NAZARENO TADDEI, UN GESUITA AVANTI - 9° ecologia mentale
di ANDREA FAGIOLI
ECOLOGIA MENTALE
Lei ha una sua teoria, che negli ultimi anni ha espresso piú volte, ovvero che siamo dominati a livello planetario da alcune multinazionali. Si tratta di un’ipotesi formulata anche da altri e peraltro attendibile. Ma lei com’è arrivato a questa teorizzazione?
Applicando la metodologia della «lettura strutturale» agli eventi. Con il passare degli anni mi sono accorto che c’era un «grande vecchio», non come persona, ma come istituzione che guidava le cose. Andando avanti ho avuto la conferma dell’esistenza di questa «lobby».
Mi rifaccio alla già rammentata meditazione di Sant’Ignazio dei due «vessilli»: il «vessillo di Satana», dalla parte di Babilonia, e il «vessillo di Cristo», dalla parte di Gerusalemme. Il terreno di battaglia sul quale oggi questi due vessilli si combattono, come detto, è quello della comunicazione. Il «vessillo di Satana», in questo caso, è la confusione mentale di cui la televisione è la fonte principale, ma i giornali non sono da meno. Si pensi, ad esempio, alla confusione circa la figura del Papa attuale. Se ne parla molto bene, ma se ne dà l’idea di grande uomo politico, non di Vicario di Cristo. Cosí si riesce a secolarizzare perfino la figura del Papa. E quindi confusione mentale. La confusione mentale serve per dominare le teste e far fare alla gente quello che vogliono loro.
Quindi, queste multinazionali vogliono la confusione mentale?
Esatto. Come mezzo, quindi come fine prossimo, non come fine ultimo. Queste forze tentano la conquista planetaria. Loro producono di tutto: dalle armi alle calze da donna. Oggi come fanno a pubblicizzare i loro prodotti e quindi a dominare con i loro prodotti? Con la televisione e gli altri mezzi di comunicazione, compreso Internet, ma soprattutto con la televisione. La differenza tra l’oppressione sovietica e l’oppressione americana, tra comunismo e consumismo, che sono tutti e due materialismi, sta nel fatto che con l’oppressione sovietica se non eri d’accordo ti ammazzavano, mentre con l’oppressione consumistica ti si dice semplicemente: «Vieni con me che ti do un servizio». È l’anellino d’oro al naso tirato da loro con una catenina d’oro. Se tu reagisci ti fa male; cioè stai male, non hai piú servizi, vantaggi. Ti conviene seguirli. Pensiamo al concetto di benessere, che dovrebbe essere anche spirituale, mentre è inteso solo in senso materialistico, senza nessun accenno alla spiritualità.
Il concetto è chiaro. Ma quali sono queste multinazionali?
Studiando per decenni, giorno per giorno, come ho studiato io questi fatti, ci si rende conto che c’è un gruppo che domina. Oggi qualcuno ha scritto che è il gruppo anglo-olandese. Ci sono comunque fonti statistiche che affermano che l’80% della ricchezza mondiale sarebbe in mano a sei multinazionali, di cui quella che sta a metà (nemmeno, quindi, la piú grossa) possederebbe riserve di ricchezza maggiori di quelle degli Stati Uniti. Qualcuno non condivide quest'ultimo dato. Tutti però sono d’accordo sul fatto che sei sole multinazionali dominano l’80% del commercio delle materie di prima necessità. Il che è piú che sufficiente per il nostro discorso, per capire cioè che chi governa il mondo sono loro, le multinazionali. E lo governano senza esclusione di colpi, in modo che non sempre si conosce e forse nemmeno si immagina. Lo governano col criterio del profitto a dimensione planetaria. I politici non possono che soggiacere e soggiacciano di fatto.
Ci può dare un’idea piú precisa di questo modo di governare il mondo?
Per dare un’idea, mi limito a citare qualcosa del volume «Vodka-Cola», di Charles Levinson, pubblicato da Vallecchi nel 1978 e presentato allora dal Cnr, ma tolto dalla circolazione appena lanciato (e si capisce!). Levinson, in modo documentato, parla lungamente, ad esempio, del rapporto che allora c’era tra Agnelli e Rockefeller, uniti dall’analisi sulla necessità di un controllo politico a livello mondiale e dalla dottrina delle «élites» che governano e delle masse che obbediscono. In questa prospettiva guardavano all’Unione Sovietica per utilizzare le disponibilità di una manodopera qualificata che non sa niente di scioperi, realizzando nuovi profitti e dando inizio al tempo stesso al processo di distensione. I sovietici seguivano una politica che permettesse l’aggressione ideologica e al tempo stesso la ricerca pacifica di crediti e di rapporti commerciali. E infatti, alla fine del 1976, l’Urss ottenne 415 milioni di dollari di credito dalla Fiat, attraverso la mediazione della Libia e di Gheddafi. La somma è servita ad assicurare l’aumento della produzione degli stabilimenti Fiat in territorio russo con un tasso d’interesse ridicolmente basso: il 5%. E non certo per carità cristiana. In questa luce, l’avvento di Gorbaciov e lo storico avvicinamento tra Russia e America (già varie volte annunciato, ma mai concluso) era inesorabile e scontato.
Ma da allora molte cose sono cambiate.
In questi anni, è vero, molte cose sono cambiate, ma in quella stessa luce si capisce molto di quanto è successo: è l’attuarsi implacabile di una strategia sempre guidata dalla grande molla del profitto a dimensione planetaria. Una strategia ben mascherata da nuove parole-paravento, come ecologia (il movimento dei Verdi è delle multinazionali), umanitarismo, solidarietà (oggi anche new economy) e, almeno per qualche caso, vorrei aggiungere: pace.
Al di là di quello che ha scritto Levinson, lei ha potuto fare delle verifiche?
Ci sono delle verifiche che potrebbero fare tutti. Ad esempio, nei miei viaggi in Corea del Sud, a distanza di non molti anni, ho verificato le enormi e rapide trasformazioni. Già all’aeroporto, nell’ultimo viaggio, mi sono accorto che non c’erano in giro quasi piú persone vestite con i costumi tradizionali, cosa che invece avevo notato la prima volta. Oppure, guardando la tv coreana mi sono accorto che nel suo complesso mira a creare una mentalità, e quindi un costume, occidentale. Per esempio non si sente mai o quasi mai musica coreana; non si vedono mai o quasi mai costumi e vestiti coreani. Eppure i coreani sono molto sensibili alla musica e hanno molta bella musica propria, anche popolare. Per i vestiti, poi, la cravatta per gli uomini è diventata tale segno indispensabile di distinzione, che ho notato gruppi di impiegati uscire dagli uffici dei luminosi grattacieli in maniche di camicia per il caldo torrido, ma con la cravatta ben aggiustata. La strategia che sta alla spalle è la solita: livellare tutto il pianeta sullo stampo consumistico. E come da noi il grande ostacolo alla conquista era una mentalità veramente cristiana (da qui le campagne secolarizzanti e anche antireligiose di vario genere, piú d’una volta in combutta anche con ideologie materialistiche), cosí laggiú il grande ostacolo era ed è la tradizione confuciana, legata ai costumi e ai vestiti locali, ricca di valori etici e religiosi (per quanto d’una religione diversa dalla nostra), donde la parola d’ordine «occidentalizzazione» a tutti i costi. Cosí, anche in questo caso, ritorna il discorso del «Vodka-Cola», cioè delle multinazionali che mirano alla conquista economica planetaria, servendosi dei mezzi d’informazione, però con alla base notevolissimi studi scientifici antropologici, psicologici e sociologici, sí che le popolazioni non s’accorgano d’essere manipolate.
Torna, dunque, in primo piano il discorso della comunicazione di massa.
Proprio cosí. E non è un caso che da altre fonti statistiche veniamo a sapere che l’80% dell’informazione mondiale, almeno di quella quotidiana, è in mano a sei agenzie di stampa internazionali. Non ho documenti per credere che l’80% di ricchezza in mano a quelle sei multinazionali coincida con l’80% di informazione in mano a quelle sei agenzie. Ma tutto porta a credere che una relazione esiste. Infatti, il mondo dell’informazione è un grosso strumento di pressione o quanto meno di consenso, che poi si traduce in altrettanto potere. Potere al quale né le multinazionali né le agenzie intendono rinunciare. Il rapporto tra potere economico e informazione è del resto molto chiaro anche in Italia. Basti pensare a chi sono i proprietari dei giornali e delle televisioni. Nel contempo, è da notare che tutta la comunicazione di massa si muove sempre piú secondo una strategia che prima ho definito della confusione mentale. Col «panem et circenses» dell’evasione televisiva, delle grosse vincite lasciate al caso o del tifo sportivo, si impedisce di fatto che la gente si accorga di quello che si sta tramando sulla sua testa, comperi e consumi come si vuole che comperi e consumi, ritenga pregio e virtú l’apparire, il possedere, il vincere (o meglio: l’illusione di possedere e di vincere), lo stare dalla parte del piú forte e non della verità e della giustizia. Altrettanto, si favoriscono quelli che teorizzano la confusione, e fino a un certo punto la trasgressione, quale conquista di avanzamento e si escludono praticamente quelli che cercano di ostacolarla, accusandoli di strettezza mentale, di arretratezza.
Se cosí stanno le cose, si tratta di una strategia che però non è iniziata oggi.
Infatti, almeno in Italia è iniziata una quarantina d’anni fa, quando si è cominciato a sgretolare la mentalità e la pratica cristiane, con la scusa per esempio della superstizione e del libero contatto con Dio, senza bisogno della Chiesa. Questo perché la mentalità e la pratica cristiane costituivano, come detto, il principale ostacolo all’avanzamento d’una concezione materialistica della vita. E, guarda caso, dietro a questa operazione ben organizzata c’era da una parte il consumismo americano e dall’altra il materialismo dialettico sovietico: «Vodka-Cola», appunto. Cosí, oggi, la strategia della confusione si sta diffondendo da sola, perché le cose che la favoriscono sono diventate di moda: è comodo non doversi dominare nei propri impulsi, non doversi preoccupare del rispetto per gli altri, sentirsi giustificati anche quando si è nel torto, fare e pensare quello che si vuole senza doversi preoccupare di dove sta il vero e il giusto. E cosí via. In tal modo, il senso critico si perde e quindi si soggiace agli occulti ordini delle mode. Sotto questo profilo, la strategia s'è preoccupata piú di creare quelle mode che di portare precisi contenuti. Ed ecco oggi la necessità di quelle che io chiamo «ecologia mentale», vale a dire: liberazione dall’inquinamento mentale che tende a schiavizzare inconsciamente, inconsapevolmente, divertendo, provocando emozioni e passioni. L’ecologia mentale è però possibile, anche se non facile. Ho lavorato piú di mezzo secolo per questo.