Quella notte passata a rimontare Il Posto. La collaborazione tra Nazareno Taddei ed Ermanno Olmi
di ANDREA FAGIOLI
Edav N: 362 - 2008
Padre Taddei conobbe Olmi proprio a Venezia. «Mi ricordo – racconta nel libro-intervista Un gesuita avanti – che c’incontrammo in un bar e ne approfittai per fargli delle osservazioni che lui apprezzò al punto di invitarmi a presenziare ad alcune riprese del suo primo lungometraggio, IL TEMPO SI È FERMATO, girato sull’Adamello. Ricordo con molto piacere quelle giornate e quelle notti sull’Adamello quando con un faro da 10 mila volt illuminavamo la punta della montagna: un’immagine magnifica. Comunque, a parte questo, la sera ci arrivavano gli stampati di quello che avevamo girato nei giorni precedenti. Li vedevamo insieme e li commentavamo. Io non davo mai consigli, non dicevo: “Togli questo o fai questo”. Mi limitavo a ricordare il criterio: “Che cosa vuoi dire?”. “Io voglio dire questo”. “Allora, verifica se questo che tu hai girato serve oppure non serve”. Questo è stato il tipo di assistenza che ho dato a Olmi».
All’inizio la collaborazione funzionò «al punto – spiegava Taddei – che IL TEMPO SI È FERMATO fu anche premiato». Ma poi, per il suo secondo film, IL POSTO, Olmi non sentí il bisogno di interpellare Taddei: «Forse gli sembrava di umiliarsi se per una seconda volta avesse avuto bisogno della mia assistenza. In precedenza, comunque, mi aveva fatto vedere la sceneggiatura e io gli dissi: “Ermanno, qui ci sono due film, non ce n’è uno solo. Quindi devi metterla a posto”. “Si fidi di me”, mi rispose. Finí le riprese senza mai chiamarmi, ma una sera, quando mancavano una quindicina di giorni alla presentazione del film al Festival di Venezia, mi fece telefonare dal caro Alberto Soffientini perché andassi da lui che era disperato perché tutti gli dicevano: “Bello, bello, ma.... Bello, bello, ma...”. Andai. In piena notte vedemmo insieme il film e alla fine gli dissi: “Se tu mi credi, fai come ti dico io, altrimenti fai quello che vuoi: tu adesso queste pizze le metti nel cassetto e mi fai su un pezzo di carta “è la storia di...”. Si tratta di un sistema metodologico che io uso e che consiglio a chi deve scrivere una sceneggiatura. Devi trovare un solo soggetto e un solo predicato, anche se ci possono essere dei complementi. Alle parole devono corrispondere delle azioni cinematografiche. Ti do una settimana di tempo, dopo di che la leggiamo insieme ed hai un’altra settimana per rimettere a posto il film. Non devi girare niente di nuovo. Devi solo tagliare impostando secondo quello che sarà “è la storia di...”. Olmi non lasciò passare nemmeno una settimana che mi portò “è la storia di...” fatta molto bene, molto precisa. “Adesso – gli dissi – verifica con quello che hai girato cosa serve e cosa no”. Lui mi ascoltò e vinse il Festival. Tornato da Venezia mi regalò la copia del film che aveva vinto».
Dopo di che Olmi girò I FIDANZATI. «Ma anche in quella circostanza – raccontava ancora Taddei –, mi chiamò a lavori avanzati. Gli dissi che ancora una volta c’era un difetto di struttura: “Tu sei un bozzettista meraviglioso. Hai delle doti notevoli anche di traduzione cinematografica del concetto. Però ti manca il senso della struttura dell’insieme”. La stessa cosa la dissi successivamente a Venezia per un altro suo film, ma lui si offese e da allora non mi cercò piú».
Ma questo non ha impedito a Taddei di continuare ad apprezzare Olmi, che considerava «uno dei nostri veri registi di cinema», al quale ha sempre «voluto bene» e con il quale aveva «instaurato un rapporto di amicizia e non solo professionale».