IL RUOLO DEI MEDIA NEL DIALOGO FRA LE RELIGIONI
di FRANCESCO CACUCCI
Edav N: 348 - 2007
È opportuno porre, come primo apporto per una riflessione significativa sul nostro tema, un interrogativo: a quale fondamento conviene riferire il dialogo fra le Religioni?
Già la Dichiarazione conciliare Nostra aetate aveva indicato come via nuova per un significativo dialogo interreligioso il riconoscimento della comune cifra umana e del comune destino: «Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno piú strettamente e cresce l’interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l’unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino» (NAE 1).
Contemporaneamente il Concilio si era espresso anche nella dichiarazione Dignitatis Humanae indicando ancora una volta la persona umana nel suo actus fidei, come il soggetto interrogante nella comune ricerca della verità. Ed è pertanto che «nella prassi del dialogo, il mio interlocutore è questo uomo o questa donna che si muove con la sua cultura, con la sua eredità religiosa, con il suo diritto a cercare la verità liberamente» (1).
L’identità umana, dunque, è il carattere irripetibile che genera cultura in una diversificazione plurima e insieme armonica. Il processo del dialogo retto e solidale, sempre originato e sostenuto da una identità chiara e consapevole, conduce alla conoscenza rispettosa della comune cifra umana.
A quarant’anni dalla Dichiarazione Nostra Aetatate, Benedetto XVI riprende questo principio basilare e apre a una via piú ampia che Egli evidenzia come prioritaria: prima del dialogo tra le Religioni si promuova il dialogo tra le culture. Tale scelta ricordando che l’uomo è essenzialmente un essere culturale (cfr GS 53) apre alla conoscenza delle Religioni, situando il dialogo nel quadro di riferimento culturale in cui esse si storicizzano.
A Colonia, il 20 agosto, papa Benedetto XVI ha il suo primo grande incontro con l’Islam, parlando con i rappresentanti della comunità musulmana dice tra l’altro: «Abbiamo un grande spazio di azione in cui sentirci uniti al servizio dei fondamentali valori morali; la dignità della persona e la difesa dei diritti, che da tale dignità scaturiscono, devono costituire lo scopo di ogni progetto sociale, di ogni sforzo posto in essere per attuarlo: è questo un messaggio scandito in modo inconfondibile dalla voce sommessa, ma chiara della coscienza. Solo sul riconoscimento della centralità della persona si può trovare una comune base di intesa superando eventuali contrapposizioni culturali e neutralizzando la forza dirompente delle ideologie».
Il dialogo tra le Religioni, dunque, va basato sulla centralità della persona e deve essere in primis un dialogo di culture e di civiltà.
E se «dialogo» significa leghein, parlare, evidenziando l’atto del comunicare, comprendiamo come ogni fenomenologia culturale venga a interpretare il fatto religioso, facilitando od ostacolando l’intelligenza reciproca nell’atto del «comunicare».
Illuminati alquanto i parametri di riferimento sui quali si intesse il dialogo fra le Religioni, è utile fermarsi a riflettere sulla funzione dei media e la loro responsabilità di comunicatori dei fenomeni sociali.
Se la persona è soggetto attivo di un dialogo giusto che pone in reciproca apertura e accoglienza l’identità culturale, nella civiltà mediatica la supponenza dell’immagine ha definito una nuova identità culturale di persona: non piú l’homo sapiens, ma l’homo videns-televisivus è il nuovo soggetto del dialogo.
Oggi le reti mediali di maggior efficienza non possono prescindere dalla messa in visivo dei fatti/notizia: senza messa in visione, rappresentazione iconica del fatto, non c’è divulgazione ottimale della notizia, si diminuisce la sua potenzialità di permanenza sociale. Tale cultura mediatica ha un effetto omologante e livellante sulla coscienza dell’identità, sia personale che culturale. «È ormai vero» scriveva Renè Berger circa venticinque anni fa «vero d’una verità che si potrebbe dire massimizzata, l’avvenimento trasmesso dalla televisione nel momento stesso in cui si verifica. La televisione compie l’impresa di far coincidere il vero, l’immaginario e il reale alla punta estrema del presente. Abolita la distanza geografica, si dissolve la distanza strumentale e, con essa, la distanza critica. Il telegiornale non è diverso dallo sportello della banca, dove si cambiano biglietti e assegni. La tele-realtà è una realtà fiduciaria totale» (2).
I media sono dunque, come soleva ripetere P. Taddei «attore sostanziale nella comprensione delle prassi sociali», fino ad influenzare in modo limitante la persona umana che da soggetto pensante diventa soggetto vedente di una rappresentazione della realtà: realtà audiovisive in compartecipazione percettiva e simbolica con la realtà concreta.
E torniamo al nostro assunto: quale ruolo per i media nel dialogo tra le Religioni.
Se il dialogo fra le Religioni viene abilitato da un processo di apertura e di confronto tra diverse identità culturali e fondato suIla dignità della persona umana e sulla solidarietà della comune ricerca del vero, i mezzi che mediano in modo corretto tale processo contribuiscono in modo eminente all’edificazione della civiltà di pacifica convivenza.
Al contrario una rappresentazione della realtà mediata in modo a-critico e approssimativo, o peggio con manipolazioni di gerarchie e di poteri, conducendo ad una erronea conoscenza, è sempre causa di conflitti ideologici, di pregiudizi, di prassi violente ed estreme. A tanto stiamo assistendo.
Ma non è tutto. Il risultato di una mediazione approssimativa e disinformata non giova all’intelligenza del dialogo interreligioso, ma conduce spesso a un buonismo senza senso, a uno smarrimento di principi, a una massificazione di costumi, ad una perdita di tradizioni, ad una promiscuità che svilisce il patrimonio delle persone, delle società, dei popoli o al contrario conduce ad una negazione di identità altre.
Si pongono cosí i presupposti non di un convivium in cui condividere la dovizia di un patrimonio messo in comune, ma di una tavola dell’omologazione, attorno alla quale si avverte la limitatezza di un sincretismo che svilisce ogni identità.
Contemporaneamente però i media e i loro linguaggi fanno accedere alla visione conoscitiva di orizzonti altrimenti impensabili, avvicinano mondi e situazioni, mostrando e interpretando sensibilità umane, culture, popoli. Il loro ruolo pertanto risulta fondamentale cosí come è sottolineato dalla dichiarazione della Conferenza internazionale Dialogo culturale e cooperazione interreligiosa:
«I partecipanti hanno sottolineato che i media possono fornire un contributo positivo a favore di una cultura della comprensione in una società pluralista. Nel rispetto del diritto fondamentale alla libertà di espressione e all’informazione e dell’indispensabile indipendenza dei media in una società democratica, i media potrebbero essere maggiormente stimolati a porre in rilievo le diversità della società, in particolare nel contesto della programmazione delle produzioni audiovisive, e a presentare con la dovuta sensibilità degli argomenti relativi a questioni etniche, culturali e religiose, evitando gli stereotipi umilianti e le generalizzazioni e delineando le caratteristiche salienti della diversità di ogni comunità.
«Al riguardo, l’autoregolazione dei media è un elemento importante, che contribuisce inoltre a conciliare la libertà di espressione e di informazione con il rispetto della dignità umana e la tutela della reputazione o dei diritti altrui.
«I partecipanti hanno posto in risalto anche la necessità di incoraggiare i contributi dei media al dialogo internazionale e interreligioso e l’interesse di istituire un premio per i media che hanno fornito un contributo di eccezionale valore alla prevenzione o alla risoluzione dei conflitti, alla comprensione e al dialogo» (3).
Accanto alla corretta politica dei media in particolare in materia di libertà di espressione e di informazione religiosa nei momenti di crisi e di diversità corre nell’era della globalizzazione la responsabilità di ciascuno per favorire la costruzione di una società aperta ed equa. Tale responsabilità deve stimolare alla comprensione delle culture medianiche e dei loro linguaggi.
Abilitarsi alla lettura critica del linguaggio contornuale attraverso cui i media, mescolando cose e fatti, razionalità ed emozioni, rappresentano la realtà è quanto mai necessario perché la persona possa accedere a una adeguata informazione delle dinamiche sociali e quindi anche del fenomeno religioso.
La Redemptoris Missio (1990) afferma che la comunicazione moderna ha creato una «nuova cultura»: «I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. (...) È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici» (ivi, 37).
P. Taddei ha magistralmente commentato questo documento: «Questo testo è decisamente rivoluzionario, evidenzia infatti che i mass-media non sono solo enorme cassa di risonanza, bensí soprattutto formatori di mentalità, il Papa imposta il suo discorso sui dati di scienza della comunicazione di massa, superando, senza escluderla, la concezione strumentale» (4). È un concetto di base che Egli riprende ad ogni approfondimento. Lo aveva già fatto in uno studio precedente, richiamando il celebre Decreto Conciliare Inter Mirifica: «Quello che a tutt’oggi solo raramente è compreso nella sua esatta dimensione sono le parole che il Documento enfatizza “i media per propria natura sono capaci di raggiungere (...) l’intera società umana” e anche “la vita intellettiva (animum) dell’uomo”.
«In parole molto semplici, il fatto è che i mass media hanno introdotto un nuovo tipico linguaggio e di conseguenza una nuova mentalità altrettanto tipica: linguaggio e mentalità contornuali, in contrapposto al linguaggio e anche alla mentalità concettuali.
«Il linguaggio è lo strumento della comunicazione; e la mentalità, complesso delle idee allo stato d’opinione, idee che entrano e operano in noi inavvertitamente è per circa l’80% il principio pratico dell’intendere e dell’agire umano» (5).
Se il primo atto psichico che compiamo dinanzi ad un testo audiovisivo è quello di identificarsi con il nostro sguardo, ubiquo e incoerente, si comprende come l’attitudine critica alla lettura dei media, con l’abilitazione a compierla con sufficiente immediatezza, giovi all’intelligenza e all’apporto corretto di ogni sviluppo socio-attivo.
Tanto perché la persona, cifra referenziale di ogni sociazione e di ogni cultura, possa procedere, anche nel fenomeno religioso, verso la coscienza che indica nel noi la verità del sé: la reciprocità umana inverata nell’Alterità che la trascende.
(*) Arcivescovo di Bari-Bitonto; Vice presidente della Conferenza episcopale pugliese; membro della Commissione episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali; presidente Comitato per i congressi eucaristici nazionali.
(1) W. Kasper, Intervista, Bruges 2006
(2) R. Berger, La tele-fissione, EP, 1977, p.71
(3) Documento finale della Conferenza internazionale Dialogo culturale e cooperazione interreligiosa, Forum del Volga, Nizhniy Novgorod, 7-9 settembre 2006; cfr anche: Piano d’azione adottato alla 7ª Conferenza ministeriale europea sulla politica delle comunicazioni di massa, Integrazione e diversità: le nuove frontiere della politica europea dei media e delle comunicazioni ,Kiev, marzo 2005.
(4) N. Taddei sj, Papa Wojtyla e la “nuova” cultura massmediale, Edav, Roma, 2005, p. 19
(5) Idem, Pastorale e Mass media, CISCS, Roma, p 5 e 7;