UN'OTTIMA ANNATA
Regia: Ridley Scott
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 346 - 2007
Titolo del film: UN'OTTIMA ANNATA
Titolo originale: A GOOD YEAR
Cast: regia: Ridley Scott – sogg: Peter Mayle – tratto dal suo romanzo «Un’ottima annata» (Ed. Garzanti) – scenegg.: Marc Klein – fotogr.: Philippe Le Sourd – scenogr.: Sonja Klaus – mont.: Dody Dorn – mus.: Marc Streitenfeld – arred.: Barbara Perez-Solero – cost.: Catherine Leterrier – effetti: Steven Warner, Wesley Sewell – interpr.: Russell Crowe (Max Skinner), Albert Finney (zio Henry), Freddie Highmore (Max giovane), Rafe Spall (Kenny), Archie Panjabi (Gemma), Richard Coyle (Amis), Daniel Mays Bert (il portiere),Tom Hollander (Charlie Willis), Didier Bourdon (Francis Duflot), Isabelle Candelier (Ludivine Duflot), Marion Cotillard (Fanny Chenal), Kenneth Cranham (Sir Nigel), Valeria Bruni Tedeschi (Nathalie Auzet), Magalie Woch (segretaria), Jacques Herlin (Papa Duflot), Abbie Cornish (Christie Roberts), Catherine Vinatier (madre di Fanny) – durata: 118’ – colore – produz.: Scott Free Productions – origine: USA, 2006 – distrib.: Medusa (15.12.2006)
Sceneggiatura: Marc Klein
Nazione: USA
Anno: 2006
È la storia di Max Skinner, un «broker» della finanza londinese che, subito dopo un colpo da maestro eseguito ai limiti della legalità e che lo porta a guadagnare diversi milioni di sterline, viene colpito da una sorta di ostracismo dei colleghi che, invidiosi per il suo successo, lo denunciano ad una autorità borsistica che lo mette sotto inchiesta; nello stesso tempo riceve l’annuncio da un notaio francese che gli annuncia la morte dello zio Henry, del quale risulta essere l’unico erede: cosí la tenuta vinicola dove trascorreva le vacanza da bambino diventa di sua proprietà. Decide allora di partire per la Provenza per prendere possesso dell’eredità e per vendere, con l’aiuto di un caro amico immobiliarista, l’intera tenuta dopo averla un po’ ristrutturata e guadagnarci cosí un sacco di soldi.
Tornato nel castello dello zio, viene assalito da tutta una serie di ricordi riguardanti le felici vacanze trascorse in compagnia dello zio che aveva preso a chiamarlo «Maxmilione», alludendo alla cifra minima che uno deve arrivare a guadagnare per essere realizzato; Max cerca di rigettare indietro tutti questi ricordi e continua le pratiche per poter vendere la tenuta.
Improvvisamente però arriva a conoscere due donne: la prima è un’americanina presunta cugina, cioè una che si spaccia per figlia dello zio Henry e quindi una potenziale concorrente per l’eredità; l’altra è una splendida fanciulla, proprietaria di un bistrot nel centro del piccolo villaggio vicino alla tenuta.
Mentre continua a cercare di vendere il castello, compie un viaggio a Londra e coglie l’occasione per «distruggere» il tipo che era stato messo al suo posto e, ripreso il bastone del comando, compie l’ennesima magia borsistica che porta nelle casse della società tanti altri bigliettoni: il proprietario dell’azienda, ormai convinto di avere tra i suoi dipendenti il piú cinico, il piú spericolato, il piú vicino all’illegalità, ma il piú astuto operatore borsistico, arriva ad offrirgli di entrare nella società con una quota azionaria oppure un ricco compenso in denaro.
Il richiamo della campagna o meglio, quello della ragazza del villaggio, inducono Max ad abbandonare la caotica vita londinese ed a ritirarsi in questo paradiso nel quale fa entrare anche la ragazzina americana, ormai ufficialmente «cugina», mettendola ad occuparsi delle vendemmie e della realizzazione del vino, mentre lui si dedicherà al bistrot dell’amata, alla quale da Londra porta in dono uno splendido Van Gogh (autentico) ricevuto dal proprietario della società borsistica, che farà bella mostra di se tra i menú del ristorante apparendo come una volgare copia.
Il film inizia con una strana partita a scacchi giocata tra un bambino e un anziano; quest’ultimo chiama il ragazzo Maxmilione e, allontanatosi un attimo, si ritrova le pedine completamente modificate in modo che Max possa annunciare allo zio «scacco matto»; la risposta dello zio è «sei uno stronzetto», ma non dice che si è accorto del trucco.
Questo ed altri flash-back di Max riguardanti alcune vicende accadute durante le sue vacanze nella villa dello zio in Provenza, sono gli unici elementi che interrompono la linearità della vicenda che, dopo la sequenza della partita a scacchi, continua con Max adulto diventato un broker di successo nella city londinese: in queste sequenze vengono messe a fuoco le sue caratteristiche di uomo sprezzante degli altri, cinico, dedito a tutti i trucchi pur di raggiungere il proprio materialistico scopo.
Spostatosi in Provenza, al cospetto di cotanta bellezza, di fronte ad una natura ancora incontaminata, con la possibilità di condurre un tipo di vita completamente diversa da quella londinese, rimane affascinato e colpito, anche – il film aggiunge – per l’inopinato incontro con l’amore, quello vero, quello con la a maiuscola e non quello basato unicamente sull’appagamento dei sensi che aveva finora provato.
Ma anche il ricordo dello zio Henry si dimostra come una parte importante per le decisioni che Max prende al termine del film: continuamente, nella narrazione, cita lo zio come l’unica persona che egli abbia veramente amato e riporta tutta una serie di consigli e di incitamenti a comportarsi in un certo modo nella vita che dovrà affrontare; magari ci sarebbe da chiedersi come mai questi ricordi sono rimasti sopiti dentro il cuore di Max per la bellezza di dieci anni, ma non possiamo sottilizzare.
Diciamo allora che l’autore impiega 120 minuti circa per andare a finire una cosa che – sin dalle prime sequenze – si capisce benissimo come si sarebbe conclusa; a dimostrazione c’è un grossissimo «come» narrativo che ci pone su questa strada: il tipo di inquadrature che l’autore riserva ai luoghi di lavoro di Max nella city londinese, sono rappresentazioni ossessive di grattacieli tutti vetro e cemento, con una fotografia dai toni grigio-bluastri, mentre le immagini della Provenza sono cariche di case scrostate e consunte dal tempo e ricevono una luce accecante da un sole che si mostra benigno con colui che lo ama.
Facile, e quindi quasi scontato, tirare le somme: in questa nostra società piena di insidie e di non-valori, esiste comunque la possibilità di trovare quello che veramente necessita all’uomo, andando a ricercarlo laddove la natura mostra di poter dispensare tutti i suoi tesori.
E adesso diciamo due parole sulla ricomposta coppia Scott/Crowe, dopo i successi de Il Gladiatore; diciamo subito che tra i due quello che mi ha convinto di piú è stato l’attore, che si dimostra a suo agio nel nuovo genere affrontato, nel quale deve fare a meno della fisicità per giocare su altre chiavi espressive; Scott, invece, mostra di non essere completamente a suo agio con il genere, specie per quei ritmi non sempre azzeccati che conferisce alla narrazione: c’è comunque da apprezzare il tentativo del regista di diversificare il proprio lavoro e quell’impegnarsi in nuove forme – la commedia – per lui quasi del tutto sconosciute.
Tra gli attori di secondo piano, c’è da ammirare la splendida interpretazione che Albert Finney ha dato alla figura dello zio Henry, mentre la splendida Marion Cotillard è veramente espressione della solarità provenzale, tanto è luminoso il suo sorriso.
Per concludere possiamo dire che si tratta di un film ben superiore alla media – e questo il pubblico sembra averlo compreso, visti gli incassi – realizzato da un regista di grande mestiere e con un cast complessivamente molto buono con un paio di eccezioni in positivo come possiamo considerare Russel Crowe e Albert Finney. (Franco Sestini )