si insiste sul concetto di famiglia, composta anche in funzione della generazione dei figli. Sono esempi interessanti, ma non cosí semplici come può apparire a prima vista e soprattutto non validi solo sotto il profilo del problema economico della vendita di un prodotto. Se di questi e di tantissimi altri esempi non si è in grado di fare l’anatomia dettagliata con strumenti infallibili, si rischia di perdere tantissimo del significato che il messaggio dice a livello profondo, ma inequivocabile e indelebile. Nemmeno la sommaria indagine, alla quale per brevità qui siamo stati costretti ad accennare, può esaurire la portata formativa che la metodologia della lettura strutturale riesce a produrre. Per capirne il potenziale di consolidamento della coscienza bisogna applicarla con rigore allo studio del linguaggio dei media e alla vita personale quotidiana. Per questo siamo certi che in quell’invito al dialogo e al confronto che Avvenire e Silvia de Blasio auspicavano, anche questa rivista e i suoi esperti della formazione comunicativa possano dare il loro contributo a tutti coloro che in questo campo sentono il bisogno di coniugare certezza scientifica, valore etico e ragionevolezza. Si tratta solo, soprattutto in campo cattolico, di voler attribuire a questi strumenti della comunicazione sociale quel posto al servizio della persona che ad essi spetta in una visione non puramente tecnicistica e materialistica della vita, come Benedetto XVI ci esorta ad avere. Si tratta solo, di non sprecare altri decenni, ma di affidarsi alla provata esperienza di chi sa operare nella formazione e nella educazione, adeguandola all’epoca delle tecnologie avanzate, con uno spirito informato da sostanziali valori cristiani.