BOBBY
Regia: Emilio Estevez
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 346 - 2007
Titolo del film: BOBBY
Titolo originale: BOBBY
Cast: regia e scenegg.: Emilio Estevez - fotogr. : Michael Barrett - scenogr.: Patti Podesta - cost: Julie Weiss - mont.: Richard Chew, A.C.E. - mus.: Mark Isham - interpr. princ.: Harry Balafonte (Nelson), Nick Cannon (Dwayne), Emilio Estevez (Tim), Anthony Hopkins (John Casey), Demi Moore (Virginia Fallon), Elijah Wood (William) - durata 120' - colore - produz.: Bold Films - origine: Usa, 2006 - distrib.: 01 Distribution
Sceneggiatura: Emilio Estevez
Nazione: USA
Anno: 2006
Presentato: 63. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2006 - In Concorso
È la storia della tragica giornata del 1968 in cui fu assassinato all’Hotel Ambassador di Los Angeles, Robert Kennedy e delle persone che, per un verso o l’altro, si sono trovate a ruotare attorno all’avvenimento che, oltre alla morte del Senatore, fece registrare anche una ventina di feriti piú o meno gravi, ma nessuno mortale.
La gente che vediamo nel film è toccata appena dalla manifestazione che avrà luogo nell’albergo (la chiusura delle «primarie» del Partito Democratico) e, durante tutta la narrazione continua a fare il proprio lavoro o a condurre la propria esistenza, ignara, ovviamente, che la giornata passerà alla Storia.
Mentre i personaggi sfilano sotto i nostri occhi, l’autore – utilizzando materiale di repertorio – presenta, sia pure sommariamente, quello che sarebbe stato l’impegno programmatico di Kennedy nel caso che fosse riuscito ad arrivare alla Casa Bianca.
Non riuscirò a parlare di tutti i personaggi del film, ma almeno di quelli che piú mi hanno colpito: c’è una coppia di ex dipendenti dell’Albergo che, pur essendo in pensione, si ritrovano tutti i giorni nella hall e passano la giornata giocando a scacchi, bevendo qualcosa o semplicemente chiacchierando e, rimpiangendo, gli anni trascorsi al lavoro, ora che al lavoro non ci sono piú.
Un’altra coppia è rappresentata dal Direttore dell’Albergo e dalla moglie, che gestisce il salone di parrucchiera nello stesso albergo: lui ha una relazione, che peraltro interrompe proprio quel giorno, con una giovanissima centralinista e il suo vice, licenziato nella stessa giornata, spiffera la marachella alla moglie che gli pianta una scenata: al termine, di fronte alla grande tragedia, ci sarà la riconciliazione.
C’è poi tutta la sequela dei dipendenti della cucina, quasi interamente formata da negri e latino americani: s’intrecciano discorsi sulla problematica razziale e speranze sul nuovo corso che Bobby intenderebbe dare al paese; alla fine, uno di loro rimarrà gravemente ferito nella forsennata sparatoria dell’assassino e i colleghi faranno a gara per soccorrerlo.
Abbiamo anche una coppia di mezza età (lui piú anziano) che sono in gita a Los Angeles per festeggiare una qualche ricorrenza riguardante il loro matrimonio; sono molto innamorati l’uno dell’altra e la loro presenza filmica ruota attorno ad un paio di scarpe nere che la donna si è dimenticata e che le occorrono per abbinarle con i vestiti che si è portata dietro: sarà anche il marito ad accompagnarla ed a consigliarla, con una premura tipica di chi ama veramente; anche lei rimane ferita alla testa, ma si salverà.
Ci sono anche due attivisti del partito democratico che quel giorno, anziché recarsi nel luogo delle votazioni per spingere i cittadini a votare, si prendono un giorno libero e vanno da uno spacciatore di droga per acquistare della marjuana, ma vengono convinti a provare l’LSD con i risultati facilmente prevedibili: lo sballo è violento e ripetuto ed il loro stare male assume toni decisamente comici.
C’è poi la cantante dell’Albergo che – in là con l’età – vede diminuire il successo ed aumentare le rughe, credendo di risolvere il problema annegando i dispiaceri nell’alcol; ha un rapporto di grossa prevaricazione con il marito che, poco prima dello spettacolo che precede il discorso del senatore, le fa una scenata e la pianta in quattro e quattrotto.
Ed arriviamo cosí alla sequenza clou del film: nella confusione della sala, dopo che il capo dello staff di Kennedy ha annunciato la vittoria e dopo alcune parole di ringraziamento e di impegno da parte del candidato alla Casa Bianca, quest’ultimo di dirige verso le sue stanze, fendendo una folla strabocchevole che vuole applaudirlo e stringergli la mano: da tutta questa moltitudine sbuca un giovane esagitato che impugna una pistola che rivolge verso Bobby: le prime pallottole colpiscono il senatore e altra gente, poi quando l’assassino viene afferrato dalla gente, continua a sparare fino a svuotare il caricatore e, in quella moltitudine che pare impazzita dal terrore, ciascun proiettile può avere colpito piú persone.
Il regista non ci dice niente dell’assassino, neppure il nome, ci propone invece una specie di filippica sulla violenza, sulla diseguaglianza, sulle armi, sulle prevaricazioni del potere, quasi ad indicare in questi elementi – chiunque abbia materialmente premuto il grilletto – l’origine dell’attentato a Kennedy.
E lí il film si ferma, non va oltre, quasi ad indicare che il suo interesse – ovviamente oltre alle tesi propugnate dal senatore – è l’esaminare il comportamento della gente comune in una giornata che era nata come una qualunque ed è diventata una che ha cambiato il corso della storia.
Il film è molto ben organizzato – anche sotto il profilo della struttura narrativa – ed è merito del regista che ha saputo intersecare tutte queste storie, rendendole tutte chiare e comprensibili; è stato aiutato anche da una massa di grandi attori che si sono prestati per la realizzazione dell’opera: di uno almeno voglio parlare, cioè del grandissimo Anthony Hopkins che interpreta, come meglio non si potrebbe, il ruolo del pensionato ex portiere dell’albergo che continua a passare le sue giornate nei locali che lo hanno visto lavorarci per quaranta anni: è un cammeo delizioso e da mostrare in una scuola di recitazione. (Franco Sestini)