Identità cristiana e radici culturali d'Europa. Il caso storico di Isabella di Castiglia
di LUIGI ZAFFAGNINI
Edav N: 354 - 2007
La lettura della storiografia e il metodo Taddei.
È possibile e scientificamente legittimo estendere il metodo della lettura strutturale, che Taddei ha coltivato e usato in materia di linguaggi massmediali, al modo di fare ricerca e al modo di indagare sui fenomeni storici? A prima vista sembrerebbe una invasione di campo nel territorio gelosamente custodito da una storiografia, che in Italia si ispira alla tradizione francese e a quella anglo-sassone, ma, andando un poco piú in profondità ci si accorge che, anche in questo importante settore della cultura occidentale, non sfigurerebbe assolutamente un atteggiamento critico diverso. Avvalendoci della metodologia Taddei e richiamandoci alla sua fondamentale distinzione tra significato della cosa in sé, significato della cosa rappresentata e significato della rappresentazione, abbiamo collocato la ricerca storica e piú in generale la ricerca in campo culturale e antropologico, al servizio di un orientamento di pensiero che potremmo chiamare di «Realismo e Comunicazione» o di «Realismo Comunicativo».(1) In tale orientamento di pensiero si sintetizzano filosofia, antropologia culturale e semiologia in modo tale da permettere la comprensione adeguata del valore e del limite del concetto di «documento storico», in funzione di conoscenza dell’idea dell’autore che lo ha redatto e, conseguentemente, dello svolgimento dei fatti che vi sono sottesi. Detto in parole molto piú semplici si tratta di estendere alla storia l’atteggiamento metodologico che vuole ogni affermazione accompagnata dalla relativa giustificazione documentale e/o dalla presenza/assenza di interpretazione degli storici, collocate al livello che loro spetta. Non è questa certo la sede per sviluppare tutta una serie di considerazioni teoriche che illustrino la formula e la natura del Realismo Comunicativo, ma piuttosto quella di presentare i tratti piú importanti di esso, attraverso l’esempio del risultato di una ricerca su un controverso periodo storico. Sulla base di una sistematica identificazione e valorizzazione dell’aspetto comunicativo nel documento e nella operazione di ogni storiografo si riesce a distinguere tra i livelli di significato dell’evento in sé, dell’evento documentato e della documentazione dell’evento, per giungere, non tanto a una revisione storica, bensí a una vera e propria alternativa alla vulgata storica ad usum Delphini, cui purtroppo siamo stati per tanto tempo abituati nelle nostre scuole e università.
Sotto questo profilo allora diventa interessante l’imponente documentazione raccolta (ma, purtroppo sconosciuta in Italia) sulla figura di Isabella di Castiglia e sulla nascita del moderno stato spagnolo, che ha fondato sul cristianesimo quella identità che l’attuale governo Zapatero sembra voler dimenticare. L’anno 2004 è stato quello del quinto centenario della morte di Isabella e la Spagna, grazie all’Archidiocesi di Toledo, ha organizzato una splendida e accuratissima mostra (dal giugno al novembre 2005) sulla figura e sul tempo di Isabella, costruendo un mirabile e scenografico percorso proprio nella Cattedrale di Toledo, corredata da una tanto preziosa quanto voluminosa raccolta di documenti(2).
«Ovviamente» in Italia non se n’è fatta parola e l’evento, di portata mondiale, non ha sollevato il minimo interesse.
Sulla base di inoppugnabili studi di calibro internazionale(3) e di documenti dell’epoca(4), appare per contrasto quanto sia stata grande e sistematica la diffamazione nei confronti di Isabella da parte di una pubblicistica prevenuta o che utilizza i documenti stessi in modo riduttivo(5).
Nessuna meraviglia! Come diceva Orwell: «Chi controlla il passato, controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato».(6) Però, oggi, gli uomini di buona volontà e intelletto, se vogliono(7), possono apprendere versioni non arbitrarie degli eventi, che fanno emergere una realtà di tempi tutt’altro che oscuri.
Isabella di Castiglia, dopo essere stata letteralmente messa all’asta dal fratellastro Enrico IV(8), decise autonomamente di scegliersi il suo sposo e avviò una riforma dello stato, incomparabile anche con quelle dei nostri giorni, grazie a una personalità forte e decisa, spiritualmente coerente col vangelo e civilmente coraggiosa(9) Essa ricevette una Spagna, messa all’angolo dalla invasione islamica e dallo strapotere delle lobbies nobiliari e ne fece uno stato moderno, assai prima di tante altre nazioni europee. Come? Sottomettendo tutta la nobiltà parassitaria («Fue destruida la soberbia de los malos caballeros che eran traidores y desobedientes a la Corona Real» (10) )e facendole restituire dal 30 al 60% delle prebende(11). Togliendo il diritto di voto a nobili, vescovi, arcivescovi del consiglio di stato(12) e attribuendolo solo agli esperti (letrados) usciti dalle università e dalle scuole di perfezionamento giuridico e amministrativo, da lei appositamente istituite o promosse e incoraggiate.
Rendendo sicure le strade e le città («Por ella fue librada Castilla de ladrones y robos»(13)). Istituendo la Hermandad, una «pubblica sicurezza e protezione civile» ante litteram e facendo amministrare la giustizia nei tribunali in suo nome erga omnes indifferentemente. Promovendo infine le rappresentanze elettive nelle varie comunità cittadine e rurali(14).
Ma le cose veramente sconosciute a una mentalità storicamente conformista sono quelle che si riferiscono alla questione ebraica, alla guerra islamica seguita alla presa di Granada del 1492, alla riforma della chiesa e alla spedizione di Cristoforo Colombo.
Sul primo di questi aspetti, una documentazione insospettabile, tra cui spicca, ad esempio, l’Enciclopedia Ebraica, è ormai probante di verità scomode e a lungo taciute, che gettano una luce, aliena da partigianerie di sorta, sul comportamento inaffidabile degli ebrei neoconvertiti(15).
Gli ebrei rifugiati in Castiglia per le persecuzioni arabe e cacciati dalle altre nazioni(16) erano tutt’altro che cittadini di serie B. Al contrario godevano di privilegi ed esenzioni, perché si definivano solo come ospiti, appartenenti alla nazione e alla etnia dei figli di Israele(17).
Essi, insieme con quelli che si erano nel corso del tempo spontaneamente convertiti(18) al cristianesimo (conversos), erano arrivati sostanzialmente, attraverso matrimoni e discendenze, ad appartenere all’alta nobiltà, all’alto clero e all’alta finanza, fino a costituire un vero e proprio stato nello stato. Quando si va ad esaminare attentamente la composizione della società spagnola del XV secolo si scopre, con una certa sorpresa, che perfino l’Inquisitore generale Tomàs De Torquemada era un converso di pura origine ebrea, come lo erano il nonno di Santa Teresa d’Avila e il confessore di Isabella, Fernando de Talavera e tanti altri illustri personaggi della cultura.
Se il 31 marzo 1492 si giunse al decreto di revoca del diritto di soggiorno per gli ebrei da parte di Ferdinando e Isabella, quindi, ciò fu dovuto a una complessa situazione, in cui il primo obiettivo de los Reyes era quello di garantire la pace sociale(19) e la omogeneità di trattamento dei sudditi di una comunità civile, improntata a quel tempo al proselitismo religioso come fatto imprescindibile per la pace interiore e collettiva(20).
Ma non si insisterà mai abbastanza nel precisare che gli ebrei non erano giuridicamente sudditi, ma ospiti «temporanei», anche per loro precisa scelta, in quanto vincolati da sentimenti di appartenenza a etnia, cultura e religione diverse(21).
Non agli ebrei ortodossi e rimasti tali, tuttavia, la responsabilità di un deterioramento della convivenza pacifica tra sudditi vecchi cristiani, ospiti ebrei e neoconvertiti, va addossata, bensí a quella parte di neo-cristiani, conversos per interesse. Essi, con una condotta ambigua(22), cercavano di avvalersi sia degli antichi correligionari, sia dei nuovi, per continuare a manomettere abusivamente le cariche pubbliche, la gerarchia episcopale, i titoli nobiliari, la stessa predicazione religiosa, strumentalizzando parte del clero e sobillando parte della popolazione, in funzione di vere e proprie sollevazioni civili, ma anche a proprio concreto vantaggio(23).
Non a caso l’Inquisizione, da quando fu istituita, non ebbe mai nessuna giurisdizione sugli ebrei rimasti tali e mai nei loro confronti celebrò alcun processo («La Inquisicòn nunca juzgò a ningún judío porque sòlo podía actuar contra cristianos herejes, es decir, contra bautizados»(24)), ma investigò solamente su un numero relativamente ristretto di conversos responsabili di una leadership giudaizzante a fini esclusivi di potere e di sedizione, fini, si noti bene, perseguiti assai prima che il Tribunale operasse(25).
Il problema islamico, invece, rappresentò un grosso nodo per Isabella, perché il trattamento benevolo, che, dopo la conquista di Granada del 2 gennaio 1492, essa riservò agli arabi(26) fu un frutto avvelenato che per piú di un secolo intossicò prima la Spagna, poi l’occidente intero e che poi lascerà il suo amaro sapore fino ai nostri giorni.
Degli arabi dell’Andalusia si è spesso scritto, in passato, in modo ingenuo da parte di una pubblicistica «romantica»(27) e si continua ancora a scrivere, in piena epoca del web(28), in termini assolutamente inadeguati.
Sedotti dalle bellezze architettoniche di Granada e di Cordova e dal fascino di un esotico multiculturalismo a la pàge, molti si autoconvincono che una società che generava tali capolavori non poteva non permettere la pacifica convivenza di tre etnie (arabi, ebrei e cristiani) (29).
Invece, alla verifica di studi piú approfonditi, gli arabi, visti nel loro processo di conquista di al-Andalus (cosí essi chiamavano la Spagna), rivelano un comportamento assai poco convincente sotto il profilo della pacifica convivenza con altre culture(30).
Questo processo di conquista della Spagna, iniziato già nel 711 e completato in soli sette anni, quando tutto il territorio della penisola, tranne le Asturie e il Paese Basco, diventa possesso arabo, richiede ben sette secoli di guerra di liberazione (la cosiddetta Reconquista) e termina solo nel 1492. E, in sette secoli, il dominio islamico si caratterizza piú fondamentalista e meno tollerante di quanto si pensi(31), nonostante non si voglia negare l’apporto al progresso dell’agricoltura e degli studi matematici, dato dagli arabi alla cultura del territorio da loro occupato(32).
Se pure devono, per forza, esserci stati momenti di convivenza con le culture ebraica e cristiana di quanti, in condizione di sudditanza, non poterono o non vollero abbandonare il territorio islamizzato, ciò non toglie che, periodicamente, i musulmani, in preda a qualcuna delle tante crisi di fanatismo, che ancor oggi sono sotto gli occhi di tutti, siano stati capaci di numerosi eccidi nonché di bruciare tutti i libri di scienza e filosofia, compresi quelli arabi di Avicenna e di Averroè, per lasciare solo il Corano(33)
Quella magnifica Alahmbra, che avevano costruito, grondava sangue degli schiavi negri del Sudan e lacrime degli schiavi cristiani catturati dai pirati Berberi su tutte le coste del mediterraneo(34).
In tutto il corso dell’operazione, iniziata nel 1482, Isabella non ottenne che poche decine di autentiche conversioni, sia con le «messe in arabo» di Hernando de Talavera, sia con il piú rigido arcivescovo Cisneros (35). Tanto l’atteggiamento comprensivo, quanto quello drastico (Bautizarse o marcharse), non produssero sconvolgenti effetti religiosi, ma solo una instabile e violenta coesistenza popolare.
Infatti, nel primo caso i cristiani toccarono con mano che l’appartenere alla popolazione dei musulmani si trasformava in una condizione privilegiata di conservazione di religione, di cultura e di potere e, nel secondo caso, i musulmani, che non volevano trasferirsi altrove, convertitisi di nome, scoprirono quanto fosse facile eliminare sacerdoti e cristiani, in esigua minoranza, dopo che si erano visti applicare in massa l’etichetta di convertiti (moriscos). I musulmani perciò rimasero sostanzialmente musulmani, perché la conversione diveniva per loro un semplice modus vivendi fra cristianesimo di principio e Islam di fatto(36).
Dopo il 1492 continuarono, per anni, a provocare feroci ribellioni e massacri(37), aiutati in ciò dai correligionari d’oltremare, anche perché, da un punto di vista demografico, crebbero piú dei cristiani a causa della poligamia e della assenza di celibato.
L’espulsione dei mori, alla quale solo tardivamente, nel 1502, Isabella si convinse per troppa indulgenza(38), non poté risolvere il problema e l’eredità che essa lasciò ai suoi successori fu dunque pesantissima(39).
Cristoforo Colombo, sulla cui origine genovese recentissimi studi avanzano piú di un motivato dubbio(40), è stato spesso rappresentato come l’avventuroso marinaio che trova in Isabella la fiduciosa protettrice. Oggi egli viene, invece, ascritto a una probabile famiglia nobile di navigatori catalani che aveva combattuto al soldo dei portoghesi contro la Spagna(41) e, a una lettura attenta dei dati in possesso dei ricercatori, mostra di essere stato meno galantuomo e meno buon cristiano(42) di quanto una retorica celebrativa abbia voluto far credere.
Il suo viaggio fu preparato sulla base dell’esperienza di un altro navigatore di Huelva, identificato poi come Alfonso Sanchez, che aveva raggiunto l’America prima di lui e del cui diario Colombo si era impossessato alla sua morte(43). L’esosità poi delle sue richieste lo rese assai poco gradito a Isabella(44).
I finanziamenti per la prima spedizione furono anticipati dalle casse della Hermandad che fu poi rimborsata dalle questue della diocesi di Badajoz(45). A occuparsi dell’operazione amministrativa fu il contabile converso Luis de Santàngel e questo suggerí alle menti maliziose di alcuni storici (Béatrice Leroy ed Henry Kamen tra questi) l’opportunità di insinuare che, da parte dei sovrani, «cattolici senza scrupoli», si era costretta la comunità ebraica a «svenarsi» per un finanziamento che giovava solo all’egemonia cattolica. Quindi non ci fu nessun finanziamento da parte di banchieri ebrei46 e tanto meno la regina impegnò i suoi gioielli.
Quando il navigatore, poi, tornò con alcuni pappagalli, sette indios e qualche monile d’oro, non ci furono né celebrazioni né festeggiamenti(47).
Ma ciò che impone una revisione corretta dei rapporti tra Colombo e la regina cattolica è la documentazione(48) che prova la crudeltà di Colombo e dei suoi fratelli(49). Crudeltà che ben due volte costrinse Isabella a rimandare in America navi di schiavi che essi avevano inviato perché fossero venduti sui mercati arabi ed europei in quanto «merce» su cui vantavano il diritto del 10% (50).
Ma la misura è colma. Isabella, sentendosi tradita nella fiducia e offesa dalla manifesta disobbedienza all’ordine di rispettare gli indigeni come sudditi della Corona, farà arrestare e tradurre in catene il mercante di schiavi Cristoforo(51). Lo priverà dei privilegi, lo destituirà dal ruolo di comando e dal beneficio delle rendite e lo lascerà morire dimenticato(52), come forse non meritava, con una pensione da trasmettere agli eredi insieme con il titolo «platonico» di marchesi di Giamaica e di duchi di Veragua, che li avrebbe indennizzati per le rendite perdute a causa dell’avidità paterna(53). Forse questa può apparire insolita durezza, ma se si pensa all’imperativo isabellino di evangelizzazione delle nuove terre in nome della uguaglianza tra tutti gli uomini, figli di Dio, si comprende quanto per la regina fosse significativa la tutela della dignità umana di coloro che erano piú esposti alla violenza.
In questa luce va dunque compreso anche quanto Isabella stessa farà per riformare la chiesa, il costume e la preparazione dei religiosi. Si tratta di una vera e propria riforma «laica» della chiesa(54), voluta e diretta da una donna (un po’ meno dal re) e che non riguardò solo gli aspetti del costume morale e comportamentali del clero secolare e regolare (ad esempio la confisca dei benefici ai preti concubini e la moralizzazione dei conventi)(55), ma soprattutto la funzione spirituale e la preparazione degli uomini di chiesa nei Collegi maggiori (seminari) e nella conduzione della vita pastorale.
Le Costituzioni, curate per ordine di Isabella da Alfonso Manrique, indicano puntualmente i doveri di amministrare i sacramenti, la vita pastorale e culturale, nonché l’espletamento del servizio divino in generale e gli obblighi di carità e assistenza in concreto(56).
Isabella e Ferdinando esigono che i vescovi siano scelti secondo criteri rigorosi di cultura, probità morale e valore spirituale, tanto che, in pochi anni, anche l’alto clero non assomiglia piú a quello che Isabella ha trovato al suo arrivo al trono(57).Su 132 vescovi di nomina reale solo pochi vengono dall’alta nobiltà e sono comunque letrados (laureati), tutti gli altri, piú dell’80%, vengono dalla borghesia, dalla medio-piccola nobiltà e dal popolo, ma tutti debbono aver studiato all’università, e chi non ha le possibilità può addottorarsi attraverso provvidenze economiche degli ordini religiosi. Anche per questo il Cristianesimo in Spagna diventerà popolare e riferimento affidabile sia culturale che concretamente assistenziale per tutti58. Ma Isabella opererà anche direttamente contro il potere di prelati e di papi spagnoli e indegni, come Alessandro VI Borja. Si tratta di una vera e propria «dolorosa ribellione» di Isabella nei confronti della chiesa corrotta e della sua gerarchia suprema dal comportamento poco austero.
Contro Sisto IV, che vuole imporre, a Salamanca prima, e a Siviglia poi, il Cardinal Riario, colà non residente, la risposta è una sola: no! Quando il figlio di Rodrigo Borja, Luis si presenta a Siviglia per prendere possesso dell’arcivescovado, Ferdinando, su suggerimento di Isabella, lo fa arrestare e sequestra tutti i beni dei Borja da Valencia alla Sicilia. Quando Innocenzo VIII invia in Spagna il legato Angelo Gerardini per mediare, sempre per mezzo di Ferdinando, lo fa respingere alle frontiere(59).
Un fossato morale e spirituale, quindi, separa Isabella da Roma, un fossato che diventa un abisso quando al soglio sale proprio uno spagnolo: Alessandro VI Borja. E, poiché non è possibile che una regina, per quanto carismatica, destituisca un papa, ancorché indegno, ma pur sempre capo di stato straniero, Isabella instaura con lui un braccio di ferro, teso a ottenere, per la Spagna, una vera e propria raffica di concessioni e provvedimenti utili alla «sua» riforma religiosa, consapevole che, se si potessero applicare a Roma, costituirebbero la piú esplicita sconfessione del papa stesso(60). Per questo non è azzardato affermare che, in tutta la riforma isabellina, emergono l’esercizio di una rettitudine morale e una lungimiranza(61) che, se in altri paesi fossero state imitate, avrebbero forse risparmiato al cattolicesimo romano il trauma della riforma protestante.
Il processo di beatificazione e il testamento.
È ancora pendente il processo di beatificazione, iniziato nel 1957. Esso ha subito una inspiegabile battuta d’arresto il 20 maggio 1993, quando, in una lettera della Segreteria di Stato Vaticana si afferma che «le circostanze suggeriscono approfondimenti e un tempo conveniente di studio e riflessione»(62).
Quali sono i motivi e le circostanze, che, ancora dopo tredici anni, non vengono ufficializzati ma, al tempo stesso, non sono stati sufficientemente approfonditi, nonostante la mole di 27 volumi di documenti?
La questione della revoca del permesso di soggiorno agli ebrei, che a volte è stata indicata come il vero motivo impugnato dalla comunità ebraica internazionale, è stata abbondantemente risolta.
Restano le opposizioni di intellettuali atei, laicisti e obbedienti alle logge, che, però, non si comprende quale peso debbano avere nello stabilire chi deve e chi non deve essere santo, visto che la cosa non li impegna a nessuna loro presente o futura venerazione della figura di Isabella.
Restano poi le amenità di personaggi, poco documentati in materia, come il senatore Cossiga, che dichiarò apertamente alla stampa che si sarebbe «dimesso da cattolico» se fosse stata beatificata Isabella(63).
Restano infine, e sono le piú inquietanti, le paure e le disinformazioni dei tanti cattolici che, di fronte all’Islam violento e di fronte ai retrogradi sostenitori della «leggenda nera», non se la sentono di testimoniare l’importanza della loro cultura e della loro fede, sempre che ne siano in possesso. Per questo, come testimonianza di una cristallina integrità di coscienza fino all’estremo, risalta ancora piú luminosamente il legato testamentario64 della Reina Isabel, le cui ultime parole furono tutte per la tutela dei piú poveri, per i quali aveva sempre fatto costruire ostelli e ospedali, per il riscatto dei prigionieri ancora in mani arabe e per gli indios d’America, che venivano espressamente confermati sudditi a tutti gli effetti, equiparati agli spagnoli, e con tutti i diritti connessi. Quegli indios che ancora la invocano come madre nuestra, insieme con la Virgen de Guadalupe, ammirandone la virtú e il coraggio piú di quanto non abbiano voluto fare quegli europei, che dal suo insegnamento avrebbero tratto e trarrebbero, anche oggi, un valido motivo di ispirazione per la difesa della loro cultura e per la risoluzione di pressanti problemi di difficile convivenza. (Luigi Zaffagnini)
1 Con la formulazione «Realismo Comunicativo» intendiamo qualificare un orientamento del pensiero teoretico nell’ambito della scienza della comunicazione. Esso vuole sottolineare l’importanza che la realtà, nel senso piú ampio del termine, assume come retroterra cui è indirizzata la fase conoscitiva del processo comunicativo. Tale fase è imprescindibile per l’uomo in ogni comunicazione intellettiva. Il determinante peso attribuito alla realtà, circa la quale si può cogliere poi il valore di una testimonianza, richiede di superare la dimensione puramente quantitativistica, insita in tutte le formulazioni della scuola di Praga, a loro volta derivate dalla teoria dell’Informazione di Shannon, per attingere la dimensione ben piú importante degli aspetti qualitativi della comunicazione di idee. Questa dimensione qualitativa è oggi solidamente rappresentata dalla scuola di pensiero di Nazareno Taddei e dai suoi studi nel settore del linguaggio dell’immagine che egli chiama «contornuale». Tale scuola ritiene essenziale smarcarsi dal soggettivismo di stampo esasperatamente psicologico, valorizzando invece, nelle relazioni comunicative umane, il denominatore antropologico e la corretta indagine semiologicamente strutturata dei messaggi. Per quanto attiene alla impostazione di Nazareno Taddei si veda qualcuna delle sue opere edite da Edav – Ciscs – Roma.
2 Aa. Vv., Isabel, la Reina Catòlica. Una mirada desde la Catedral Primada, Toledo, 2005 pagg. 695.
3 La pubblicazione che ha accompagnato la mostra contiene i contributi di studio e di ricerca di molte università e accademie scientifiche e musei della Spagna e quelli di università e istituzioni culturali straniere, tra cui Oxford e Ginevra.
4 Citiamo, tra i tantissimi, solamente il documento «Los Reyes Catòlicos suspenden el cobro de las rentas de los beneficiados no residentes», dato in Toledo il 24 febbraio 1477 e le «Leyes de la Santa Hermandad» (1486), che si inscrivono nella vasta attività di riforma ecclesiastica e civile. Cfr. Aa. Vv., Isabel, la Reina... cit. pagg. 213, 217.
5 A titolo indicativo della produzione di taglio antiisabellino, segnaliamo: Borioni A., Pieri M., Maledetta Isabella, maledetto Colombo. Gli ebrei, gli indiani, l’evangelizzazione come sterminio, Venezia, Marsilio, 1991.
6 Orwell G., 1984, Milano, Mondadori, pag. 38.
7 Conoscere qualcuna delle opere seguenti aiuterebbe molto.
- Bayle C., La cruz y el dòlar: propaganda protestante en la America Española, Madrid, Razòn y Fe, 1930.
- Bayle C., España en Indias, Madrid, Editora Nacional, 1944
- Zavala S., New view points of the Spanish colonization of America, Philadelphia, 1943.
- De Garbía R., Cronica oficial de las Indias ocidentales. Estudio historico y critico acerca de la historiografia mayor de Hispanoamerica en los siglos XVI a XVIII. La Plata, Lopez, 1934.
- Hanke L., La lucha por la justitia en la conquista de América, Buenos Aires, Sudamericana, 1949.
- Juderias J., La leyenda negra: Estudios acerca del concepto de España en el estranjero, Madrid, Ed. Nacional, 1960.
- Perena L., Proceso a la leyenda negra, Salamanca, Universidad Pontificia, 1989.
- Garcia Carcel R., La leyenda negra la verdad sobre la hispanofobia, Madrid, Informacion y revistas, 1992.
- Molina Martinez M., La leyenda negra, Madrid, Nerea 1991
- Maltby W. S.: La leyenda negra en Inglaterra: desarrollo del sentimiento antihispanico 1558-1660, Mexico, 1982.
- Retamar Fernando R., Caliban; Contra la leyenda negra, Lleida, Edicions de la Universitat de Lleida, 1995.
- Vaca de Osma J. A., El imperio y la leyenda negra, Madrid, Rialp, 2004.
- Arnoldson S., La leyenda negra: estudios sobre sus origenes, Stockholm, Almqvist & Wiksell, 1960.
- De Madariaga S., Essays with a purpose, London, Hollis & Carter, 1954.
- Gibson Ch., The black legend, New antispanish attitudes in the old world and in the new, New York, Knopf, 1971.
- Powell Ph. W., Tree of hate; propaganda and prejudices affecting United States relations with the hispanic world, New York, Basic Books, 1971.
8 Galindez de Carvajal, Cronica de Enrique IV, Murcia, Juan de Torres Fontes, CSIC, 1946, cap 102. Si vedano anche: Ezquerra Alvar A., Isabel la Catòlica. Una reina vencedora, una mujer derrotada, Madrid, Ediciones Themas de Hoy, 2004, pagg. 50-51. e Belenguer E., Ferdinando e Isabella. I re cattolici, Roma, Salerno Editore, 1999, pag. 397.
9 Suàrez Férnandez L., La personalidad de Isabel de Trastamara, Reina, in Aa. Vv., Isabel la Reina Catòlica... cit., pagg. 100-105.
10 Alvar Ezquerra A., Isabel la Catòlica... cit., pag. 67.
11 Dumont J., La regina diffamata, Torino, SEI, 2003, pagg. 46, 47. Edizione ampliata de L’incomparable Isabelle la catolique, Limoges, Criterion, 1992.
14 Dumont J., La regina diffamata... cit. pagg. 53, 54.
15 The Jewish Encyclopedia, New York, 1906, pagg. 318 – 322.: «They simulated the Christian faith when it was to their advantage, and mocked at Jews and Judaism.... There were also many who, for the sake of displaying their new zeal, persecuted their former coreligionists, writing books against them, and denouncing to the authorities those who wished to return to the faith of their fathers, as happened frequently at Valencia, Barcelona, and many other cities. The second category consists of those who cherished their love for the Jewish faith in which they had been reared. They preserved the traditions of their fathers; and, in spite of the high positions which they held, they secretly attended synagogue, and fought and suffered for their paternal religion... The third category, which includes by far the largest number, ... comprises those who... in their home life remained Jews and seized the first opportunity of openly avowing their faith. They did not voluntarily take their children to the baptismal font. They ate no pork, celebrated the Passover, and gave oil to the synagogue.... The Neo-Christians were hated much more than the Jews...».
16 Gli ebrei, già tenuti, sotto gli Almoravidi e Almohadi di origine Berbera, all’obbligo della residenza coatta, all’abbigliamento identificativo e a tassazioni vessatorie, erano fuggiti da Granada e dall’Andalusia dopo essere stati massacrati nel 1066 e nel 1070. Ed erano stati accolti in Spagna anche quelli che erano stati scacciati dalla Francia, dall’Inghilterra, dal Portogallo, da Vienna, da Colonia, dalla Baviera, dalla Moravia, da Firenze. (Cfr. Dumont J.: La regina diffamata... cit., pag. 85).
17 Aa. Vv., Isabel la Reina... cit., pag. 323; Messori V., Pensare la storia, Milano, S. Paolo Ed., 1992, pagg. 644 -665 «Alla pari di quanto avveniva in tutti i Regni dell’epoca, anche in Spagna la condizione giuridica degli ebrei era quella di “stranieri”, temporaneamente ospitati senza diritto di cittadinanza. E di ciò anche gli israeliti erano perfettamente consapevoli: la loro permanenza era possibile sino a quando non avessero messo in pericolo lo Stato».
19 La posizione di privilegio e di potere (soprattutto economico) di ebrei e conversos provocò notevoli sussulti sociali in città e campagne (sensibili al salasso provocato dagli interessi dell’usura), che portarono in certi casi alla restituzione degli interessi eccessivi da parte degli usurai ai debitori, fino a cifre di 1.900.000 maravedí. Quando questo non accadde si sfociò in veri e propri pogrom e in predicazioni talvolta manifestamente antiebraiche, come quelle del domenicano Juan de la Peña (1485), contro cui Isabella intervenne, schierandosi a favore della comunità ebraica (Cfr. Dumont J., La regina diffamata... cit., pag.90). Ma non sempre, in seguito, le «lettere di garanzia», date dai sovrani alle comunità ebraiche, ebbero lo stesso benefico effetto.
21 Leroy B., L’expulsion de juifs d’Espagne, Paris, Berg, 1990, pagg. 11, 47, 82, 117, 120, 134.
22 Roth C.: Storia dei Marrani, Milano, Serra e Riva, 1991, pagg. 30,31. Questo specialista ebreo afferma: «La gran parte dei conversos... lavorava in modo insidioso, a proprio favore, nei diversi rami del corpo politico ed ecclesiastico, spesso condannava apertamente la dottrina della Chiesa e contaminava con la sua influenza la massa dei credenti».
24 Alvar Ezquerra A., Isabel la Catòlica... cit. pag. 97. e Pérez J., Isabella e Ferdinando, cit., pag. 287.
25 Braudel F., La Méditerranée et le monde méditerranéen, Paris,1966, t II, pag. 154 e Jean Dumont, La regina diffamata... cit. pag. 84. Su questo argomento Tarsicio de Azcona, biografo di Isabella, in Isabel la Catòlica. Estudio critico de su vida y su reinado, Madrid, Biblioteca de Autores Cristianos, 1964, quantifica in 24 anni una cifra di condannati non superiore a quattrocento e quindi ben lontana dai 100.000 roghi in cinque anni accreditati, senza conforto documentale, dalla famosa Encyclopédie dei Philosophes francesi del XVIII secolo. La cifra di 100.000 esecuzioni non solo non è storicamente e demograficamente accettabile, ma è logicamente improponibile per il fatto che, ancora nel 1492, si contavano in Spagna 200.000 ebrei come in passato. Di questi, 50.000 non se ne andarono perché si convertirono e, dei 150.000 che scelsero l’esodo, ben 50.000 ritornarono dopo pochi mesi chiedendo di convertirsi. Se è vero che l’Inquisizione del 1478 ha cominciato a operare nel 1480, come avrebbero potuto, dopo dodici anni di tribunale e 100.000 roghi, rimanere 200.000 ebrei non convertiti?
26 Helliot J.H., La Spagna imperiale, 1469 – 1716, Bologna, Il Mulino, 1982, pag. 51,52. «I termini della resa furono quanto mai generosi. Ai mori si lasciava il possesso delle loro armi e dei loro beni; si dava loro garanzia di potere osservare le loro leggi e di praticare la loro religione; di seguire le loro consuetudini e di vestirsi nella foggia che volevano. Essi dovevano rimanere sotto il governo dei loro magistrati locali e non venivano loro imposti tributi maggiori di quelli che erano soliti pagare ai loro sovrani».
27 Tra i tanti, Chateubriand (Adventures du dernier des Abéncerages) e Washington Irving (L’Alhambra).
28 Cfr. ad es.: homolaicus.com/storia/spagna
29 Messori V., Pensare la storia, cit.... pag. 645. «La Spagna musulmana non era affatto quel paradiso di tolleranza che hanno voluto dipingerci e, assieme ai cristiani, anche gli ebrei subirono in quei luoghi periodici massacri».
30 Vanoli A., Alle origini della Riconquista, Torino, Nino Aragno Editore, 2003, pagg. 348-382.
31 Morillo Crespo A.,Vejer de la frontiera y su comarca, Cadiz, Instituto de Estudios Gaditanos, 1975, pag. 77.
33 Asin Palacios M., Abenmasarra y su escuela, origenes de la filosofia hispano-musulmana, Madrid, E.Maestre, 1914, pagg. 24, 91.
35 Helliot J.H., La spagna imperiale... cit., pag. 54 e Alvar Ezquerra, Isabel la Catòlica... cit , pagg. 104, 105.
37 Alvar Ezquerra A., Isabel la Catòlica… cit , pag. 104. «En 1501 se sublevaron… y de manera generalizada los moros granadinos, unos en Ronda, otros en el Albaicín de Granada y lo màs en Las Alpujarras».
38 Helliot J.H., La Spagna imperiale… cit., pag. 54 e Mesenguer Fernandez J., Historia de la Inquisiciòn en España y América, Madrid, 1984, pag. 381. In questa fase non vi fu battesimo forzato se non per i figli dei rinnegati cristiani, obbligati senza consenso dei genitori. Non vi furono nemmeno roghi di libri (le biblioteche pubbliche e private di scienza, medicina, filosofia e storia non furono toccate), ma solo confisca del Corano e dei detti del Profeta manoscritti, ai moriscos che rimanevano in Spagna.
39 Alvar Ezquerra A., Isabel la Catòlica… cit , pag. 105. Ribellioni pressoché costanti durarono cinquant’anni e oltre, con proporzioni dilaganti nel 1569 e 1571, finchè non dovettero intervenire le piú agguerrite truppe, note in tutta Europa, i Tercios. Nel 1609, infine, Filippo III accettò il consiglio radicale di una parte della Corte e mise fine al problema islamico, emanando il decreto ultimo di espulsione e, allora sí, si trattò di una vera e propria deportazione.
40 Per quanto non sia questa la sede per addentrarsi nello sterminato e intricato ginepraio relativo alla figura e alla biografia di Colombo, circa la nascita del navigatore, è doveroso non ignorare le cautele critiche sintetizzate da Jean-Michel Urvoy in Sur les traces du véritable Christophe Colomb in Livres & manuscrits, n° 6 – Litérature, art et histoyre, Paris, Mai 2006, pagg. 10-25. Ugualmente è doveroso sapere che, ancora oggi (novembre 2006) sono in atto ricerche di altissimo livello scientifico da parte del Laboratorio de Identification Genetica de la Universidad de Granada, sul DNA dei resti attribuiti a Colombo in Siviglia e Santo Domingo. L’Istituto ha già raggiunto rigorose conclusioni sulla autenticità dei resti e sulla possibilità di stabilire la parentela genetica e l’origine di Colombo stesso e del fratello Diego (Cfr. Las anàlisis de ADN confirman que los restos de Colòn iacen en Sevilla, El Mundo 1/8/2006 e José Antonio Lorente, El ADN de los Colòn, Colom, Colombo, El Pais 14/10/2006.
41 Tralasciando le ardite congetture di sapore scandalistico su una nascita ebrea (Giunciuglio V., Un ebreo chiamato Cristoforo Colombo, Genova, s.n., 1994) o su una investitura missionaria da parte di Papa Innocenzo VIII (Marino R., Cristoforo Colombo e il papa tradito, Roma, Newton Compton, 1991) o le promesse di un sicuro disvelamento del mistero (Da Silva Rosa M. e Steel E.J., O mistério Colombo revelado, Lisboa, Esquilo, 2006), occorre dire che c’è, non da poco tempo, tra gli studiosi, una precisa volontà di non accontentarsi della difesa ad oltranza della italianità o di una tradizione scolastica elementare. Vanno pertanto prese in considerazione quelle ricerche nelle quali la fisionomia catalana di Colombo prende forma sulla base di osservazioni documentate e tutt’altro che illogiche, che potrebbero, a breve, trovare puntuale e decisivo riscontro nell’esito delle ricerche di genetica comparata in atto sul DNA di Colombo e su quello di abitanti catalani che portano il diffuso cognome di Colom. Segnaliamo perciò doverosamente:
- Alfonso Enseñat de Villalonga, La Vida de Cristoforo Colonne. Una biografia documentada, Cuadernos Colombinos de la Casa-Museo Colón y Seminario Americanista de la Universidad de Valladolid, Gennaio1999.
- Alfonso Enseñat de Villalonga, El Colòn definitivo, Revista Historia 16, nº 326, Junio 2003.
- Augusto Mascarenhas Barreto, The portuguese Columbus, secret agent of King John II, Palgrave McMillan, 1992.
- Nito Verdera, Cristóbal Colón, catalanoparlante, Editorial Mediterrània-Eivissa, , Eivissa, 1994.
- Gerard Garrigue, Christophe Colomb le catalan, Confluences, Barcelona, 1992.
- Francesc Albardané i Llorens, Reflexions sobre l’època i l’autor del descobriment del nou món, Quaderns d’Estudis Colombins-4", Barcelona (Centre d’Estudis Colombins), 1998),
- Pere Català i Roca, Un corsari anomenat Colom, Barcelona, Rafael Dalmau editor, 1991.
- Jordi Billbeny, Cristòfor Colom, Príncep de Catalunya, Barcelona, Editorial Proa, 2006.
Molti di questi autori assicurano, su base documentale e archivistica, che Colombo nacque in Catalogna, figlio di nobile famiglia (e non di una genovese povera), e che fu un corsaro che combatté contro re Giovanni II d’Aragona durante la guerra civile per la corona. Questo spiegherebbe il fatto che, da parte de los Reyes o da parte di Colombo stesso, si occultò il luogo di nascita, perché potesse ricevere i finanziamenti necessari al suo viaggio, che sarebbero stati una incomprensibile concessione a un ex-nemico dello Stato (Giovanni II era il padre di Ferdinando d’Aragona). Questo spiegherebbe anche i ripetuti rifiuti di Isabella e il non coinvolgimento di Ferdinando e del suo «entourage» aragonese nella ricerca di fondi.
Anche se occorre stabilire quanto, dietro le posizioni di molti autori, ci sia di orgoglio nazionalistico catalano e di astio nei confronti della Castiglia e della sua egemonia linguistica, nonchè nei confronti di un campanilismo italiano, manifestatosi soprattutto in periodo fascista, ciò non toglie che questi autori non si debbano ignorare totalmente come si fa in Italia.
42 Dumont J., La regina diffamata… cit., pag.122. «… [Colombo] inaugura uno sfruttamento vergognoso della sua conquista in totale contraddizione con le istruzioni ricevute da Isabella: infatti egli instaura sulle terre scoperte una semplice agenzia commercialeÖ, in cui tutti gli spagnoli e gli europei erano dei salariati e gli indiani degli schiavi: in questo modo è l’unico a profittarne».
43 Manzano Manzano J., Colón y su secreto : el predescubrimiento, Madrid, Cultura Hispánica, 1989 e Alvar Ezquerra A., Isabel la catòlic… cit. pag. 108, nonchè Pérez J., Isabella e Ferdinando…cit.pag. 240.
44 Dumont J.,La regina diffamata… cit., pag.119-120. Oltre al 10% sui commerci e al potere di Viceré e Ammiraglio trasmissibile agli eredi, Colombo chiese anche la partecipazione ai proventi di armamento di tutte le flotte future in ragione di un ottavo, pari al 12,5%.
45 Pérez J., Isabella e Ferdinando… cit. pag. 239. «Un milione e centoquarantamila maravedi versati il 5 maggio 1492»
46 Dumont J., La regina diffamata… cit., pag.108 e120.
47 Nella primavera del 1493 mentre la Corte è a Barcellona. Ma né gli archivi della Generalitat (governo catalano), né quelli del Consiglio della città, né quelli del Capitolo della Cattedrale, sempre minuziosi e dettagliati anche circa gli impegni di quel periodo, registrano alcuna spesa per festeggiamenti, cosí come non la registra il bilancio di Corte.
48 Belausteguigoitia Santiago, Un documento revela la crueldad de Colón en su gobierno de América.Los legajos fueron hallados en el Archivo de Simancas (Valladolid) en 2005, Sevilla, El País - Cultura - 14-07-2006.
49 Dumont J., La regina diffamata… cit., pag.123. Cfr. anche Pierotti Cei L., Isabella di Castiglia regina guerriera cit., pag. 158. Il delegato apostolico Boil e quei francescani, che non sono irretiti dalla «mistica commerciale» di Colombo, non cessano di denunciare lo sfruttamento delle Antille e dei loro abitanti, chiedendo la destituzione dell’Almirante.
Tanto brutta sarà l’immagine di sé, che Colombo darà in Spagna, che faticherà a trovare gli equipaggi per il suo terzo viaggio. E li troverà solo quando la Cancelleria Reale prometterà di commutare la pena ai condannati che si imbarcheranno con lui.
50 Nel 1495 e nel 1500. Cfr. in proposito, tra gli altri, anche Pierotti Cei L., Isabella di Castiglia regina guerriera, Milano, Mursia, 1985, pag. 166).
51 Varela C., La caiída de Cristoíbal Coloín: el juicio de Bobadilla, Madrid, Marcial Pons Historia, 2006. Questa ricercatrice storica del Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) ha portato alla luce un testo di 46 pagine con 23 testimonianze, utilizzato nel1500 come prova giudiziale contro Colombo e i suoi fratelli.
52 In realtà, Colombo, sofferente di artrite, accompagnata da infezioni e emorragie, non fu abbandonato completamente, se è vero che ancora nel 1505 il re Ferdinando, rivolgendosi a lui come Almirante Don Cristòbal Colòn, gli faceva donativo di una mula con conducente, perché potesse muoversi a suo piacimento. (Cfr. Cédula del rey Fernando concediendo a Cristóbal Colón licencia para andar en mula por cualquier partes de estos reinos, Archivo de Simancas [Valladolid], en fecha 23 de febrero de 1505).
53 Pérez J., Isabella e Ferdinando… cit., pag. 237 e Alvar Ezquerra A., Isabel la catòlica… cit. pag. 109.
54Azcona T. De, La reforma religiosa y la confesionalidad catòlica en el reinado de Isabel I de Castilla, la Catòlica, in Aa. Vv., Isabel la Reina Catòlica… cit, pagg. 62-70.
55 Bernàldez A., Memoria del reinado de los Reyes Catolicos cit., cap.CCII «Hizo corregir y castigar la gran disoluciòn y deshonestistad que había en sus reinos cuando empezò a reinar, entre los frailes y monjas de todas las òrdenes e hizo encerrar las monjas de muchos monasterios que vivían muy deshonestas».
56 Azcona T. De, La eleccion y reforma del episcopado espanol en tiempo de los reyes catolicos, Madrid, Consejo Superior de Investigaciones Cientificas, Instituto P. Enrique Florez, 1960, pagg. 206, 213, 309.
57 Pérez J., Isabella e Ferdinando… cit. pag. 177.
58 Braudel F., La Méditerranée et le monde méditerranéen cit. T.II, pag. 30
59 Dumont J., La regina diffamata… cit., pagg.130-149.
61 Suàrez Férnandez L., La personalidad de Isabel de Trastamara, Reina, in Aa. Vv., Isabel la Reina Catòlica... cit., pagg. 100-105.
62 Rodriguez Plaza B., Isabel la Catòlica. Estado de su proceso de beatificaciòn, in Aa. Vv., Isabel la Reina Catòlica... cit., pagg. 106-108.
63 In realtà gli interventi del senatore Cossiga sono stati diversi e, purtroppo, meno ameni di questa battuta riportata dalla stampa quotidiana. Il piú curioso e antistorico di tutti è quello comparso il 27 gennaio 2004 sul quotidiano Il Riformista dove il senatore Cossiga pubblicava una lettera aperta al Cardinale Josè Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per le cause dei Santi, nella quale un passo dalla incerta sintassi definiva Isabella: «… la sovrana che cacciò dai suoi domini gli ebrei, aprendo cosí la strada che doveva portare i nostri e quindi già anche suoi fratelli maggiori nella fede di Abramo, Isacco e Giacobbe, e che terminò nel martirio dei campi di sterminio». Sulla Rivista Ventunesimo Secolo di dicembre 2004, dal titolo: «L’antiamericanismo? Tutta colpa dei cattolici»: l’emerito ex presidente della Repubblica si lasciava andare a espressioni decisamente ardite sul piano, non diciamo storico, ma semplicemente culturale: «Vorrei ricordare che proprio in questi giorni una parte dell’episcopato spagnolo sta portando avanti l’iter necessario per proclamare beata Isabella di Castiglia che, in realtà, è la fondatrice di Auschwitz. Piú che patrona della Spagna dovrebbe esserlo di Auschwitz: cacciando gli ebrei, infatti, ha aperto loro la strada che li avrebbe direttamente condotti ai campi di sterminio. Eppure, parte della Chiesa spagnola ne chiede la beatificazione».