L'ULTIMO RE DI SCOZIA
Regia: Kevin Macdonald
Lettura del film di: Adelio Cola
Edav N: 348 - 2007
Titolo del film: L'ULTIMO RE DI SCOZIA
Titolo originale: THE LAST KING OF SCOTLAND
Cast: regia: Kevin Macdonald sogg.: Giles Foden, tratto dal suo romanzo omonimo scenegg.: Jeremy Brock, Peter Morgan fotogr.: Anthony Dod Mantle mus.: Alex Heffes mont.: Justine Wright scenogr.: Michael Carlin cost.: Michael OConnor effetti: Sebastian Bulst, John Lockwood, Steve Street, Machine interpr.: Forest Whitaker (Idi Amin), James McAvoy (Nicholas Garrigan), Kerry Washington (Kay Amin), Gillian Anderson (Sarah Merrit), Simon McBurney (Nigel Stone), David Oyelowo (Dottor Junju), Abby Mikiibi Nkaaga [Abby Mukiibi] (Masanga), Adam Kotz (Dottor Merrit), Barbara Rafferty (Sig.ra Garrigan), David Ashton (Dottor Garrigan Sr.) durata: 121 colore Produz.: Cowboy Films, Slate Films, Dna Films, Fox Searchlight Pictures, Filmfour, Scottish Screen, Tatfilm, Uk Film Council origine: GRAN BRETAGNA, 2006 distrib.: 20th Century Fox Italia (16-02-2007)
Sceneggiatura: Jeremy Brock, Peter Morgan
Nazione: GRAN BRETAGNA
Anno: 2006
Premi: OSCAR 2007 MIGLIOR ATTORE PROTAGONISTA (FOREST WHITAKER); GOLDEN GLOBE 2007 MIGLIOR ATTORE DI FILM DRAMMATICO (FOREST WHITAKER).
Il film, ambientato in Uganda negli anni settanta del secolo scorso, è strutturato come una classica tragedia in cinque atti senza interruzioni temporali. Si riferisce, annuncia la didascalia d’apertura, a fatti realmente avvenuti e a persone realmente esistite. La didascalia di chiusura afferma che il film è stato tratto da un romanzo.
Le due dichiarazioni sembrano in contraddizione, in realtà sono complemantari.
Il film fa esplicito riferimento al governo dispotico di quegli anni da parte di Amin in Uganda, ma non è un documentario. Non dobbiamo quindi aspettarci la storia del colpo di stato del sanguinario Presidente ma soltanto la rievocazione di fatti verificatisi durante la sua funesta dittatura, ricostruiti con particolari di fantasia. Quelli che vedete sullo schermo, sembra avvertirci il regista, sono alcuni tra i fatti e misfatti commessi in quel tempo ma non precisamente cosí e cioè con quelle precise circostanze. La storia precedente di Amin Presidente dell’Uganda viene rammentata da voci f.c. e da lui stesso in colloqui confidenziali con il suo «dottore personale, l’unico del quale si fida».
Atto primo: presentazione del protagonista del film. È un neo dottore in medicina. Dopo il brindisi in famiglia per la laurea conseguita, egli decide di prendersi un periodo di diversivo affrontando l’imprevedibile novità offerta da un mondo lontano, che gli potrebbe regalare forti emozioni. Si affida al caso nella scelta del luogo: andrà in Uganda, nazione che ha particolarmente bisogno di chi voglia dedicarsi al bene dell’umanità.
Atto secondo: Uganda, dove il nostro dottorino arriva nel giorno del colpo di stato messo in atto dal generale Amin, autoproclamatosi Presidente della Repubblica. «Io sono uno di voi, vostro amico», declama alla folla oceanica ai suoi piedi. «Insieme costruiremo una nuova Uganda moderna raggingendo il benessere per tutti!» Ecco Amin amico del popolo. Usi locali e tradizioni popolari informano il nuovo arrivato sulla cultura del Paese. Osserva con interesse l’entusiasmo della folla che osanna Amin. Prima attività professionale nella missione (non identificata dal film), dalla quale si allontana un giorno per assistere a Kampala ad una festa tradizionale.
Atto terzo: per pura coincidenza di circostanze casuali soccorre il neo presidente, che si è slogato il polso d’una mano durante la festa tribale, meritandosi immediatamente stima e fiducia dal suo primo cliente, che lo nomina sul campo suo medico personale e primo consigliere privato. L’amicizia e la solidarietà tra il presidente e il suo giovane medico bianco ingelosiscono ministri e subalterni del palazzo. Il secondo sfrutta il suo ascendente sul primo suggerendo al desposta provvedimenti positivi in favore del popolo ugandese.
Atto quarto: Amin presenta al dottore le sue tre mogli con relativa schiera di figli. L’ultima è trascurata e disprezzata dal marito e il dottore, preso da umana compassione per la vittima, accetta la corte della povera donna e l’invito a condividere la sua intimità femminile: è il tradimento del marito, che vendica con la morte la responsabile del delitto d’amore d’una nera con un bianco. Amin elimina centinaia di persone sospette di tradimento e di congiura (dalle qualsi esce sempre incolume) contro la sua persona, pur dichiarando: «Nessuno mi può uccidere, perché io ho sognato il giorno della mia morte futura». Il presidente getta la maschera e si dimostra sempre piú sanguinario in patria e prepotente in politica estera. È Amin nemico del suo popolo.
Atto quinto: la doppia vendetta di Amin. Contro la terza moglie che l’ha tradito osando andare con un bianco, e verso quest’ultimo che ha offeso la sua fiducia e amicizia. Il dottore rimane talmente esterrefatto dalla reazione del tiranno, che fa uccidere migliaia di ugandesi innocenti, arrestati con i rari sostenitori del governo precedente, da cedere infine alla proposta di alcuni funzionari delle ambasciate estere, che già da tempo gli avevano consigliato di non fidarsi di Amin e della sua interessata amicizia, di somministrargli il veleno per sbarazzarsi del tiranno sanguinario, accusato tra l’altro, forse esagendo le sue responsabilità, anche di cannibalismo.
La guardia personale scopre il tentativo del dottore. Amin si vendica dell’ex amico facendolo sospendere per la pelle: due ganci infitti sul petto lo sollevano da terra lasciandolo soffrire crudelmente fino alla morte prevista entro breve tempo. Il medico che l’ha sostituito come dottore personale di Amin lo depone da quella croce e lo convince, pur ferito a morte, a tornare in Scozia approfittando d’un momento di distrazione degli aguzzini. È in partenza un aereo che riporterà in patria gli ostaggi non ebrei liberati da Amin tra tutti quelli sequestrati. «Tu sei bianco, gli suggerisce il liberatore, racconta al mondo quello che succede in Uganda. A te crederanno!» Colpito a freddo personalmente dalla pistola del presidente, l’ultimo traditore raccoglierà il frutto del suo delitto. Il dottore moribondo riesce ad imbarcarsi. All’arrivo dell’esercito nemico di Amin e del suo arresto la folla oceanica del primo atto grida esigendo la condanna dell’assassino di tante famiglie. Durante il volo tra le nubi il protagonista emette l’ultimo respiro.
Sono passati circa dieci anni dalla tirannia dispotica di Amin: «Le vittime della sanguinaria dittatura, informa una didascalia, assommano a trecentomila. Egli è morto in esilio nel 2003: nessuno può sapere se si è realizzato il suo sogno».
Il ritmo del film è serrato e incalzante, la recitazione dei comprimari convincente, quella dell’interprete di Amin è meritevole di applausi per la convinzione ed il realismo drammatico con i quali egli si cala nel difficile insolito ruolo di personaggio tragico shakespeariano.
Il despota si circonda di lusso, arriva al fondo della corruzione umana, alla crudeltà e sfocia nella ferocia (mai spettacolarizzata dal film). Simula una studiata ingenuità nella scelta del dottore-amico, nelle decisioni estemporanee prese in accessi di follia omicida. Adotta pericolosamente metodi machiavellici in campo politico con tattiche diplomatiche di governo che lo additano come disponibile preda di tradimento da parte di subdoli funzionari del suo governo alleati ad altri di potenze straniere a lui contrarie. La ferocia di decisioni sanguinarie prese senza remore morali gli scatena contro la vendetta di nemici congiurati.
Il Presidente si presenta a tutti ostentando un ingannevole bullismo; vuole apparire disinvolto giocherellone, presuntuoso atleta (partecipa alla gara di nuoto con i sudditi, s’improvvisa cow boy a cavallo nelle feste popolari, entra nella pista da ballo come baldanzoso grasso ballerino tra giovani scattanti, si ebibisce ridicolo declamatore di messaggi terroristici riscuotendo da astuti consumati politici compatimento e deprecazione in convegni a livello internazionale. In una parola galleggia sempre sopra tutti come l’olio, almeno nel suo intento, recitando costantemente il ruolo teatrale di prima donna.
La definizione maggiormente appropriata nei suoi riguardi arriva con le ultime parole uscite dalla bocca insanguinata dell’ex amico durante la vendetta che lo sta uccidendo: «Sei un bambino!», (cattivo e crudele).
Eppure l’interprete di tale nefasto impasto umano è credibile sul set e si lascia ammirare con stupore per essere ben riuscito nell’ardua impresa affidatagli.
Il personaggio del film che particolarmente ci interessa è il protagonista, dottor NICHOLAS GARRIGAN.
Anche Amin subisce la sua evoluzione psicologica passando da un atto all’altro della tragedia ma il regista lo fa agire sempre in funzione del giovane dottore suo amico, «l’unico, ripete, del quale si fida». Sotto tale profilo, protagonista è il dottore.
Lo vediamo nella prima inquadratura del film e, dopo averlo ammirato sempre presente sullo schermo, anche nell’ultima. Non è il motivo per dichiararlo protagonista. Vera ragione che consente di distinguerlo da tutti gli altri personaggi non è nepppure il fatto che il titolo insolito del film alluda a lui e non ad altri. È lui che subisce la grande evoluzione psicologica, che di atto in atto lo fa passare dall’indifferenza e sorpresa iniziale all’imprevedibile amicizia con il neo Presidente dell’Uganda, alla sconcertante accettazione del ruolo di giustiziere (non di vendicatore) del potentissimo paziente, al quale aveva comunicato in circostanze confidenziali il suo professionale giuramento, come medico, di difendere la vita degli ammalati. Non si dimostra mai interessato al successo personale: ne approfitta sempre in vista del bene dei sudditi del despota determinato a soffocare nel sangue ogni tentativo di opposizione. Persevera nel suo volontario esilio in Uganda, rinunciando alla possibilità di tornare a casa, come alcuni gli consigliano di fare prima che sia troppo tardi, e decide di rimanere finché nutre un filo di speranza di poter moderare la sete di potere del dispotico tiranno. Quando costata l’inutilità della sua presenza, matura in lui la volontà di giustizia.
Egli non ha mai dimostrato d’essere guidato da regole morali, se non da quelle d’una generica eticità laica. Aveva approfittato, ad esempio, della presenza nella missione della moglie del dottore collega, provvisoriamente assente, per tentare di sedurla (lei non aveva accettato per motivi di coscienza che glielo vietava); ha acconsentito all’invito della terza moglie del presidente di fare l’amore con lei abbandonata dal marito; non si è interrogato prima di offrire il veleno al presidente sulla liceità della volontà oggettivamente omicida di eliminare il tiranno.
Attenuanti a tali debolezze morali possono essere attribuite all’inesperienza della giovane età, che del resto egli mette generosamente a repentaglio offrendo volontariamente la scarsa esperienza professionale a vantaggio dei poveri in un lontano paese africano in un periodo storico molto pericoloso. Nei momenti tremendi della tortura non dimostra sentimenti di vendetta. È animato soltanto dal profondo rammarico di non poter far piú nulla per il popolo dell’Uganda. Sull’aereo che lo dovrebbe riportare a casa muore dolcemente piegando il capo insanguinato sul petto, (novello crocefisso!), vittima prevedibile della ferocia d’un violento usurpatore del potere politico. Si comprende in quell’occasione estrema il significato della connotazione enfatica attribuitagli dal titolo del film: L’ultimo re di Scozia.
I frequentissimi primi e primissimi piani sui volti dei due personaggi principali svelano efficacemente le rispettive psicologie, prevedibili soltanto in uno dei due man mano che il film procede nel suo svolgimento.
Si nota qualche debolezza di sceneggiatura e di concessione all’intento spettacolare, sempre però finalizzate allo scopo di illustrare la generosità del protagonista e la crescente ferocia dell’antagonista.
La fotografia non indulge alla volontà di raccolta di documentazione folkloristica, pur riprendendo manifestazioni culturali d’un paese poco conosciuto.
Il commento musicale, eseguito da band locali con strumenti tradizionali secondo modalità timbriche e ritmiche africane caratteristiche del luogo, è apprezzabile e mai invadente.
Eccellente è l’interprete del protagonista, pur nella sua giovane età; grande quello di Amin, che sotto il profilo della credibilità supera il primo.
I giovani che intendono assistere alla proiezione del film non devono uscire dalla sala illudendosi di aver conosciuto chi fosse Amin, il presidente dell’Uganda dal 1971 al 79, e meno ancora la storia di quella nazione in quel tempo per loro lontano. Hanno assistito ad un film che ha presentato in modo molto efficace e bene riuscito l’opinione che il regista s’è fatto di persone realmente esistite e di fatti realmente accaduti, fondandosi su documenti storici e sulla trama d’un romanzo.
Per la formazione della personalità degli spettatori vengono evidenziati due elementi positivi: la generosa dedizione del protagonista al bene pubblico e la deprecazione indiretta della condotta negativa dell’antagonista. (Adelio Cola)