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BAMBINI E TV


di NAZARENO TADDEI
Edav N: 349 - 2007

*Questo saggio è sostanzialmente tratto da Nazareno Taddei, «Mass media e famiglia», Documenti, n. 22-23, maggio-agosto 1981, pp. 22-34 (ripubblicato in Edav, n. 247-8, febbraio-marzo 1997, pp. 11-19). Il saggio parla essenzialmente di tv, ma i criteri di lettura valgono per tutti gli altri mezzi di comunicazione di massa.

 

Una statistica dice che un bambino italiano entra in prima elementare con 5000 ore passate davanti alla tv. Sono certamente 5000 ore di calma di cui i genitori hanno potuto godere; ma sono anche 5000 ore spaventose, che non potranno non avere influsso su tutta la vita futura, intellettiva e morale, dei figli, perché fanno prendere al bambino un contatto col mondo che è enormemente suggestivo, ma fasullo e contro natura, come accennerò piú avanti.

Qualche indicazione di come saranno domani questi bambini che hanno maturato il loro contatto col mondo in questa maniera, l’abbiamo – benché solo per analogia – con la facilità con cui s’è diffusa la droga e, in altro settore, col terrorismo: una gioventú che ha maturato il suo contatto col mondo su basi innaturali. Anche la coincidenza delle date conferma l’analisi, qui solo accennata nei suoi risultati. Questo fatto è emblematico dell’intero problema sollevato dalla presenza dei mass media, circa la famiglia. Problema che potremmo concentrare nell’affermazione: i mass media hanno sconvolto dalle radici la concezione umana (tanto piú cristiana) della famiglia. Vale la pena di considerare piú nel dettaglio, sebbene per soli accenni, questa imponente problematica.

Famiglia, coppia, figli e vivere insieme

Diamo una scorsa al concetto di famiglia, per coglierne i gangli su cui, vedremo, i mass media operano e operano in un certo modo.

La famiglia è un’istituzione che Dio ha posto nella natura, perché l’uomo attui il Suo divino Piano sul mondo; vale a dire: perché l’uomo sia concreatore con Lui del genere umano, non solo come fisico generatore di vita materiale, bensí anche come «educatore» (e-ducere), plasmatore, di vita spirituale.

Considerando la convergenza e la diversità dell’istinto riproduttivo negli animali e nell’uomo, possiamo notare, tra l’altro, che l’animale generalmente abbandona la prole dopo averla generata e provveduta dei primi sostentamenti. L’uomo, invece, a meno che non sia un degenerato, conserva l’istinto materno e paterno, rispettivamente figliale, anche quando la prole è in grado di provvedere materialmente a se stessa. Anche se la vita o le circostanze allontanano genitori e figli, resta sempre negli uni e negli altri un profondo bisogno almeno di rivedersi di tanto in tanto; e, nei casi piú tristi di disaccordo, un’intima sofferenza – talvolta origine di rincrudimenti opposti – per la mancata unione affettiva e spirituale.

Mass media e inquinamento

Vediamo ora, con sguardo veloce, il ruolo dei mass media nella loro effettiva azione.

Possiamo osservare che, nell’epoca contemporanea, una specie di enorme nuvola di diossina mentale sta avvelenando sempre piú profondamente (ma con sempre minore avvertenza da parte nostra, perché i nostri sensi vi si sono quasi abituati, come l’olfatto ai cattivi odori) la società attuale e quindi anche la famiglia.

Mi riferisco alla mentalità materialistica: un materialismo cioè che ha invaso l’uomo contemporaneo nelle radici del suo stesso modo di conoscere, di pensare e di comunicare.

Già Paolo VI aveva avvertito quest’ondata di inquinamento, al di là e al di sopra dei due blocchi politici.

La causa piú violenta e piú comunemente diffusa di tale mentalità materialistica sono i mass media: cinema, radio, televisione, stampa di massa. Questo avviene, certamente per il modo in cui essi sono usati dai vari poteri e quindi per i contenuti che vengono diffusi, ma soprattutto per la natura stessa di tali mezzi: il cosiddetto linguaggio dell’immagine tecnica, che presenta le cose e il mondo nelle loro apparenze sensibili e, per di piú, in un continuo gioco di emozioni, di simpatia e di antipatia, di partecipazione e di repulsione (spettacolo).

La famiglia sotto tiro

Poiché tale mentalità materialistica invade il singolo uomo nel suo modo di vedere il mondo e poiché tutti gli uomini dell’epoca contemporanea (quale piú e quale meno, ovviamente) ne sono invasi, è evidente che il problema della mentalità massmediale tocca anche la famiglia tanto per i suoi aspetti generali quanto per alcuni aspetti particolari. 

Amore massmediale

La mentalità massmediale mutila e quindi praticamente spegne la visione altissima, eppur cosí reale, della famiglia, concepita come sede di concreazione nella sua piena dimensione. Il rapporto concreatore è ridotto praticamente al sesso da una parte e al sostentamento fisico (benessere) della prole, dall’altra; il tutto limitato a un po’ di romanticismo nell’amore (quando pure c’è) e a un po’ di mammismo o di possessivismo nel confronto dei figli, quando non è solo ambizione ed egoismo.

Venendo alla coppia, la mentalità massmediale ancora una volta mutila e uccide. L’attrazione fisica prende il primo posto; al massimo, lo prende una convergenza di interessi materiali. L’infedeltà reciproca è sempre piú scusata o addirittura accettata quand’anche non provocata; la perennità e la fecondità sono considerate sempre piú come un peso intollerabile e ingiustificato, che non c’entra con la morale e con la religione (cioè col piano di Dio), che va scosso come un giogo. La donna vale quando è sessualmente attraente (si pensi a tutta la pubblicità e alla gran maggioranza degli spettacoli cinematografici e televisivi); l’uomo vale come marito quando sa offrire alla sua donna benessere e lusso; l’automobile per l’uomo o i vestiti per la donna sono lo status symbol, cioè il parametro per valutarli. L’onestà è sempre piú considerata mancanza di furberia; la gentilezza e la bontà, debolezze; il rispetto per gli altri tonteria; i troppi figli, o disgrazia o mancanza d’intelligenza. E tutto perché i mass media parlano in certo modo, presentano immagini suggestive strumentalizzate a certe concezioni, propongono modelli di comportamento e di mentalità impostati su ciò che piace, su ciò che costa meno sacrificio, su ciò che dà maggiori apparenze.

La mentalità massmediale, inoltre, ha ridotto la cura della prole a «buona» alimentazione, a bei vestiti, a un sistema educativo che impegni il meno possibile dando però prestigio; scuola e doposcuola con piscina, sci, danza, musica, ecc.: tutte cose belle, quando sono collocate al loro giusto posto, cioè quando vengano considerate mezzi per una piú completa formazione della personalità e non per apparire un gradino piú su degli altri. Queste cose sono proposte dai mass media come punti d’arrivo; mentre invece sono solo un punto di partenza, perché, anche quando sono raggiunte, resta scoperta la zona della vera e sana personalità delle generazioni che fioriscono e che peraltro hanno bisogno di comprensione, di intelligenza, di affetto vero, di partecipazione cosciente e assidua.

Isolati in gruppo

Per il «vivere insieme», poi, oltre a quanto già detto, basti ricordare che spesso, anche a tavola, e non solo dopo pranzo o dopo cena, si guarda la televisione, e che quindi non ci si parla piú.

Non basta. La tv ha messo veramente come un muro attorno a ciascuno dei membri della famiglia. Ciascuno vorrebbe vedere il programma che vuole e se non può ci sta male, se la prende (almeno dentro di sé) con quelli che non glielo lasciano vedere. Cosí, un po’ alla volta, o si torna a cercare il colloquio altrove oppure si cerca d’avere un televisore tutto per sé, isolandosi quindi ancora di piú dal resto della famiglia. Viene cosí a mancare anche quel fisico stare insieme che, in un primo tempo, era sembrato un vantaggio portato dal piccolo schermo.

I bambini

Un discorso particolare va fatto per i bambini, soprattutto per quanto riguarda tv e fumetti.

Ho accennato all’inizio a una recente statistica, secondo cui i bambini italiani entrano in prima elementare con già 5000 ore di tv in testa. La gravità di quelle 5000 ore dipende certamente dai contenuti: il bambino vede cose anche di adulti e per adulti (per esempio, visioni di guerra, violenze nelle strade e nelle fabbriche, incidenti stradali, lotte politiche, stati di sofferenza atroce, ecc.), ch’è troppo debole psicologicamente per poter vedere e che dovrebbe abituarsi a vedere a poco a poco.

Ma anche per quanto riguarda le trasmissioni fatte appositamente per i piccoli, soprattutto i cartoni animati che tanto li appassionano, la situazione è tutt’altro che tranquilla: oltre alla mania imitativa nei gesti, negli atteggiamenti e nelle espressioni che tutti gli educatori stanno già rilevando e spesso con note tutt’altro che favorevoli, basti pensare all’episodio occorso a un bambino di Prato, che poi ho saputo essersi verificato (con qualche diversa modalità) anche a Napoli e a Viterbo: per imitare Mazinga, un bambino s’è buttato dal balcone di casa. Per fortuna, il balcone era basso e il bimbo se l’è cavata con una gran botta; però egli non pianse né in quel momento né in seguito, quando lo medicavano, perché voleva assomigliare a quel personaggio che si getta dalle montagne e arriva in fondo tutto spavaldo.

Quello dei contenuti, quindi, è un aspetto notevolmente grave e pericoloso.

Eppure c’è qualcosa di assai piú grave: ed è il modo contro natura col quale il bambino, per colpa della tv, realizza il suo contatto col mondo.

La natura ha disposto provvidenzialmente che l’uomo si inserisca nel mondo, prendendo contatto assai gradualmente con le cose e con la società. Fin dai primi momenti della sua apparizione nel mondo (ma si pensi alla gradualità e al misterioso mondo di rapporti nel seno materno), con gli occhietti appena aperti, egli fissa la madre per abituarsi alla conoscenza visiva, e con le manine tenta di toccare quello che si vede innanzi, per abituarsi al rapporto spaziale. Poi vengono i contatti col mondo dei suoni e della loro articolazione; ed è come se egli scoprisse a ogni momento qualcosa di nuovo. Poi i primi passi, l’equilibrio. Verso i 5-6 anni d’età, egli passa la soglia dell’episodico e della realtà vista come tante monadi, e riesce a stabilire connessioni tra i diversi momenti di una stessa azione e anche, un po’ alla volta, tra piú azioni tra di loro; ma siamo sempre nel campo – per dir cosí – del «narrativo». Col cosiddetto uso della ragione, il bambino, oltre la connessione «narrativa», incomincia a coglierne anche i nessi logici, che riuscirà ad approfondire e a far maturare un po’ alla volta. Nell’adolescenza, il giovane uomo comincia a sviluppare – con l’uso delle facoltà generative – tutta la completezza della sua personalità; sviluppo che continuerà per tutta la vita. E si pensi alle ultime età, quando l’uomo affina sempre di piú i contatti che meno hanno di materiale.

Orbene, i mass media in genere, ma soprattutto la tv, violentano questa naturale e provvidenziale gradualità: la tv impone al bambino – attraverso la suggestione delle immagini che lo attraggono – di entrare in contatto con delle realtà che sono inadeguate alle sue varie età e che egli peraltro affronta con le capacità della sua età concreta. Prima della soglia delle connessioni narrative, per esempio, egli coglierà solo gli istanti di un racconto, senza saperli inquadrare nel complesso contesto in cui avvengono e che li caratterizza. E appunto il caso del bambino che s’è gettato dal balcone: fissato solo sull’azione del gettarsi da qualcosa di alto, non s’è potuto render conto della situazione reale in cui la sua azione si svolgeva; non aveva colto cioè, da una parte, il fatto che per esempio quel personaggio si lanciava dalla montagna perché aveva doti particolari e, dall’altra, che egli non è quel personaggio, che il cadere dall’alto provoca dannoso urto col terreno e che, soprattutto, quelle doti particolari erano finzione scenica.

La violenza vera e propria, infatti, quella assai piú grave di tutte, consiste appunto nel fatto che il bambino viene abituato a entrare in contatto con la realtà, la quale non è quella che sembra essere, anzi ne è la finzione: immagine, e quasi sempre invenzione, che egli però prende come realtà.

Il contatto è quindi, per tutte quelle ragioni, innaturale e pertanto non può avere gli sbocchi che la natura ha predisposto.

Fiaba-realtà e realtà-fiaba

C’è una grossissima differenza tra la fiaba televisiva e le fiabe, anche illustrate, d’un tempo: allora, il bambino entrava nel mondo della fiaba come in qualcosa di eccezionale, che, pur facendolo sognare a occhi aperti, non gli faceva perdere il contatto con la realtà, costituita praticamente dalla persona che narrava, che spiegava le figure, che dava spiegazioni e rispondeva alle sue domande, eccetera: la realtà era non la fiaba, bensí la narrazione della fiaba. Con la tv, invece, la realtà (fasulla) diventa la fiaba; è questa (e non il narratore, cioè la tv) che artificiosamente e falsamente entra in diretto contatto con lui e che gli si presenta come «vera», soprattutto nel caso di racconti ispirati a realtà concrete, come i prodotti dell’elettronica, i viaggi spaziali, eccetera.

In una parola, la tv, che è rappresentazione (immagine) della realtà e non la realtà rappresentata, gli si presenta invece proprio come la realtà rappresentata e non gli offre la possibilità pratica di fare la distinzione tra immagine (finzione) e realtà: quello che lui vede, per lui, è «il mondo», in tutto analogo al papà e alla mamma, alle cose che vede e sente e tocca: la mamma fa da mangiare, il papà guida l’automobile, il personaggio televisivo fa piú o meno lo stesso, anche se ha una macchina piú forte, piú straordinaria, se vola giú dalle montagne, se attraversa l’oceano in un istante (l’oceano quindi è qualcosa di relativamente piccolo) e cosí via. La differenza è quella, che so?, tra automobile e aereo; non come quella tra il nonno che non c’è piú e forse lui non ha conosciuto e la fotografia del nonno che sta sul comò...

I futuri adulti del contatto fasullo

Come saranno domani questi bambini che hanno impostato il loro contatto col mondo in una maniera cosí fasulla? Qualche indicazione la possiamo cogliere da fatti apparentemente (ma solo apparentemente) molto lontani: per esempio la facilità con cui s’è diffusa la droga, da una parte, e il terrorismo dall’altra. Non si può certo indicare questa quale l’unica componente dei due gravi e tipici fenomeni di questi nostri anni, ma non si può nemmeno rifuggire dalla constatazione di comportamenti che hanno alla base di altri fattori le note caratteristiche d’una mentalità formatasi nel suddetto contatto fasullo col mondo, offerto soprattutto dalla tv (nata in Italia nel 1953). Sono le stesse note che si riscontrano spesso – e fortunatamente in contesti assai meno drammatici – in molti comportamenti giovanili odierni al cinema o nel consumismo o altro, quali per esempio un monadismo presoglia dei 5-6 anni, un cercare sicurezza attaccandosi a punti di riferimento emotivi, un’ingenua sicumera fatta di soggettivismo esasperato.

I vizi degli adulti (sete di denaro, sete di potere, egoismo d’ogni genere) si scontrano con le sincere aspirazioni di una gioventú sempre piú intollerante eppure sempre meno capace – salvo eccezioni – di provvedere a se stessa, con un grande senso di insicurezza e di paura. Pur dato per scontato che i giovani d’oggi non sono peggiori di quelli d’un tempo, anzi che ben sovente presentano aspetti magnifici, quasi che gli innati valori umani escano rinvigoriti dalle strettoie, come acqua incanalata che erompe con maggior vigore, sarebbe disonesto non riconoscere l’enorme disagio attuale dei giovani di fronte alla vita, anche quando non è possibile dar tutta la colpa agli adulti o alla società.

E l’accennata distorsione nella gradualità dei contatti col mondo, stabiliti dalla natura, spiega assai bene certi aspetti che nessun’altra interpretazione riesce a coprire interamente.

Ovviamente, è necessario far qualcosa; ed è necessario in senso pieno, perché all’origine c’è un dato ch’è contro natura e non solo contro fattori culturali, com’è provato anche dal fatto di quel suddetto disagio, il quale – anche a prescindere dalla droga e dal terrorismo che si potrebbero considerare l’estremo fatto patologico, tuttavia punta di iceberg – indica una realtà biologicamente (psicologicamente) anomala.

Fiducia ma azione giusta

Non c’è dubbio, quindi, che i mass media – pur meravigliosi come mezzi di comunicazione – hanno sconvolto la famiglia, dalla sua concezione fino ai suoi aspetti piú concreti e contingenti. Ed è anche chiaro che bisogna far qualcosa, sia per ovviare agli inconvenienti e salvare i valori che sono stati minati, sia anche per poter raccogliere con frutto e senza danni la ricchezza culturale e comunicativa che essi offrono alla nostra epoca.

Prima di tentare una ricerca di rimedi, bisogna dire che sarebbe errato porsi di fronte alla suddetta realtà con atteggiamento pessimistico e «catastrofico». La realtà è quella che è e la storia dell’uomo certamente non si ferma per situazioni nuove, anche se sconvolgenti e difficili.

Una semplice constatazione scientifica, oltre che di fede, ci fa sapere che l’uomo non si è fatto da sé, bensí è un elemento – sia pur il centrale – di un Piano divino che persegue un cammino di Salvezza; Piano che certamente si realizzerà in pieno ed è già, anzi, realizzato come cammino.

Ciò significa che, anche di fronte alla gravissima realtà introdotta dai mass media nella società contemporanea, l’uomo deve «testimoniare la verità», come Gesú ci ha insegnato. In questo caso, testimoniare la verità è affrontare tale realtà secondo verità. Il che nonnè possibile col solo buon senso e nemmeno con la sola fede, perché si tratta di cose che riguardano l’impatto dell’uomo con la scienza e con la tecnologia. Non si può ripetere l’errore già fatto (e oggi largamente sconfessato) nei confronti di Galileo, che invocava la scienza non già per combattere la fede, bensí per approfondirne gli spazi; mentre i suoi avversari invocavano una fede, ch’era basata – per quel problema – su un equivoco e non sulla verità.

La scienza che ci può e ci deve aiutare in questo lavoro è la scienza pastorale; scienza che parte da e arriva alla fede, ma attraverso il cammino di un’approfondita conoscenza dell’uomo e dei fattori che incidono concretamente sul suo pensiero e sul suo comportamento.

La scienza pastorale, o scienza dell’apostolato, quindi, è interdisciplinare; attingendo a volta a volta da altre scienze le conoscenze di base che le servono per trarre le proprie indicazioni. Essa, comunque, oggi non può assolutamente prescindere da quanto viene suggerito dalla scienza della comunicazione massmediale.

Si può fare qualcosa

Che ci sia da far qualcosa, e che si possa fare, risulta dal fatto che la radice del fenomeno è individuata: consiste nell’equivoco fattuale e psicologico tra il «ciò che appare» e il «ciò che è» («l’immagine di una seggiola non è una seggiola; la notizia di un evento non è quell’evento»). Da tale equivoco, fondato sulla tipica natura del mezzo, nascono le cosiddette «comunicazioni inavvertite», che stanno alla base della massificazione e susseguente strumentalizzazione.

Se la situazione odierna dell’uomo, sotto il profilo pastorale, è cosí fortemente condizionato dalla presenza dei mass media come formatori di mentalità, è ovvio che, nella pastorale, bisogna attendere a questa radice come a presupposto inevitabile, anche per avere un punto di riferimento preciso e una base corretta per l’azione; e altrettanto ovviamente bisogna affrontarla con le tecniche opportune, che ben difficilmente uno può usare se non ne conosce bene i meccanismi e le modalità.

Si possono in tal modo intravedere alcune indicazioni precise.

Rifondare la mentalità

a) Sensibilizzazione del clero, degli educatori dei genitori, degli stessi giovani e ragazzi, insomma di tutto il popolo cristiano, a questi problemi. Sensibilizzazione estremamente necessaria; poiché, se molti ormai avvertono la presenza dei mass media come qualcosa di veramente pesante e preoccupante, ben pochi ancora sono quelli che si rendono conto del punto cruciale. E ciò anche tra persone colte e responsabili.

Oggi si parla molto di questi problemi; ma purtroppo non sempre con sufficienti basi scientifiche e corrispondenti a realtà. Si parla di strumentalizzazione; ed è giusto, ma non è sufficiente: si parla dell’influsso dei mass media in maniera contrastante, ci si riferisce ancora allo slogan consumistico «apocalittici e integrati» di un noto scrittore, ma non ci si preoccupa di andare al di là del «ciò che appare», anche per quanto riguarda questi problemi. È certo che i mass media sono strumentalizzati dai vari poteri; è anche vero che, nei loro confronti, le posizioni estremistiche sono errate; ma è soprattutto vero che i mass media sono formatori di mentalità e che anzitutto sotto questo profilo vanno considerati. Non basta la cultura; ci vuole la scienza.

Si tratta cioè di capire – e non è sempre facile – il sottile inquinamento che essi producono nel nostro modo di considerare la vita e come lo producono. Non è vero che i mass media, come è stato scritto anche recentemente, diminuiscano o impigriscano le facoltà conoscitive dell’uomo; è vero invece che essi portano ad esercitarle su basi fasulle, senza piú farci preoccupare di andare al fondo delle cose, di rinverdire e riutilizzare una corretta e sana gerarchia dei valori, ch’è stata sconvolta da stereotipi, da modelli di comportamento, da slogan basati sull’apparire» e non sulla realtà dell’uomo e delle situazioni.

b) Questa sensibilizzazione, attraverso una opportuna azione formativa, deve portare un po’ alla volta a rifondare la mentalità: ciascuno deve accorgersi che senza un superamento degli aspetti negativi (materialismo) della mentalità massmediale, non è possibile costruire e gestire verso la felicità la vita familiare in tutti i suoi aspetti.

 Preparazione specifica

c) Per realizzare questa rifondazione della mentalità, occorre pertanto una particolare preparazione, che non si può improvvisare e che, di piú, deve coprire vari livelli e ambiti. Ci deve quindi essere una vera e propria «strategia pastorale», per applicare la quale (se non proprio per predisporla) bisognerà forse attendere che alcune generazioni si esauriscano e le nuove formate avanzino. Negli anni ’60 e ’70 si sono cominciate ad avvertire le conseguenze di errori commessi negli anni ’50; e ora, anni ’80, c’è ancor qualcuno che stenta ad ammettere che le situazioni di disagio manifestatesi siano da attribuirsi a quegli errori. Il che significa che non siamo in terreno vergine dove basta seminare o costruire.

D’altra parte, è urgente cominciare a tracciare e a percorrere il cammino esatto, perché il gran nuvolone si sta sempre piú diffondendo e ammorba la mentalità di tutti sempre piú penetrantemente.

È poi facile intuire che la preparazione specifica – e a vari livelli – di cui s’è detto, richiede tempo prima di poter entrare in azione efficace. In qualche Istituto di formazione ecclesiastica e religiosa, dove pur s’è cominciato a fare qualcosa, o la materia è considerata come il fiorellino culturale che serve solo quasi per bellezza e quindi gli si dà quella goccina d’acqua che basti a non lasciarlo avvizzire, oppure si è ancora fermi a qualche breve excursus di cultura cinematografica o simili. E già qualcosa, certo, ma non è sulla strada giusta; non dico sulla strada maestra. E ritorna il discorso che non siamo su terreno vergine.

d) Riguardo poi ai contenuti relativi alla famiglia, bisogna capire e far capire le visioni distorte che i mass media (soprattutto la pubblicità) danno della famiglia, della coppia, dell’uomo e particolarmente della donna, della cura dei figli, del benessere, dei problemi legati al matrimonio.

Baby-sitter, ma ben part-time

e) Venendo ad aspetti piú particolari, occorre che i genitori siano molto attenti circa l’uso dei fumetti e della tv dei loro figli.

Val la pena di ricordare che è inutile, quando non controproducente, assumere atteggiamenti direttamente negativi e soprattutto repressivi. L’atteggiamento da assumere è quello educativo, il quale peraltro non va confuso col permissivismo o con l’assenza di prese di posizione anche decise: lo Spirito Santo (Prov. 13, 24) – che forse sapeva qualcosina di piú di qualche frotta di pedagoghi – scrisse: «Chi risparmia la verga odia suo figlio; ma chi lo ama lo corregge».

Tre possono essere i suggerimenti concreti e utili.

Il primo, evitare che i bambini vedano indiscriminatamente quanto i vari canali televisivi offrono, con particolare severità per gli spettacoli di violenza, di uccisioni, di ladrocini, di noncuranza dei sani principi morali e dei valori umani. Anche certi servizi telegiornalistici possono essere talvolta moralmente e psicologicamente pericolosi. E profondamente errato il criterio (qua e là va di moda) che i bambini devono abituarsi a vedere di tutto.

Il secondo, evitare le lunghe permanenze davanti al televisore (come pure il prolungato tempo nella lettura dei fumetti).

Il terzo, non lasciare mai il bambino solo con se stesso davanti al televisore (o sul fumetto): abituarlo a sentire che la mamma o il papà o comunque una persona cara e adulta stanno «vedendo» (o «leggendo») con lui. Ciò può avvenire in diverse maniere, delle quali senz’altro la migliore sarebbe quella di seguire con lui la trasmissione (o la lettura), commentandola, facendolo parlare, raccogliendone le impressioni e ridimensionandole in qualche modo.

A queste indicazioni, si potrebbe aggiungere quella, piú generica ma veramente fondamentale, di abituare il bambino a una certa disciplina nel vedere la tv: non lasciare che la tv diventi il riempitivo della sua giornata, la cuccia dove egli può stare col diritto di non essere disturbato da nessuno, la scusa per non fare i compiti di scuola o non assolvere altri doveri di casa.

E ovvio che, per i genitori i quali hanno trovato nella tv il toccasana di tanti problemi pratici, la provvidenziale baby-sitter dei propri bambini, questi suggerimenti suonino ostici e, di conseguenza, poco attendibili. E necessario, invece, ch’essi si convincano che è in gioco l’integrità della personalità dei propri figli. Se questi fossero ammalati o in pericolo, essi farebbero certamente qualsiasi sforzo per salvarli o anche solo per alleviarne le sofferenze; ebbene, facciano qualcosa, almeno il minimo indispensabile (che non è poi né molto né difficile), per salvaguardarli nella loro personalità.

Agli insegnanti, per contro, può spettare il compito (oltre che quello di sollecitare i genitori all’azione educativa suddetta) di contribuire validamente a scaricare le tensioni, a correggere le conoscenze fasulle, a smontare i modelli di comportamento, facendo «lettura della tv» nella scuola, con tutti quei mezzi che la loro fantasia può suggerire.

La libertà schiava

f) Analogo discorso va fatto per gli adulti nei confronti dell’informazione e degli spettacoli massmediali, ivi compresa la pubblicità. Ci si convinca che, senza rendercene conto, ci mettiamo piú o meno passivamente di fronte a vere e proprie cattedre, a veri e propri pulpiti che, al di sotto di quanto fanno vedere e ascoltare, inoculano concezioni di vita materialistica e difformi non solo dalla morale cristiana, bensí dalla stessa dignità e natura dell’uomo. Non si tratta tanto di praticare una autocensura o una eterocensura sulle cose da vedere, quanto piuttosto di acquisire un atteggiamento diverso nel mettersi davanti al televisore o ai film o ai giornali che si leggono.

g) C’è un aspetto, tra quanti sopra rilevati, che va considerato con una certa attenzione. Si è detto che la tv, la quale in un primo tempo sembrava riunire la famiglia, di fatto s’è dimostrata dividerla, nel senso che isola sempre piú i singoli componenti.

Accanto a questa considerazione, in vista di un’indicazione pratica, va fatta quella che il guardare la televisione è diventata una specie di azione obbligata: vera e propria schiavitú, come il vizio del fumo o della droga. Crediamo d’essere liberi di girare quella manopola o di schiacciare quel bottone, tanto per accendere quanto per spegnere; e invece non lo siamo affatto.

Ed ecco l’indicazione piuttosto articolata che ne segue: non affidarsi all’abitudine di accendere il televisore tanto per accenderlo, come non ci fosse nient’altro da fare o anche per avere un sottofondo a qualcos’altro che stiamo facendo. Altrettanto, non affidarsi al vizietto di non decidersi mai a spegnerlo.

Il guardare la televisione dovrebbe essere un’azione esplicitamente decisa e gestita come le altre azioni della nostra giornata e non il riempitivo di tutti i buchi, il sottofondo di nostre altre azioni.

Nello stesso spirito, si può considerare psicologicamente e anche moralmente negativo il passare continuamente da un programma all’altro, quasi alla ricerca dell’emozione passeggera, senza preoccuparsi di «ascoltare» almeno un po’ di quello che quel tale (lo schermo) ci sta dicendo: oltre che segno di leggerezza e anche di incoscienza circa il mezzo che si sta utilizzando e impedirsi di cogliere le comunicazioni che bene o male un comunicante ci sta trasmettendo, è un’intensificazione effettiva di quella fonte di confusione mentale che caratterizza la comunicazione massmediale in genere.

Per quanto riguarda la radio, si possono distinguere le trasmissioni di sola musica, dalle altre trasmissioni parlate. Per la musica, nulla vieta che essa possa servire come sottofondo ad altre nostre azioni, ivi comprese la lettura e la conversazione (sebbene con certa cautela). Ciò invece cui bisognerebbe attendere, è il fatto che è ben diverso ascoltare la musica per conoscerla, gustarla e simili, dall’ascoltarla come sottofondo; comunque, c’è sempre il pericolo consumistico e dello stereotipo, soprattutto nel caso dell’ascoltarla come sfondo. Lo stereotipo consiste nel fatto che – per ragioni di vario genere – un certo tipo di musica solleciti determinati stati d’animo o sentimenti o determinate immagini che con quella musica, di per sé, non avrebbero niente a che fare. Succede allora che, anziché essere noi a guidare l’ascolto secondo i nostri sentimenti o stati d’animo, è la musica a imporceli, creandoci situazioni psicologiche fittizie, che possono influire negativamente sul nostro comportamento o su ciò che stiamo facendo e senza che ce ne rendiamo conto.

L’abitudine, invece, a tenere una trasmissione con parole (notiziari, lavori teatrali, conversazioni, ecc.) quale sottofondo di azioni in cui è impegnata la nostra mente (per esempio leggere, scrivere, studiare, ecc.) può essere psicologicamente assai piú pericolosa, sia per le distrazioni che ne possiamo ricevere, sia soprattutto per lo scorrazzare continuamente da un oggetto d’attenzione all’altro; il che può provocare due effetti negativi: il primo, quello di attenuare sempre piú la nostra capacità di seguire il filo di un problema o di un discorso; il secondo, quello di abituarci a sovrapporre tematiche diverse, perfino incompatibili tra loro eppure reciprocamente influenzantesi. Tutto ciò provoca un po’ alla volta il formarsi d’una mentalità di pratica confusione di idee.

Per i giornali, tra le molte cose che si dovrebbero osservare, si possono cogliere due indicazioni: la prima, bisogna affrontare la lettura (anche rapida e sommaria, ma particolarmente se attenta e interessata), sapendo che quello che veniamo a conoscere da essa non sono gli avvenimenti di cui stiamo leggendo, bensí una loro interpretazione (che può essere vera o falsa, buona o cattiva, obiettiva e onesta o strumentalizzante); la seconda, dobbiamo scegliere e non essere scelti dal giornale: la tendenza – errata – è quella di leggere i giornali i quali dicono le cose che vogliamo sentirci dire, precludendoci cosí in partenza la possibilità di cercare e di avere la verità.

L’unione fa la forza

h) Il cittadino isolato è praticamente inerme di fronte all’irruenza prepotente e spietata dei mass media. D’altra parte, va anche considerato che non è sempre malafede quella che spinge i responsabili dei mass media a fornire certi prodotti: si tratta infatti di prodotti che, piú di ogni altro, sottostanno alle leggi del mercato; sono prodotti costosi, che richiedono molto denaro per essere offerti e tale denaro rientra attraverso le vendite dei prodotti stessi (come succede per esempio per la stampa e per il cinema) o attraverso il numero degli utenti (nel caso delle radio e delle tv private) che fa aumentare proporzionalmente il valore economico della pubblicità.

Ne segue che, a un dato punto, è vero l’assioma che ciascuna popolazione ha i mass media che si merita. Se un singolo cittadino non fa massa, è anche vero che mille, centomila cittadini singoli fanno una massa di mille, centomila utenti. È quindi necessario essere solidali nel respingere certe produzioni massmediali, non collaborare alla loro pratica diffusione.

Se ne possono trarre almeno tre indicazioni molto concrete e importanti.

La prima è quella di aderire alle associazioni valide che si propongono di tutelare moralmente l’utente dei mass media.

La seconda è quella di boicottare quelle emittenti, quelle trasmissioni, quegli spettacoli (cinematografici, teatrali, culturali), quei giornali e riviste, i quali diffondono il suddetto inquinamento mentale.

E chiaro che l’esito di questa nostra azione di ripudio non si avrà immediatamente; come pure, d’altra parte, non è sempre possibile evitare di seguire certe trasmissioni o di comperare certi giornali: ma ci deve essere una vera ragione per farlo e soprattutto non si deve dimenticare il criterio di fondo: quelle emittenze hanno bisogno del seguito delle masse e per incidere su di essi c’è la sola strada di non aiutarli materialmente a continuare. Chi li aiuta materialmente, cioè li segue e li compera anche se poi li critica, diventa praticamente loro complice.

La terza indicazione è quella di aiutare le organizzazioni serie che operano in questo settore, che studiano con capacità, con metodo e con impegno, i veri problemi e cercano e offrono valide soluzioni. Nessuno va a pensare che queste organizzazioni, proprio perché vanno contro corrente e contro gli interessi dei potenti, non hanno aiuti da nessuno e quindi spesso non riescono a dare al loro prezioso lavoro quel respiro e quella dimensione anche geografica e materiale che sarebbero necessari per poter incidere sensibilmente sulla situazione.

Sono bellissime e commoventi la generosità e la solidarietà che le nostre popolazioni dimostrano di fronte a certe calamità pubbliche (magnifico l’esempio nel caso del recente terremoto del Sud) o anche di fronte a singoli casi pietosi: vuol dire che la nostra gente sente l’impegno d’una fraternità umana e cristiana. orbene, questa generosità e questa solidarietà devono manifestarsi anche – e vorrei dire: oggi, particolarmente – proprio per chi cerca di aiutarci a superare l’inquinamento mentale e morale indotto dai mass media.

Queste organizzazioni lavorano per noi e per i nostri figli, nella parte piú delicata della personalità umana, quella della libertà mentale: hanno il diritto di avere tutto il nostro appoggio morale e materiale.

Conclusioni

I meravigliosi prodotti dell’ingegno umano costituiti dai mass media, cosí come quelli dell’elettronica e della scienza nucleare, stanno veramente minacciando l’umanità nella sua sopravvivenza fisica (le armi nucleari) e nella sua dignità morale (i mass media); quasi che l’uomo, rapiti a Dio i raggi del sole, si sia condannato all’autodistruzione.

Ed ecco che la religione, scacciata dalla porta d’una scienza superba e ottusa, rientra dalla luminosa finestra d’una scienza umile e cosciente. Dipende dall’uomo, in altre parole, usare di queste sue meravigliose conquiste, cioè di questi raggi di sole, con la riconoscente devozione e con l’affetto gioioso del figlio che riconosce il dono del Padre.

Ma è compito di ciascun uomo operare una simile inversione di tendenza; ciascuno per la parte che gli spetta: i comunicatori con una comunicazione che rispetti la natura della comunicazione stessa e l’alta finalità umana ch’essa deve proporsi nel Piano di Dio; i recettori, seguendo le comunicazioni massmediali come s’addice a dignità umana.

La presenza dei mass media nella società contemporanea non è solo un fatto importante, ma parziale, della vita; è qualcosa che investe tutta I’esistenza umana nella sua parte piú delicata, quella della libertà e del pensiero.

Forse di questo fenomeno, anche noi cattolici abbiamo colto finora solo l’aspetto quantitativo, quello per cui i mass media sono fonti d’informazione e cassa di risonanza; e abbiamo trascurato l’altro ben piú importante e radicale di formatori di mentalità. Per questo i mass media hanno potuto rendere sempre piú minaccioso e nero il nuvolone dell’inquinamento mentale e morale.

Il discorso della dignità dell’uomo – tanto sottolineato dalla Chiesa nell’ultimo secolo e particolarmente da Giovanni Paolo II – ha ormai il passaggio obbligato dei mass media. Un tale discorso parrebbe limitato nell’ambito terrestre, perché discorso di scienza. Ma, come detto esso tocca invece la dimensione religiosa, perché non ci può essere dignità umana nella nostra epoca se non ci si libera dai condizionamenti mentali e comportamentali che i mass media di fatto ci impongono; ma soprattutto perché senza tale liberazione dalla schiavitú mentale materialistica, non ci può essere nemmeno la fede, se è vero che la fede è «libera» accettazione di quanto Dio (irraggiungibile dalla materia) ci ha rivelato.

 


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