NAZARENO TADDEI E ALESSANDRO BLASETTI
di EUGENIO BICOCCHI
Edav N: 351 - 2007
Quando nel 1970, Taddei mi propose uno studio monografico sul regista Blasetti per la omonima voce della enciclopedia da lui diretta, Schedario cinematografico (rinnovato), edizioni dell’allora Centro dello Spettacolo e della Comunicazione Sociale (CSCS), restai stupito e quasi incredulo. «Taddei vuole dedicare una voce a Blasetti?», mi chiesi.
Io avevo conosciuto il Taddei, intendo dire la sua maniera metodologica e straordinaria di leggere i film, per la penetrante luce che riusciva a gettare negli angoli oscuri e complessi di testi filmici difficili da capire. Come ho ricordato in Edav n. 342, restai «fulgorato» in occasione di un cineforum, tenutosi a Reggio Emilia, diretto da Taddei a proposito del film di Luis Buñuel LA VIA LATTEA, un film che avevo ritenuto letteralmente incomprensibile (1). Conoscevo il Taddei (la sua maniera... ecc.), dunque, per le letture di film impegnativi ed ardui come quelli, oltre che di Buñuel, di Bergman, di Fellini (oggi si fa presto a qualificare il suo talento «visionario»; a quei tempi invece, dopo soprattutto OTTO E MEZZO, ben piú di uno spettatore andava dicendo «Fellini, con me, ha chiuso»), di Antonioni, di Pasolini, per non dire di Godard e di altri ancora. Insomma per film che mettevano a durissima prova gli spettatori e il loro desiderio di capire. E cosí anche me.
«Davvero, Blasetti merita uno studio per lo Schedario cinematografico?», a questa inevitabile – date le sopraricordate premesse – mia domanda, Nazareno Taddei rispose in maniera decisamente affermativa sia con le parole sia con i segni del linguaggio non verbale, il tono della voce, il gesto della mano, l’espressione piena e chiara del volto. «Ma i suoi film sono facili», replicai. «Ma i suoi film vanno letti», disse.
Di fronte alla sua sicurezza e alla autorevolezza che gli riconoscevo, iniziai – in fiducia, piú che con convinzione – il lavoro propostomi.
Tuttavia in sottofondo, dietro la ricerca esplicita ed ufficiale sul pensiero e sul valore delle opere di Blasetti, dentro di me seguivo una seconda ricerca per confermare o smentire il dubbio, che provavo, di una sopravvalutazione da parte del Taddei della figura di Blasetti. «È un regista facile, cosa c’è da ricercare?!» mi ridomandavo.
Grazie a Taddei entrai in contatto con Blasetti che si dimostrò con me, da lui definito «il giovane di Nazareno Taddei», gentilissimo, affabile e molto generoso (mi consegnò tanti materiali e la ponderosa documentazione della sua vita artistica, permettendomi di portarli, per tutto il tempo necessario, presso il CSCS).
Tanta cortesia sollevò in me un nuovo dubbio: «Blasetti si comporta cosí perché coglie l’importanza di uno studio proprio del Taddei (anche se attraverso un suo strettissimo collaboratore), oppure perché, comunque, è oggetto di interessamento e studio? Avrebbe avuto lo stesso atteggiamento con un qualsiasi altro critico?»
A questo punto, oltre la ricerca esplicita (di tipo storico-critico-semiologico), mi sono ritrovato con due interrogativi personali. Primo: è fondato il giudizio favorevole di Nazareno Taddei? Come dire: Blasetti è un autore che veramente vale? Secondo: è fondata la piena collaborazione di Blasetti? Come dire: Blasetti sa veramente in che cosa consiste la portata originalissima della metodologia del Taddei?
Oggi, a poco meno di quattro decenni di distanza, mi fa sorridere il fatto d’aver creduto di dover essere io a porre gli interrogativi sulla consapevolezza del Taddei quanto a Blasetti e di Blasetti quanto a Taddei; Blasetti essendo sulla settantina, Taddei sul mezzo secolo ed io con la metà degli anni del Taddei.(2) Tuttavia, grazie a quella mia ingenuità indagatoria posso ora testimoniare con fondate ragioni i contenuti dei rapporti tra Taddei e Blasetti.
Nel condurre la ricerca (esplicita), che si svolgeva attraverso colloqui tra me e Blasetti, attraverso studi miei personali, attraverso resoconti circostanziati presentati al Taddei e da lui sottoposti a giudizio, poi nuovi contatti con Blasetti e cosí via, mi comportai come un investigatore «in proprio»: assieme alla ricerca, mettevo sotto esame tanto Taddei tanto Blasetti.
Taddei superò la prova: la sua stima per Blasetti, uomo di comunicazione cinematografica, aveva fondamento. Procedendo nella ricerca ebbi modo di constatare come il Taddei riuscisse, grazie alla lettura strutturale, a far parlare i film di Blasetti, proprio «perché» questi avevano «qualcosa» di originale e di importante da dire.(3)
Per ragioni di spazio mi limito ad una piccola rassegna di risultati comprensibili attraverso la lettura del segno. Nel film IO, IO, IO... E GLI ALTRI (che a me sembrava facilissimo) anche singole immagini parlano, a proposito dell’egoismo. Un’inquadratura, brevissima, è tutta sfocata: si vedono macchie scure su fondo chiaro (il film è in bianco e nero). Quando l’immagine mette a fuoco ciò che è rappresentato, si vedono molte persone in campo lungo e inquadrate dall’alto. Ecco l’originale comunicazione filmica di chi sono gli altri, secondo la riflessione blasettiana. Sono macchie; gli altri sono indistinti. Il campo lungo: gli altri sono lontani e sono piccole entità tutte uguali; inconoscibili. Dall’alto: gli altri sono sempre sotto di noi. E l’io? Lo dice bene, per esempio, l’inquadratura in cui il protagonista sogna, durante un incubo, di essere in mezzo alla strada, solo con camicia e cravatta, senza calzoni. Sopraggiunge un amico (il commendatore Trepossi, interpretato da Vittorio De Sica) e non si accorge delle condizioni di disagio del protagonista. La moglie e gli sistema la cravatta. Ecco che cosa è l’io, cioè l’egoismo: ciò che non si accorge di te, per quello che tu sei. Al contrario, l’altruismo è ciò che si interessa di te (l’amico Peppino, l’attore Marcello Mastroianni, che raggiunge e porta in salvo il protagonista). Di piú: l’altruismo è ciò che si accorge di te e non vuole essere un fastidio, un peso per te: la scena in cui Peppino (lo si capisce anche da queste poche righe, il personaggio positivo) esce, durante la proiezione di un film, chinato quasi a terra, per non coprire la vista agli spettatori che restano in sala; oppure quella in cui Peppino, durante un acquazzone, incontrando lungo il marciapiede altre persone che procedono in senso contrario al suo, riduce l’apertura dell’ombrello per non far cadere gocce sui passanti.
IO, IO, IO... E GLI ALTRI di Alessandro Blasetti: un film facilissimo da seguire, certo. Ma da leggere, come sosteneva Nazareno Taddei. Convenni. Cosí, progressivamente e sempre piú rapidamente arrivai a capire il fondamento della stima che quest’ultimo provava per il primo. Il dubbio iniziale cadde; anzi fu travolto un giorno in cui commentai al Taddei una dichiarazione di Blasetti a proposito del proprio film d’esordio, SOLE, girato all’età di trentanni. Il film era stato prodotto grazie ad una sottoscrizione di azioni da cento lire, lanciata da Blasetti stesso dalle pagine del periodico Cinematografo, per costituire la casa di produzione «Augustus», coraggioso esempio di cooperativa di produzione. Dissi che mi sembravano esagerate le parole, rilasciate dal regista, a proposito di quella iniziale «avventura»: «Emozione? Ma era pazzia! Momenti di pazzia quelli che vivevo in quei giorni. Io non vivevo che in teatro di posa, non avevo altro che il teatro di posa. Tutta la mia vita, la nostra vita? Era votata al lavoro.» Nazareno Taddei, sentendo il tono scettico e un po’ironico della mia voce, mi interruppe: «Ma non capisci? Non cogli la passione, la forza creatrice, l’urgenza espressiva?» Aveva alzato il braccio, quasi a spingerlo sempre piú in alto, stringendo le dita come per raccogliere un’«energia»; poi, dopo una pausa, «Va avanti a leggere l’intervista, ma come si deve». Io cambiai intonazione: «Eravamo un gruppo di entusiasti, un gruppo solido, compatto di amici ed abbiamo affrontato insieme la fame (a volte mangiavamo una pagnotta solo al giorno), ci immergevamo con gli stivali di gomma nell’acqua della palude per spingere le barche di fortuna con sopra la macchina da presa in mezzo alla palude...» Mi interruppe di nuovo, ma, questa volta, solo per sottolineare l’autenticità passionale dell’intervista; e quando io ripresi a leggere ebbi l’impressione, da alcuni segni (semplici esclamazioni o movimenti del capo che percepivo con la coda dell’occhio), che Taddei – anche se sapevo che non era vero – conoscesse già le frasi che stavo leggendo: «... come per fotografarne i miasmi, il documento di una incivile permanenza di certe zone in una nazione che si allineava tra le nazioni civili. Quindi emozione? Sí, fino al limite della citazione».(4)
Nel verso della scheda n. 1 della voce «Alessandro Blasetti» dove la «mia» ricerca è confluita, si trova questo passo che, anche se, come è ovvio, è da me condiviso, autorialmente va riconosciuto al Taddei: «Può essere indicativa [...] la dichiarazione sulle riprese di SOLE rilasciata da B. stesso, ben trentotto anni dopo, in cui, però, rivive in maniera straordinariamente fresca il ricordo di quei giorni: “Emozione? Ma era pazzia!” [...]».(5)
Anche Blasetti superò la prova, proprio nel senso che egli mi convinse a riguardo della sua consapevolezza dei risultati critici cui portava la metodologia della lettura strutturale del Taddei.
Implicitamente la totale libertà che mi ha lasciato (non mi ha mai suggerito o richiesto di scrivere frasi o giudizi da lui preconfezionati) è un segno della fiducia che la mia condizione di «giovane di Nazareno Taddei» godeva.
In maniera esplicita, i vari commenti che Blasetti, a sua volta, pronunciava sulle «revisioni» che il Taddei apportava a certe mie frasi nate da precedenti nostri colloqui, revisioni che io gli sottoponevo non solo per correttezza, ma anche per «esaminarlo» alla luce del mio iniziale e pregiudiziale dubbio, rivelavano, per via induttiva (non aveva, infatti, studiato direttamente le trattazioni teoriche di Taddei), la comprensione dei principi che noi taddeiani sappiamo basati sulla distinzione tra «realtà» e «segno», «cosa rappresentata» e «rappresentazione della cosa», «azione» e «significazione».
Un giorno, spontaneamente, a conclusione di vari rilievi, mi disse, apertis verbis: «Nazareno Taddei, assieme ai russi, è il piú grande teorico che io conosca.» Parole pesanti; molto pesanti se si tiene conto che Blasetti, dopo alcune esperienze didattiche, fu chiamato come docente di regia, sceneggiatura e recitazione, nel 1935, dall’allora direttore del Centro Sperimentale di Cinematografia, Luigi Chiarini(6). Inoltre conobbe e culturalmente si rapportò e confrontò, nel tempo, con significativi autori e teorici cinematografici come G. Alessandrini, A.G. Bragaglia, P. Germi, U. Barbaro, G. Carancini, F. Pasinetti, M Serandrei, L. Solaroli e diversi altri.
Anche per Balsetti devo dire che il mio iniziale dubbio non solo svaní, ma finí travolto – come per Taddei – in una particolare circostanza.
Conoscevo, per averla sentita direttamente a voce (credo infatti che sia inedita), la lettura che Nazareno Taddei aveva fatto del film New York ore 3: l’ora dei vigliacchi di Lerry Peirce. Il film narra la storia di due giovani balordi newyorkesi che una notte (alle tre appunto) entrano in un vagone della metropolitana e terrorizzano i vari passeggeri che rappresentano le tipologie della società: una giovane coppietta, una coppia attempata, un uomo di colore, un ubriacone intontito e cosí via. A differenza di altri critici di cui avevo letto la recensione (alcune anche molto favorevoli), Taddei metteva in evidenza il fatto che l’accusa, mossa dal regista contro l’incapacità di opposizione dei passeggeri di fronte agli atti prevaricatori dei due, perde molto della propria efficacia perché i personaggi sono fatti reagire, dall’autore, a turno (e quindi una reazione c’è), ma non in accordo simultaneo tra di loro; e che il film non dà le ragioni della mancata solidarietà tra le vittime. Questa osservazione, a quanto mi risultava, era solo del Taddei.
Nel materiale che mi aveva dato Blasetti c’erano anche documenti sulla sua attività di critico (soprattutto in anni giovanili), ma anche, per quanto ridotta, in anni seguenti. Un giorno trovai il ritaglio di una pubblicazione. Ebbene Blasetti scrisse una recensione proprio del film New York ore 3: l’ora dei vigliacchi e in questa sua critica trovai gli stessi rilievi espressi da Taddei. Questa straordinaria coincidenza di risultati analitici va ad aggiungersi e a dare il proprio rinforzo alla consonanza culturale tra il grande teorico e il grande regista.Grazie alla occasione rappresentata dalla ricerca divenni una sorta di ambasciatore, oggi si direbbe di interfaccia, tra Nazareno Taddei e Alessandro Blasetti.
Verso la conclusione del lavoro, un giorno, Blasetti mi disse di chiedere a Padre Taddei la disponibilità per un incontro in limine vitae. Parole inequivocabili di una scelta. Blasetti voleva confidarsi, aprirsi, confessarsi. Evidentemente, nel corso di questa mia ricerca che era fatta per conoscere lui, egli aveva avuto modo di conoscere lo spessore umano di Taddei. È divertente pensare che, mentre io, sotto sotto, indagavo se c’era in Blasetti la consapevolezza del valore culturale di Taddei, lui, probabilmente, andava valutando se Taddei addirittura poteva essere quell’uomo da eleggere e sentire vicino, quando si vuole fare la summa della propria vita nella prospettiva del «grande passo».
Era la fine del 1970. Alessandro Blasetti, nato nel 1900, vivrà ancora piú di tre lustri, per morire nel 1986, dopo aver avuto con padre Nazareno Taddei un lungo e segreto colloquio. La segretaria del CiSCS, Gabriella Grasselli, se non ricordo male, mi disse che quei due uomini parlarono per un intero pomeriggio e che quando ricomparvero nel corridoio del Centro erano fraternamente commossi.
Durante le esequie di Blasetti, Taddei, celebrante, fece sentire ai fedeli riuniti in chiesa, la registrazione di alcune frasi pronunciate da Blasetti. Non so quando furono dette. Ma sicuramente sono successive alla data della pubblicazione della già citata voce «Alessandro Blasetti» (20.3.1971), in cui nella sezione «Filmografia ragionata» avevo testualmente citato da Lo Schedario-base un precedente studio di Taddei (indicato con la sigla NAT): «[...] la poliedrica attività di Blasetti, è difficile da sottoporsi ad un solo sguardo panoramico. Emergono alcune punte, tra le quali certamente è prima la sua costante dirittura morale al di là di schemi o di formalizzazioni. È infatti su questo piano di profondità che va giudicato l’uomo sotto il profilo sia umano sia ideologico, religioso, politico.»(7)
In quella registrazione fatta sentire durante le sue esequie, Blasetti parlava proprio della sua tensione a ricercare valori; in un ottica di umiltà, mi pare di ricordare, ma non in contrasto con quanto Taddei, in anni non sospetti, aveva scritto di lui.
(1) È singolare che nel citato numero di Edav lo stupore prodotto in me dalla lettura di Nazareno Taddei a proposito del film LA VIA LATTEA sia lo stesso che si ritrova autonomamente espresso da un altro collaboratore del CiSCS, Franco Sestini.
(2) Negli aspetti piú ingenui di quel mio atteggiamento, oltre ai limiti dell’età ancora culturalmente giovanile (indiscutibili, tanto che valgono per la quasi totalità degli individui di epoche diverse) c’era anche, probabilmente, la suggestione – come minimo – del clima di quel periodo. Un mio coetaneo, stimato e sensibile amico, afferma, da qualche anno, che la nostra generazione (quella nata appena dopo la fine della seconda guerra mondiale) è stata una «generazione maledetta», nel senso che su di lei si è riversato come una maledizione quanto di peggiore il conflitto bellico aveva lasciato in eredità agli uomini (a livello macromondiale, fu la «guerra fredda»). Cosí anche se godemmo di un inedito benessere materiale (non soffrimmo la fame come fu sofferta in precedenza negli stessi luoghi dove siamo cresciuti) siamo stati investiti da orribili brutture culturali e ideologiche, con le conseguenze piú disparate (venute in emersione quando la generazione del dopoguerra raggiunse le soglie dell’età adulta, verso gli anni ’70 appunto). In me – che pure credevo, allora, di essere fuori dalle influenze delle correnti – la conseguenza fu, tra gli altri, un atteggiamento sospettoso verso ciò che veniva dall’alto, da quanto rapportabile a un vago concetto di sistema e di organizzazione.
(3) Il lettore di Edav può constatare direttamente, consultando Lo Schedario Cinematografico alla voce «Alessandro Blasetti», o anche su Edav, il numero 146 e la lettura del film IO, IO IO... E GLI ALTRI nel volume di Nazareno Taddei 10 film da salvare e ancora in Edav, n. 295.
(4) Intervista di A.L. Lucano, pubblicata su La Rivista del Cinematografo, 1966, n.4, ripresa parzialmente nel citato Schedario Cinematografico, alla voce «Alessandro Blasetti.»
(5) Le parole «ben trentotto anni dopo, in cui, però, rivive in maniera straordinariamente fresca il ricordo di quei giorni: «Emozione? Ma era pazzia! [...]» sono una mia fedele trascrizione su carta di parole pronunciate da Nazareno Taddei.
(6) Luigi Chiarini, tra l’altro, fu anche direttore della Mostra internazionale d’arte Cinematografica di Venezia. Significativa figura della cultura cinematografica è autore di numerosi studi.
(7) Giova riportare almeno le due frasi successive. «Segue immediatamente il contributo multiforme dato al cinema italiano e forse al cinema universale. Se si pensa anche solo alla sua prima attività critica che maturò quasi immediatamente in un’attività produttiva e realizzativi in forme che prescindevano dalla normale organizzazione industriale, giú giú fino alla sua collaborazione al nuovo mezzo televisivo, ci troviamo di fronte a quarant’anni di attività che ha saputo tenere la testa fuori dall’acqua – e, ciò che è notevole, senza servilismi, nonostante i gravi sommovimenti intercorsi.»