NAZARENO TADDEI, UN GESUITA AVANTI - 3° la vocazione
di ANDREA FAGIOLI
Mia sorella è morta dando la sua vita perché mi facessi gesuita. L’ho saputo dopo. Ero in seminario a Trento, in quarta o quinta ginnasio, non ricordo, ma so che volevo piantare tutto. Sono andato da monsignor Montalbetti, che era il vescovo ausiliare, per dirgli che non avevo piú voglia di continuare il seminario. Lui mi convinse a continuare. Non conoscevo niente dei gesuiti. Conoscevo di vista soltanto un gesuita, a me antipatico, che incontravamo per strada a Trento. Mi era antipatico perché era tutto compassato, serio, quasi ieratico. Per me i gesuiti erano quell’antipatico di padre e quindi non avevo nessuna intenzione di farmi gesuita. Ma mia sorella, che fra l’altro si era laureata all’Università cattolica, nel corso della professione solenne, prendendo il mio nome come religiosa, senza dirmi niente, offrí la sua vita al Signore perché io mi facessi gesuita. Dopo qualche mese, mentre in seminario facevo gli esercizi spirituali, un giorno, piú per noia che per devozione, andai nella cappella, mi misi al mio posto, c’erano i libretti delle preghiere e tra gli altri c’era il «Manuale degli zelatori dell’apostolato della preghiera», cosa che non mi interessava minimamente. Tirai comunque fuori questo libretto. Facendo scorrere le pagine dal bordo, mi saltò sott’occhio come un lampo: «Compagnia di Gesú, Sacro Cuore di Gesú, Margherita Maria Alacoque». Tre nomi, ma soprattutto «Compagnia di Gesú». Istintivamente fui colpito dal pensiero: «Devo farmi gesuita». Piangevo e ripetevo: «Devo farmi gesuita». Un giorno, entrato in noviziato (quattro anni dopo) , venni a sapere che mia sorella si era ammalata: un semplice raffreddore si era trasformato in polmonite e poi in broncopolmonite. Fatto sta che otto mesi dopo è morta di flebite. Ma prima, pensando che le facesse bene l’aria di mare, era stata messa dalle suore di Rapallo dove io, poi, avrei incontrato per caso il cardinale Ottaviani.
Quindi, la sua vocazione è avvenuta quando lei era già in seminario, non prima. E allora, perché è entrato in seminario?
L’anno di nascita era quello giusto, visto che è coetaneo di Karol Wojtyla.
Sí, 15 giorni piú giovane. Scherzi a parte, le mie zie volevano che mi facessi prete. Quando sono entrato in seminario avevo 11 anni, ma qualche anno dopo, come detto, volevo venire via. Non avevo nessuna voglia di fare il prete.
Certo. Anche se sono stato io a decidere, ma ci ho messo quattro anni. Poi, una volta deciso, sono sempre stato fedele, almeno penso. Quel senso di onestà che mi hanno inculcato da bambino ho sempre cercato di esercitarlo anche nella mia vocazione.
Piú che altro ricordo che negli ultimi anni di teologia non sono stato bene di salute. Da Padova ero stato mandato a Roma. Era la fine del ’49. A Roma, fra l’altro, ricordo di avere avuto dei contatti non belli dal punto di vista spirituale. Un giorno, un monsignore, che ora è morto, mi fa: «Senti Taddei, tu hai delle belle doti, puoi fare carriera, ma come facciamo a farti fare carriera se non ci dai una prova di fiducia?». A parte che mi ero fatto gesuita proprio per non fare carriera (il nostro ordine lo prevede esplicitamente), risposi che non capivo cosa volesse dire. «Devi fare qualcosa per cui ti si possa ricattare. - mi disse il monsignore - Non so? Ruba qualcosa, vai con un donna... Cosí noi siamo sicuri di poterti dominare». Al che dissi che mi dispiaceva, ma non potevo dargli questa «prova di fiducia». Per me fu una brutta botta, anche se non ero piú un ragazzino, avevo già fatto il noviziato, il magistero, filosofia, ed entravo allora in teologia. Ero insomma già convinto della mia scelta, ma questa cosa mi impressionò molto. Mi domandai: «In che mondo sono capitato?». Contemporaneamente, analoghi contatti, sia pure d’altro genere, li avevo avuti in campo politico, democristiano ovviamente. Allora mi dissi: «Io qui devo fare teologia in maniera da essere sicuro che la teologia vale, perché se coloro che devono portare avanti il cristianesimo sono questi non vale la pena che io sacrifichi la mia vita, tanto vale che me ne vada visto che ancora non sono stato ordinato sacerdote. Però, sono in teologia e allora voglio essere sicuro che almeno la teologia valga. Anche se fossi io solo a rispettarla, almeno sarò a posto con la mia coscienza». Mi misi a fare le dispense (le uniche che circolassero allora, non c’erano i testi dei docenti) di teologia dogmatica per il professor padre Flick.
Insomma, il terzo anno di teologia avrei dovuto dire Messa, ma mi ammalai di nervi: un esaurimento nervoso. I superiori mi mandarono in Svizzera per rimettermi un po’. Intanto, continuavo a studiare e a preparare gli esami. Il padre provinciale, Pietro Costa, mi disse: «Non so se ti ordino, perché non siamo ancora sicuri». Al che risposi: «Senta padre, a questo punto vuol dire che ho sbagliato strada. Se lei non mi ordina, perché non si fida di me, vuol proprio dire che ho sbagliato strada». «Ma lei è ancora un po’ ammalato». «Senta, o lei mi ordina o se no me ne vado». Allora lui, molto paterno: «Sa cosa faccio? La faccio ordinare a Trento nella cappella del Seminario minore dove lei ha avuto la vocazione alla Compagnia di Gesú». Cosí è stato. Nello stesso anno, il 1952, ho conseguito il baccalaureato in teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.
No. Mio padre è morto che ero al secondo anno di noviziato. Inizialmente mi lasciarono andare ad assisterlo, ma poi, siccome continuava a vivere, mi richiamarono in noviziato. Alla fine è morto in casa di mio fratello a Parma e non ho fatto in tempo a rivederlo vivo.