NAZARENO TADDEI, UN GESUITA AVANTI - 10° l'ipnosi
di ANDREA FAGIOLI
L'IPNOSI
Mi risulta, anche perché lei ne ha fatto cenno, che nel corso della sua vita, ad un certo punto, ha praticato l’ipnosi. Com’è nato quest’interesse che, se vogliamo, è un po’ lontano dal suo tipo di studi?
L’interesse è nato in modo casuale. Dovevo fare in televisione una trasmissione sul dolore, distinguendo naturalmente tra dolore fisico e dolore morale. Affrontando il primo aspetto, mi trovai di fronte ai vari tipi di dolore, ma anche ai vari modi di contrapporsi al dolore: anestesie, atteggiamenti psicologici e, appunto, ipnosi. A quest’ultimo proposito avevo sentito parlare di un certo Mario Bellini, di Reggio Emilia, che aveva fatto degli esperimenti di ipnosi proprio in televisione. Andai a cercarlo e lo invitai in trasmissione. Era un tipo molto esuberante. Diventammo subito amici. Fra l’altro era di origine trentina come mio padre e in parte come me, visto quello che ho raccontato all’inizio. Un giorno, Mario Bellini mi disse: «Guarda che tu hai delle doti di ipnosi». Fu così che mi insegnò la tecnica. Lui aveva il pallino di utilizzare queste sue doti dal punto di vista scientifico. Io gli trovai due medici, un primario di neurologia e un altro di cardiologia, con i quali aprimmo a Milano uno studio di ipnosi. I locali e gli impianti ce li mise a disposizione la Geloso. Poi lo studio fu chiuso anche perché la Geloso non ci guadagnava e i due medici dimostravano sempre meno disponibilità a uno studio serio che non rendeva molti soldi. Ma io mi sono servito dell’ipnosi per fare quel poco di bene che potevo fare. Ho quindi fatto degli esperimenti molto interessanti e anche molto delicati, delicati perché con l’ipnosi si riesce ad entrare nella mente di un altro.
Questo però poneva dei problemi etici, a maggior ragione se li sarà posti lei come sacerdote.
Certo. Ma ci sono dei misteri nell’uomo per cui io non mi spavento della scienza, qualunque cosa cerchi. È chiaro che la scienza deve essere dominata dalla morale. La scienza non potrai mai essere contro la fede. È l’uso della scienza che può arrivare a essere contro la morale. Di esperimenti ne ho fatti parecchi e sempre di fronte a testimoni. Alcuni ammetto di averli fatti un po’ per gioco: una volta ho fatto diventare di marmo una persona; un’altra volta, in Corso San Babila a Milano, dall'alto di una finestra ad alcuni miei confratelli chiedevo di indicarmi una persona sulla strada da far bloccare di fronte a una vetrina; un’altra volta, dopo il premio a Venezia del film «Il posto», ipnotizzai tutta la troupe di Ermanno Olmi, compreso lui, con risultati esilaranti, ma anche commoventi (se si pensa che poi, come detto, Olmi sposò la protagonista del film). Ma ho usato l’ipnosi anche per far superare certi problemi psicologici, ad esempio dei tic, il fumo, perfino (un caso) la bestemmia e l’ho utilizzata in casi di malattie, perfino con lo stesso Mario Bellini, quando cominciò a soffrire per un’ulcera, che poi si rivelò un male ben piú grave tanto da portarlo alla morte. Ma almeno ha sofferto di meno. Fra l’altro, ad un dato punto della sua vita, lui e la moglie, vennero a stare con me. Infatti, erano il cognato e la sorella di Gabriella Grasselli, la segretaria del Centro, che avevo conosciuto proprio all’epoca dei primi incontri con Bellini. Allora era una bambina, aveva otto anni.
Visto che ha rammentato Gabriella, indubbiamente nella vita del suo Centro la segretaria ha avuto un ruolo importante.
Non c’è dubbio. Stavo appunto dicendo della circostanza in cui l’ho conosciuta e mi ricordo, a questo proposito, che il cognato, attraverso l’ipnosi, le faceva imparare a memoria le cose per la scuola: lei, su comando ipnotico, leggeva una volta una poesia, anche lunga, e subito la sapeva a memoria. Mi ricordo anche che l’operarono di appendice completamente da sveglia, ma sotto l’anestesia ipnotica. Durante l’operazione mangiò perfino delle caramelle e chiedeva al chirurgo cosa stava facendo. Finita l’operazione, si alzò da sola dal letto operatorio, si mise il pigiama con l'elastico sulla ferita e, dopo avere assistito all’operazione di un altro, andò in camera. La mattina dopo la trovarono in cortile a giocare. Questo per dire come la conobbi e come la vicenda sia legata a quella dell’ipnosi.
Ma quand’è che è venuta a lavorare con lei al Centro dello Spettacolo e della Comunicazione sociale?
Appena compiuti 18 anni. Già da qualche tempo, dopo il diploma all’Istituto commerciale, aveva iniziato ad aiutare il padre in una piccola azienda di detersivi. Suo papà capiva che in questo mestiere e a Reggio Emilia non c’erano grandi prospettive per la figlia. Insomma, la voleva sistemare, voleva che uscisse dal chiuso del negozio e della città. Era il dicembre 1964. Io avevo già avuto alcune segretarie, una si fece anche monaca di clausura. Sembrava che fosse chiamata, io gli avevo detto di no. Dopo qualche mese uscí, nonostante che il suo direttore spirituale gli avesse detto che quella era la strada giusta e che «Padre Taddei si intende di cinema, ma che vuoi che ne sappia di vocazioni?». Quando lasciò il convento, fui io, francamente con poca umiltà, a rimandare il messaggio al mittente: «Vai a chiedere al tuo direttore spirituale se Padre Taddei si intende solo di cinema». Dopo qualche giorno il reverendo in questione divenne vescovo. Non dico di piú. Dico solo che mi ero fatto un nemico. E che nemico….
Torniamo a Gabriella.
Sí. Portai Gabriella a Milano. All’inizio non fece particolari conoscenze perché per vitto e alloggio era ospitata dalle suore, che l’avevano presa a ben volere. Qualche anno dopo, mi sembra nel ’72, mentre stavamo andando a Frascati per organizzare un corso, mi disse che sarebbe rimasta fino alla fine dell’anno e poi se ne sarebbe andata, perché avrebbe voluto sposarsi. Non so se avesse già un ragazzo. «Va bene - dissi io – in autunno te ne vai». Passato l’autunno non mi parlò piú di volersene andare. Mi resi conto che aveva capito l’importanza di quest’opera ed aveva deciso di dedicarvisi, anche senza nessun atto formale. È sempre stata dedita con molta intelligenza. Per me è stata di grande aiuto e lo è tuttora, anzi: lo è piú oggi che sono arrivato a quest’età con vari incidenti di salute. Anche sua sorella, finché è stata con me, mi ha aiutato molto. Gabriella e la sua famiglia, ma lei in modo particolare, in certi momenti mi ha impedito di morire, riuscendo, per esempio, a trovare il sangue di tipo difficile per qualche trasfusione che mi era necessaria. Capisco che stare 36 anni con me non dev’essere stato facile.
Ha fatto riferimento ad alcuni «incidenti di salute». Che tipo di interventi ha subito?
Diversi. Come costituzione fisica, ringraziando Dio, sono sempre stato e sto bene. Ma qualche incidente c’è stato. L’ultima operazione è stata per un cancro al colon. Poi, operazioni alle gambe per un incidente di macchina, anzi, quello l'ho avuto proprio con Gabriella. Era la primavera del 1970, stavamo andando a Firenze per una mia lettura di film, guidavo io e viaggiavamo in autostrada ad oltre 170 chilometri l’ora. C’era stato un incidente, che guarda caso aveva coinvolto alcuni amici tedeschi del padre Pellegrino della Radio Vaticana. La fila di macchine ferme arrivava fino ad una curva dalla quale io uscii alla velocità che ho detto trovandomi improvvisamente di fronte in corsia di sorpasso una macchina senza capote ferma con due persone e sulla corsia normale un camion con un poliziotto sulla corsia d’emergenza, che parlava con l’autista. In una frazione di secondo, qualcuno mi ha ispirato a buttarmi contro il gard-rail per evitare la macchina, altrimenti li avrei ammazzati tutti e due. Cosí, di rimbalzo, siamo andati a finire sotto il camion, ma non abbiamo fatto male a nessuno. Ci siamo fatti male per noi. Ci hanno portati via svenuti. Dapprima siamo stati ricoverati in un ospedale e poi in una clinica delle Suore della Divina Volontà, dove siamo stati assistiti molto bene. Mi ricordo soprattutto la grande dedizione e la pazienza di suor Tarcisiana, cosí come di suor Carmela delle Suore di Maria Bambina ai tempi del già ricordato precedente milanese.
Gabriella ci rimise il viso, dovendo poi fare un intervento di plastica. Io mi ruppi il bacino e un paio di costole. Anche in quella circostanza mi aiutarono la mamma e la sorella di Gabriella. Un’altra operazione l’ho avuta quando eravamo in via Aurelia a Roma. Uscendo dalla cappella, scivolai sul pavimento in cui era stata data la cera. Mi ruppi il femore destro. Adesso quel femore ha la testa di plastica. Certo, anche in quella circostanza, se non ci fosse stata Gabriella e la sua famiglia, forse non sarei sopravvissuto.