COMUNICARE OGGI LA BUONA NOVELLA
di ADELIO COLA
Edav N: 347 - 2007
Non voglio strumentalizzare il pensiero di nessuno al fine di dimostrare o confermare una tesi. Ricerco, d’altronde, tra gli atti che riferiscono il contenuto degli interventi al Convegno Ecclesiale di Verona del 16-20 ottobre 2006 (celebrato con il titolo «Testimoni di Gesú risorto speranza del mondo») tigli accenni ad una questione che mi sta particolarmente a cuore, quella sulla quale il p. Taddei tanto insisteva cercando di invogliare i suoi allievi a partecipare alla ricerca dei modi d’impostarne la soluzione.
Siamo consapevoli che le parole (leggi «prediche»!) rivolte al pubblico, oggi piú che in altri tempi, rischiano di entrare da un orecchio e di uscire dall’altro. Nella comunicazione di pensieri e d’affetti si è sempre verificato un fenomeno simile compromettendo in buona percentuale il contenuto della comunicazione stessa.
La difficoltà di trasmettere i contenuti di buone notizie evangeliche oggi è particolarmente aumentata per il fatto che le parole stesse, che gli ascoltatori ai quali ci si rivolge «sentono» ma che spesso non sono in grado di «ascoltare», sono estranee al vocabolario comune e quindi rimangono incomprese.
Il modo di imbastire le frasi nei nostri discorsi non corrisponde piú alla struttura mentale di molti uditori. Padre Taddei distingueva due maniere di esprimersi: quello, per esempio, usato da Gesú nella vita pubblica, (anche in questo caso Egli è «Il Maestro»), e che p. Taddei chiamava contornuale, e l’altro, quello dei letterati, dei filosofi, dei teologi, in una parola quello convenzionale, spesso «astratto», documentato dai dizionari e lontano dall’esperienza quotidiana di vita della maggior parte dell’umanità.
Il linguaggio contornuale è cosiddetto in riferimento alle caratteristiche delle parole adoperate nell’esprimersi, che si riferiscono a loro volta a «cose concrete» dell’esperienza esistenziale, in modo da fare quasi vedere e toccare con mano le idee che esse intendono comunicare.
Le parabole di Gesú sono modelli magistrali di discorso contornuale. Si tratta, oggi, di imitarle scegliendo dalle circostanze pratiche odierne i punti di partenze e di supporto al discorso. Gesú parlava dei lavori di pastori e contadini perché si rivolgeva a pastori e contadini comunicando loro verità eterne con stile contornuale analogico. Oggi chi obbedisce al suo comando «andate e predicate» tenga presente che parla a persone abituate ed educate (!) ad ascoltare i discorsi contornuali dei mass media, televisione cinema giornali e riviste. La mentalità comune è tale per cui, se non «si entra nelle teste con la loro per uscirne con la nostra», (certamente non per strategia machiavellica!), ben difficilmente si riesce a comunicare.
Negli atti del Convegno Ecclesiale di Verona, che radunava rappresentanti di tutte le diocesi italiane, ho trovato interessanti spunti che si riferiscono al problema: come fare oggi per comunicare la buona novella evangelica?
Nell’omelia durante la concelebrazione di chiusura il Papa si è riferito all’esperienza degli Apostoli dopo la discesa dello Spirito Santo il giorno di Pentecoste: «Erano pronti ad affrontare ogni difficoltà e persino la morte, ed imprimeva [lo Spirito] alle loro parole un’irresistibile energia di persuasione... Occorre tornare ad annunciare con vigore e con gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del Cristianesimo... Il testimone di Gesú Risorto... può rendergli valida testimonianza, può parlare di Lui, farlo conoscere, condurre a Lui, trasmettere la sua presenza... Eleviamo insieme la nostra preghiera... affinché la comunità cattolica italiana... porti con rinnovato slancio a questa amata Nazione, e in ogni angolo della terra, la gioiosa testimonianza di Gesú risorto, speranza dell’Italia e del mondo».
La testimonianza della quale parla il Papa non è soltanto quella dell’annuncio a parole ma con la condotta di vita quotidiana. Non si può dimenticare però che gli annunciatori del Vangelo, proprio perché tali, si servono normalmente delle parole, come del resto faceva il maestro Gesú nella vita pubblica.
Fino dall’anno prima del Convegno, il cardinale Dionigi Tettamanzi, presidente del comitato preparatorio al medesimo, (Roma, 29 aprile 2005), aveva sottolineato che «una particolare attenzione va rivolta alle trasformazioni culturali, soprattutto per il loro evidente risvolto antropologico. La testimonianza cristiana si fa carico dell’indispensabile mediazione storica della coscienza credente, che si articola e si precisa nelle concrete espressioni culturali... L’attenzione dialogica e critica ai mutamenti culturali e antropologici appare oggi un’esigenza irrinunciabile della fede cristiana, della vitalità delle comunità ecclesiali, dello stesso amore cristiano».
È evidente che un elemento fondamentale delle «concrete espressioni culturali» e della mentalità conseguente è quello del linguaggio, tramite il quale le persone comunicano tra di loro. Linguaggio e mentalità sono alla base della cultura edonistica consumistica che oggi impera anche in Italia. La difficoltà di comunicare la verità evangelica incontra come primo duro ostacolo da superare la comprensione e in seguito l’accettazione della medesima. Lo Spirito Santo può fare miracoli ma ordinariamente si serve delle mediazioni umane, come appunto a Pentecoste, dove però il carisma delle lingue supplí alla debolezza umana degli apostoli.
Oggi tocca a noi aggiornare il nostro linguaggio in campo religioso come necessario mezzo di comunicazione con persone avvezze a discorsi di natura massmediale e cioè contornuale.
Colgo dal numero di novembre 2006 di Civiltà Cattolica (p. 285 sgg.) la seguente citazione desunta dall’intervento di Costantino Esposito professore di storia della filosofia all’università di Bari, al quale è stata affidato l’ambito della Tradizione da lui coordinato: «Il lavoro dei gruppi invita a valorizzare e sostenere l’impegno educativo dei laici cristiani nella scuola e nell’università; tale sostegno passa anche attraverso una cura piú organica e sistematica della formazione degli educatori. Diverse proposte auspicano una continua rielaborazione dei linguaggi della comunicazione, nei diversi livelli della formazione cristiana. Ma è soprattutto la parrocchia ad essere individuata come scuola di educazione e di comunione permanente, e quindi anche come ambito di confronto, assimilazione e trasformazione dei linguaggi».
La citazione si rivolge anzitutto agli educatori. Se educare, nel caso nostro alla Fede, significa estrarre dagli ascoltatori il fondamento e l’eventuale patrimonio di verità esistenti in loro per poi portarli alla perfezione, oggi non possiamo presupporre molto sul campo, almeno in generale. Se poi si desidera proporre a tutti, com’è giusto e corrispondente al loro diritto di conoscerla, tutta intera la verità cristiana, allora la scelta del linguaggio da adoperare per raggiungere lo scopo, è ancora piú fondamentale, per non rischiare di parlare al vento e alle nubi.
Il riferimento alla parrocchia come scuola primaria di educazione e quindi di assimilazione e di «trasformazione dei linguaggi», riguarda tutti i componenti le varie chiese locali.
Già Papa Wojtyla aveva insistito sull’argomento nella sua enciclica «Redenmptoris missio» ai nn. 37 sgg., spesso richiamati nelle sue lezioni da padre Taddei.
Il cardinal Camillo Ruini, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha concluso il Convegno di Verona con un intervento ampio e articolato. Egli ha proiettato lo sguardo al di là del 20 ottobre 2006, quando i convenuti tornando alle rispettive sedi troveranno circostanze e situazioni di vita cristiana come qualche giorno prima le avevano lasciate.
Il cardinale, citando Paola Bignardi, coordinatrice nazionale di «ReInOpera» che nel suo intervento aveva sviluppato «La prospettiva spirituale», fa sua la convinzione come «a questa richiesta [“la misura alta della vita cristiana ordinaria”, cfr Novo millennio ineunte, n. 31] non ci siano per noi alternative praticabili. Infatti il cammino verso la santità non è altro, in ultima analisi, che il lasciar crescere in noi quell’incontro con la persona di Cristo “che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”, secondo le parole della “Deus caritas est”».
Santità per tutti è l’attesa della Volontà di Dio nei riguardi dell’umanità. L’affermazione rivelata, costantemente ricordata dal magistero della chiesa, invita tutti i fedeli a lasciarsi riconciliare e santificare da Dio, al quale offrono una mano anche gli apostoli di oggi, perché l’Onnipotente ha deciso di salvare l’umanità servendosi anche degli uomini.
E come potranno essi comunicare la verità, con quali strumenti linguistici, oltre a tutti gli altri mezzi oggi a disposizione dalla pastorale contemporanea? Se la lingua dei «predicatori» non vuole rischiare di non venire «capíta», essa dev’essere, come insegna Papa Wojtyla, «aggiornata».
Il presidente della CEI esorta infine le persone dedite all’apostolato «non soltanto ad “attendere” la gente ma ad “andare” ad essa e soprattutto ad “entrare” nella vita concreta e quotidiana, comprese le case in cui abitano, i luoghi in cui lavorano, i linguaggi che adoperano, l’atmosfera culturale che respirano». Egli definisce tale esigenza «il nocciolo della conversione pastorale di cui sentiamo cosí l’esigenza... Proprio qui si inserisce la proposta o, meglio, il bisogno della “pastorale integrata”».
Per raggiungere tali obiettivi alti e indilazionabili, afferma Michele Simone s.j. autore dell’articolo di Civiltà Cattolica, saranno necessari «un cambiamento di mentalità e una grande e creativa volontà di realizzazione per passare dall’attuale pastorale “per settori” alla pastorale integrata, che la stragrande maggioranza invoca».
Non ho voluto sottolineare le varie istanze emerse dal Convegno Ecclesiale di Verona ma soltanto sottolineare il problema di fondo che le comprende tutte: per comunicare ai fedeli i contenuti del Convegno Ecclesiale, che verranno applicati alle singole diocesi dai vescovi italiani come programma pastorale del prossimo decennio, urge aggiornarsi nell’uso del linguaggio del quale si serviranno le persone consacrate all’apostolato, per essere riconosciuti come «Testimoni di Gesú risorto, speranza del mondo».