LA CHIESA E I MASSMEDIA: DALL'INTER MIRIFICA AL DIRETTORIO
di ANDREA FAGIOLI
Edav N: 349 - 2007
Ai lettori di questa rivista, quando si parla di «Chiesa e mass media», il pensiero va subito a padre Nazareno Taddei. Ma non è stato il solo religioso ad occuparsi di queste tematiche. Ce ne sono e ce ne sono stati altri, anche all’interno del suo stesso Ordine, la Compagnia di Gesú: i gesuiti. Taddei, certo, è stato quello che piú e prima di altri ha capito il potere massificante dei media indicando l’unico modo possibile per non rimanerne vittime: la lettura strutturale.
La Chiesa, spesso, è intervenuta sul tema anche collegialmente, come Magistero: dei vescovi e del Papa. Ed è proprio di questi interventi (ricchi sul piano teorico, ma scarsamente tradotti nella pratica) che ripercorriamo a grandi linee una cronistoria in occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che quest’anno si celebra in tutto il mondo il 20 maggio.
Il «Catechismo della Chiesa cattolica» dedica un paragrafo a «L’uso dei mezzi di comunicazione sociale»: è il quinto all’interno dell’ottavo comandamento («Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo»). «Nella società moderna – si legge nel testo – i mezzi di comunicazione sociale hanno un ruolo di singolare importanza nell’informazione, nella promozione culturale e nella formazione. Tale ruolo cresce in rapporto ai progressi tecnici, alla ricchezza e alla varietà delle notizie trasmesse, all’influenza esercitata sull’opinione pubblica. L’informazione attraverso i mass media è al servizio del bene comune. La società ha diritto ad un’informazione fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà».
Dopo aver citato l’«Inter mirifica» del Concilio Vaticano II, il Catechismo afferma che i mezzi di comunicazione sociale «possono generare una certa passività nei recettori, rendendoli consumatori poco vigili di messaggi o di spettacoli. Di fronte ai mass media i fruitori si imporranno moderazione e disciplina. Si sentiranno in dovere di formarsi una coscienza illuminata e retta, al fine di resistere piú facilmente alle influenze meno oneste».
La parte finale del paragrafo precisa meglio perché il discorso sui mezzi di comunicazione sociale sia inserito nell’ottavo comandamento: «Nulla può giustificare il ricorso a false informazioni per manipolare, mediante i mass media, l’opinione pubblica. Non si attenterà, con simili interventi, alla libertà degli individui e dei gruppi». E ancora: «La morale denuncia la piaga degli stati totalitari che sistematicamente falsano la verità, esercitano con i mass media un’egemonia politica sull’opinione pubblica, «manipolano» gli accusati e i testimoni di processi pubblici e credono di consolidare il loro dispotismo soffocando o reprimendo tutto ciò che essi considerano come «delitti d’opinione».
A parte questo paragrafo del Catechismo, la Chiesa ha sempre avuto un’attenzione particolare per i mass media. Pio XII, ad esempio, nel 1947 riferiva della radio come di una meraviglia dell’intelligenza a servizio dell’uomo; nel ‘55 parlava dello straordinario potere del cinema nella società contemporanea: nello stesso anno definiva l’appena nata televisione uno strumento di informazione e di formazione.
In precedenza, riferimenti ai mass media erano stati fatti anche in documenti ufficiali come l’enciclica «Vigilanti Cura» del 1936 e, successivamente, nella «Miranda prorsus» (1957) e nella «Boni pastoris» (1959). Ma è con il Concilio Vaticano II che si ha il primo documento disciplinare sui mezzi di comunicazione sociale, la rammentata «Inter mirifica» («Tra le meravigliose invenzioni»).
L’elaborazione dell’«Inter mirifica» iniziò nel 1960, ovvero appena sei anni dopo l’inizio delle trasmissioni regolari da parte della tv (il primo giorno di programmazione «regolare e ufficiale» della televisione in Italia era stato il 3 gennaio 1954). Nel 1960 esistevano a malapena il Nazionale e il Secondo. Le radio locali sarebbero nate dieci anni dopo. Le tv private erano di là da venire; per non parlare dei grandi network, scesi in campo soltanto all’inizio degli anni ‘80. L’«Inter mirifica» fu promulgata il 4 dicembre 1963.
Per comprendere la novità di allora e l’attualità ancora oggi merita leggerne qualche brano. «Tra le meravigliose invenzioni tecniche che, soprattutto in questo nostro tempo, l’ingegno umano è riuscito, con l’aiuto di Dio, a trarre dalle forze e della natura creata, la Chiesa – si legge nell’introduzione – accoglie e segue con particolare cura materna quelle che piú direttamente riguardano lo spirito dell’uomo e che offrono nuove e rapidissime maniere di comunicare notizie, idee e insegnamenti. Tra queste occupano un posto particolare quegli strumenti che – quali la stampa, il cinema, la radio, la televisione ed altri di questo genere – sono destinati a raggiungere e ad influenzare non solo i singoli individui ma, per la loro stessa natura, moltitudini di persone, e l’intera società; esse possono chiamarsi con ragione: strumenti della comunicazione sociale».
In queste prime parole si coglie l’attenzione che la Chiesa ha per questi strumenti, ma anche la preoccupazione per la natura stessa di mezzi che possono raggiungere e influenzare moltitudini di persone e l’intera società. Subito dopo infatti, si legge: «Con senso materno la Chiesa riconosce i vantaggi positivi che questi strumenti, se adoperati bene, possono apportare all’umana famiglia; infatti essi servono mirabilmente a sollevare e ad arricchire lo spirito, nonché a propagare e rafforzare il Regno di Dio; ma riconosce pure che gli uomini possono volgerli a proprio danno, usandoli contro i disegni di Dio Creatore; anzi il suo cuore di madre è intimamente angosciato per i danni che troppo spesso il loro cattivo uso ha già recato all’umanità».
La Chiesa riconosce dunque la grandezza di questi mezzi, anche in positivo, ma al tempo stesso conferma di essere cosciente del pericolo che possono arrecare a danno addirittura dell’intera umanità.
Il penultimo paragrafo dell’«Inter mirifica», il n. 23, rimanda i criteri per l’applicazione pratica di tutti i principi e le norme del Concilio alla pubblicazione di un apposito Direttorio pastorale che uscirà otto anni dopo con il titolo «Communio et progressio» («La comunicazione e il progresso»).
L’«Istruzione», a firma della pontificia Commissione per le comunicazioni sociali porta la data 23 maggio 1971, e definisce i mass media «indispensabili nei rapporti sempre piú fitti e stretti e nelle attività della società odierna. Valgono perciò anche per essi i principi dottrinali che nella visione cristiana regolano la vita sociale degli uomini. In verità, lo scopo nobilissimo ed il fine ultimo di questi strumenti è palesare i problemi e le attese dell’umanità, per risolverli nel modo migliore e per unire gli uomini in una solidarietà sempre piú stretta. E questo principio fondamentale a giustificare la stima del cristiano circa le vantaggiose prestazioni umane offerte da questi strumenti».
I mezzi della comunicazione sociale partecipano all’opera creatrice e redentrice di Dio mentre sul piano socio-culturale possono accelerare la promozione umana soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, e attuare una maggiore uguaglianza tra gli uomini, oltre ad arricchire le menti.
La «Communio et progressio» ribadisce che i mass media formano l’opinione pubblica e pertanto «perché l’opinione pubblica si formi in modo corretto occorre che prima venga riconosciuto alla società il diritto all’accesso alle fonti e ai canali d’informazione, e di libertà di espressione. Libertà di pensiero e diritto ad essere informati e ad informare sono interdipendenti».
II capitolo II della parte seconda della «Communio et progressio» parla delle condizioni ottimali perché i mass media favoriscano la crescita umana. La prima condizione è la formazione: dei recettori, ma anche dei promotori. Al proposito vengono sollecitati i genitori, gli educatori, gli insegnanti ed anche tutti coloro che abbiano una certa competenza e si prestino alla formazione dei recettori con conferenze, «forum», letture specializzate, convegni di studio e corsi di aggiornamento. Per i promotori si chiede una formazione culturale, anche accademica, ma soprattutto la conoscenza e l’amore per l’uomo. Il fine ultimo deve sempre essere il progresso umano ed anche i recettori sono chiamati ad un ruolo attivo che favorisca un dialogo con i «media» ed una collaborazione tra cittadini e autorità civili, tra le nazioni e tra tutti i cristiani.
«Il dovere pastorale della comunicazione sociale»
La Chiesa (in questo caso quella italiana) a vent’anni di distanza dall’«Inter Mirifica» pensa bene di rinfrescare la memoria con un nuovo documento, «II dovere pastorale della comunicazione sociale», redatto dalla Commissione della Cei per le comunicazioni sociali e pubblicato nel marzo 1985.
Quando questa Nota pastorale venne presentata fu detto che non si trattava di una tardiva commemorazione dell’«Inter mirifica», ma di uno strumento che riproponeva i grandi temi sottolineati dal documento conciliare in forma di indicazioni pastorali in una nuova fase in cui le comunicazioni sociali avevano avuto uno sviluppo impensabile.
«Il dovere pastorale della comunicazione sociale» afferma che «i mass media, poiché rappresentano oggi una fondamentale esperienza umana, vanno affrontati evitando tanto il pessimismo degli scandalizzati quanto l’ottimismo dei superficiali». I vescovi quindi invitano a porsi di fronte ai mass media con il dovuto discernimento. Da una parte si riconosce ai mass media la capacità di «instaurare una maggiore misura di umanità, in un tempo in cui i problemi acquistano, anche in virtú di questi strumenti una dimensione planetaria», ma, dall’altra, si mette in guardia dai non pochi pericoli: «Le nuove tecnologie comunicative, mentre accrescono le possibilità di informazione, possono dar luogo, a causa della grande massa di notizie che trasmettono, ad una specie di aggressione capace di condizionare lo sviluppo culturale. Tale pericolo non è solo teorico, è reale soprattutto se si tiene conto del ruolo delle grandi imprese operanti nel campo delle nuove tecnologie: padroni del mezzo, esse possono diventare facilmente padroni dei contenuti. Le nuove tecnologie progredendo ed espandendosi per forza propria e sovente sotto spinte politiche ed esigenze economiche, si impongono ancor prima di essere convenientemente valutate ed assimilate in modo che il loro uso si traduca in un servizio per la crescita umana della società. Non va perciò sottovalutato il pericolo dei danni che questi mezzi possono arrecare alla società, se piegati alla logica di poteri o di interessi o se usati contro la dignità della persona umana».
In questo importante passaggio del «Dovere pastorale della comunicazione sociale» si sottolinea ancora una volta il rispetto della «dignità della persona umana», ma soprattutto si parla di «padroni del mezzo» che possono diventare «padroni dei contenuti» e si parla di «logica di poteri o di interessi».
I vescovi non citano nessun caso specifico, ma è evidente il riferimento anche e soprattutto al problema delle concentrazioni editoriali e quindi dei pochi «padroni del mezzo» che possono diventare «padroni dei contenuti» secondo una «logica di poteri o di interessi».
«Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione: una risposta pastorale»
In occasione della XXIII Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, il 7 maggio 1989, il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali pubblica un documento su «Pornografia e violenza nei mezzi di comunicazione: una risposta pastorale», che intende «illustrare – si legge al paragrafo 8 – gli effetti piú gravi della pornografia e della violenza sugli individui e sulla società e vuole indicare le cause principali del problema», richiamando «i rimedi a disposizione di chi si occupa professionalmente di comunicazione, dei genitori, degli educatori, del pubblico, delle autorità civili ed ecclesiali, degli organismi religiosi e dei gruppi appartenenti al settore privato».
Il fondamentale documento del pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, «Aetatis novae» («All’approssimarsi di una nuova era»), porta la data del 22 febbraio 1992. In questo documento si va subito al nocciolo della questione. Al quinto rigo si legge: «Non c’è luogo in cui l’impatto dei media non si faccia sentire sugli atteggiamenti religiosi e morali, sui sistemi politici e sociali, sull’educazione». Come dire?: «i media condizionano tutto».
Piú avanti la «Aetatis novae» riprende le parole dell’enciclica di Giovanni Paolo II, «Redemptoris missio», quella ben nota ai lettori di questa rivista, in cui il Papa parla (con un’espressione felice e piú volte ripresa da molti) di «areopaghi moderni». Il primo areopago del tempo moderno è appunto il mondo della comunicazione, che sta unificando l’umanità rendendola «un villaggio globale». I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali.
Alle parole del Papa, la «Aetatis novae» aggiunge: ciò che gli uomini e le donne dei nostri tempi sanno e pensano della vita è in parte condizionato dai media; l’esperienza umana in quanto tale è diventata un’esperienza mediatica».
Quest’ultima espressione, lo si capisce bene dal contesto, non significa altro che: «Quello che si conosce della vita, in gran parte lo si conosce attraverso i media».
Nel primo capitolo, dedicato al «Contesto delle comunicazioni sociali», al paragrafo sul «Contesto culturale e sociale» si legge che «l’intrecciarsi sempre piú serrato dei media nella vita quotidiana influenza la comprensione che si può avere del senso della vita». A questo concetto ne segue un altro altrettanto importante: «I media hanno la capacità di pesare non solo sulle modalità, ma anche sui contenuti del pensiero. Per molte persone, la realtà corrisponde a ciò che i media definiscono come tale; ciò che i media non riconoscono esplicitamente appare insignificante».
Ma la «Aetatis novae» ci dice anche che i «media» non sono il diavolo (addirittura l’«Inter mirifica» li ha chiamati «meravigliose invenzioni tecniche» e la stessa «Aetatis novae» li definisce, riprendendo un’affermazione di Pio XII nella «Miranda prorsus», «doni di Dio») in quanto il loro «ruolo sociale specifico e necessario è di contribuire a garantire il diritto dell’uomo all’informazione, a promuovere la giustizia nella ricerca del bene comune, ad assistere gli individui, i gruppi e i popoli nella loro ricerca della verità. I media esercitano queste funzioni fondamentali quando favoriscono lo scambio di idee e di informazioni tra tutte le classi e i settori della società e offrono a tutte le opinioni responsabili l’occasione di farsi ascoltare».
Premesso che le comunicazioni sociali hanno «un ruolo da giocare in tutti gli aspetti della missione della Chiesa», la «Aetatis novae» conclude che «non ci si deve accontentare di avere un piano pastorale per la comunicazione, ma è necessario che la comunicazione sia parte integrante di ogni piano pastorale perché essa di fatto ha un contributo da dare a ogni altro apostolato, ministero o programma».
Il documento specifica che l’educazione alla comunicazione di massa deve far parte integrante della formazione degli operatori pastorali e dei sacerdoti. È impensabile oggi che si possa essere buoni catechisti o buoni predicatori o si possa fare una pastorale familiare se non si ha una visione di insieme dell’impatto e dell’influenza che i «media» esercitano sugli individui e sulla società. Ma non solo: è necessario conoscere i linguaggi specifici con i quali questi mezzi comunicano.
La «Redemptoris Missio», citata dalla «Aetatis novae», non è un’enciclica sulle comunicazioni sociali, ma contiene in materia dei passaggi in questo senso fondamentali. Oltre al concetto di «areopaghi moderni», è da sottolineare quando Giovanni Paolo II parla di «nuova evangelizzazione» perché c’è una «nuova cultura» e aggiunge che «l’evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte» dall’influsso dei media. Però, dice ancora il Papa, non basta usare i media per diffondere il messaggio cristiano nella nuova cultura creata dalla comunicazione. Il problema è piú complesso, dice Giovanni Paolo II, «poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici».
A questa enciclica padre Taddei aveva dedicato le sue ultime forze e i suoi ultimi studi e proprio a questi rimandiamo: in particolare al volume «Papa Wojtyla e la “nuova” cultura massmediale».
«Istruzione circa alcuni aspetti dell’uso degli strumenti di comunicazione sociale nella promozione della dottrina della fede»
Nel marzo 1992 la Congregazione per la dottrina della fede diffonde l’«Istruzione circa alcuni aspetti dell’uso degli strumenti di comunicazione sociale nella promozione della dottrina della fede». «Tra gli strumenti piú efficaci oggi a disposizione per la diffusione del messaggio evangelico vanno annoverati sicuramente – si legge nel documento – quelli delle comunicazioni sociali. La Chiesa non solo ne rivendica il diritto di uso, ma esorta i Pastori ad avvalersene nel compimento della loro missione». Il documento ripresenta in forma organica la legislazione della Chiesa in merito alle comunicazioni sociali, «richiamando le norme canoniche, chiarendone le disposizioni, sviluppando e determinando i procedimenti attraverso cui eseguirle».
Non si evangelizza se non si entra nella cultura. Ma qual è la caratteristiche principale di questa cultura nella quale dovrebbe tornare ad incidere il Vangelo? La «Nota pastorale della Chiesa italiana dopo Palermo» (dal titolo «Con il dono della carità dentro la storia» e pubblicata nel 1996), pur non essendo un documento specifico sui mass media, dice testualmente che «la cultura odierna, in Italia e nel mondo, è diffusa e plasmata dai media in misura cosí rilevante che alcuni non esitano a parlare di rivoluzione antropologica». Questo significa che televisione, radio e giornali sono la principale «agenzia culturale», che trasforma e determina: attitudini psicologiche, modi di sentire e di pensare, abitudini di vita e di lavoro, l’organizzazione stessa della società. La Nota della Conferenza episcopale italiana invita anche a promuovere sinergie tra i mezzi di comunicazione sociale cattolici, in base anche ad un altro documento, «Mass media cattolici: le sinergie possibili», presentato nel corso dei lavori del Convegno ecclesiale di Palermo nel novembre del 1995.
Nel febbraio 1997 esce, a cura del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, il documento «Etica nella pubblicità» a cui faranno seguito «Etica nelle comunicazioni sociali» (giugno 2000) ed «Etica in internet» (febbraio 2002).
La pubblicità è di tanti tipi ed abbraccia un campo estremamente vasto e vario, ma «dissentiamo – si dice nel documento – da coloro che affermano che la pubblicità rispecchia semplicemente gli atteggiamenti e i valori della cultura circostante». Al contrario è la pubblicità che ha «un impatto indiretto ma potente sulla società attraverso l’influenza che esercita sui media», soprattutto nel senso di «dipendenza economica».
«Etica nelle comunicazioni sociali»
I mezzi della comunicazione sociale fanno «il bello e il cattivo tempo», ma non sono forze cieche della natura e pertanto possono essere soggette al controllo umano. È con questa consapevolezza che prende le mosse il documento del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, datato 4 giugno 2000, con il titolo «Etica nelle comunicazioni sociali». «I principi e le norme etiche importanti in altri campi valgono anche – si legge nel testo – per il settore delle comunicazioni sociali. I principi di etica sociale, come la solidarietà, la sussidiarietà, la giustizia, l’equità e l’affidabilità nell’uso delle risorse pubbliche e nello svolgimento dei ruoli che si basano sulla fiducia della gente, sono sempre da tenere in conto. La comunicazione deve essere sempre veritiera, perché la verità è essenziale alla libertà individuale e alla comunione autentica fra le persone».
Nel febbraio 2002, il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali pubblica il documento «Etica in internet» in cui gli autori espongono «il punto di vista cattolico di internet quale punto di partenza per la partecipazione della Chiesa nel dialogo con altri settori della società, specialmente con altri gruppi religiosi, riguardo all’evoluzione e all’utilizzo di questo meraviglioso strumento tecnologico. Internet sta facendo del bene e promette di farne ancora di piú. Tuttavia è anche certo che può fare del male. Il bene o il male che ne deriverà dipenderà da alcune scelte, per la messa in atto delle quali la Chiesa offre due contributi molto importanti: il suo impegno a favore della dignità della persona umana e la sua lunga tradizione di saggezza morale». Cosí come accade per gli altri mezzi di comunicazione sociale, la persona e la comunità di persone sono gli elementi centrali per la valutazione etica di internet.
A questo documento ne viene allegato uno specifico su «La Chiesa e internet», che tratta in maniera specifica dell’uso che la Chiesa fa di internet e del ruolo di quest’ultimo nella sua vita. «Desideriamo sottolineare – si legge nel testo – che la Chiesa cattolica, insieme ad altri organismi religiosi, dovrebbe essere attivamente presente su Internet e partecipare al dibattito pubblico sulla sua evoluzione».
Nel giugno 2004 arriva il Direttorio sulle comunicazioni sociali nella missione della Chiesa in Italia dal titolo «Comunicazione e missione». Il Direttorio rappresenta una concreta e specifica attuazione di quanto auspicato negli orientamenti pastorali per il decennio proponendo a tutta la comunità ecclesiale italiana un quadro strutturato, e per alcuni aspetti normativo, dei contenuti e delle prospettive da cui partire per realizzare una pastorale che consideri le comunicazioni sociali non come settore, ma come una dimensione essenziale. L’attuazione di una pastorale organica e integrata che assuma pienamente le opportunità e le sfide della comunicazione sociale esige un forte impegno educativo e una coerente azione pastorale supportata da competenze e da strumenti adeguati.
Il Direttorio concretamente intende: aiutare le comunità ecclesiali a prendere coscienza del ruolo dei media nella nostra società, far maturare una competenza relativa alla conoscenza, al giudizio, alla utilizzazione dei media per la missione della Chiesa; sviluppare alcune idee circa i punti nevralgici della pastorale delle comunicazioni sociali (comprensione dei media come cultura e non solo come mezzi, ecc.); offrire una piattaforma comune per i piani pastorali che ciascuna diocesi è chiamata a realizzare; costituire una piattaforma unitaria per i media ecclesiali, gli organismi e le iniziative nel campo delle comunicazioni sociali, per i professionisti cattolici che operano nelle strutture pubbliche e private della comunicazione sociale.
«Per evangelizzare ed esercitare il suo ruolo profetico la comunità ecclesiale – si legge nel Direttorio – deve comprendere e dialogare con la nuova cultura generata dalla crescente diffusione dei media».
«Per svolgere la sua missione in questo nuovo contesto culturale, alla Chiesa, che esiste per evangelizzare, viene richiesta una “conversione pastorale” che include ed esige una “conversione culturale”. È del tutto illusorio credere che la celebrazione formale, l’espressione devozionale della fede e l’ordinaria amministrazione pastorale possano esaurire l’azione evangelizzatrice. È necessario “passare a una pastorale di missione permanente”. Venendo meno i tradizionali canali di adesione alla fede cristiana, è sempre piú urgente “promuovere una pastorale di prima evangelizzazione che abbia al suo centro l’annuncio di Gesú Cristo morto e risorto, salvezza di Dio per ogni uomo, rivolto agli indifferenti o non credenti”. Cosí dunque, “nell’attuale situazione di pluralismo culturale, la pastorale deve assumere, in modo piú diretto e consapevole, il compito di plasmare una mentalità cristiana, che in passato era affidato alla tradizione familiare e sociale. Per raggiungere questo obiettivo, dovrà andare oltre i luoghi e i tempi dedicati al sacro e raggiungere i luoghi e i tempi della vita ordinaria: famiglia, scuola, comunicazione sociale, economia e lavoro, arte e spettacolo, sport e turismo, salute e malattia, emarginazione sociale”. Da una comunicazione autentica ed efficace dipende, in larga parte, anche il modello di Chiesa che si intende proporre e la sua capacità missionaria».
«L’azione pastorale deve dunque adeguarsi, senza indugi, alle esigenze dettate dalla nuova cultura mediatica. L’adeguamento investe tutte le dimensioni della vita ecclesiale, senza limitarsi a un semplice aggiornamento degli strumenti».
Ma sul Direttorio rimandiamo agli approfondimenti a suo tempo pubblicati nei numeri 324 e 327 di «Edav». E concludiamo questa nostra carrellata citando la «Lettera apostolica sulle comunicazioni sociali» di Giovanni Paolo II, del 2005, rimandando, anche in questo caso, a quanto scritto da padre Taddei nel numero 328 di «Edav».