LA GIUSTA DISTANZA
Regia: Carlo Mazzacurati
Lettura del film di: Franco Sestini
Edav N: 355 - 2007
Titolo del film: LA GIUSTA DISTANZA
Cast: regia: Carlo Mazzacurati – sogg.: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati – scenegg.: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati, Marco Pettenello, Claudio Piersanti – fotogr.: Luca Bigazzi – mus.: Tin Hat – mont.: Paolo Cottignola – scenogr.: Giancarlo Basili – cost.: Francesca Sartori – interpr.: Giovanni Capovilla (Giovanni), Ahmed Hafiene (Hassan), Valentina Lodovini (Mara), Giuseppe Battiston (Amos), Roberto Abbiati (Bolla), Natalino Balasso (Franco), Stefano Scandaletti (Guido), Mirko Artuso (Frusta), Fabrizio Bentivoglio (Bencivegna), Marian Rocco (Eva), Fadila Belkebla (Jamila), Dario Cantarelli (Tiresia), Raffaella Cabia Fiorin (Zia Giacinta), Silvio Comis (padre di Giovanni), Nicoletta Maragno (Pubblico Ministero), Ivano Marescotti (avvocato) – colore – durata 106 – produz.: Domenico Procacci per Fandango in collaborazione con Rai Cinema – origine ITALIA, 2007 – distrib.: 01 Distribution (20-10-2007) – realizzato col contributo del MIBAC (Ministero Beni Attività Culturali)
Sceneggiatura: Doriana Leondeff, Carlo Mazzacurati, Marco Pettenello, Claudio Piersanti
Nazione: ITALIA
Anno: 2007
Presentato: 2. Festival Internazionale del Cinema di Roma, 2007 - Sezione Cinema 2007
Premi: PREMIO L.A.R.A. ALLA 2A ED. DEL FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL CINEMA DI ROMA, 2007
È la storia di Giovanni, un diciottenne (quasi diciannove dirà lui) che abita in un piccolo paese alle foci del Po dal curioso nome di Concadalbero; è appassionato di giornalismo e il suo primo intervento avviene quando il giornale nazionale con cronaca locale, riporta accanto alla notizia dell’ennesimo trionfo nel salto in lungo di una ragazzina del posto, la foto di una cinese; prima scrive una e-mail al giornale e poi si reca personalmente alla sede per ribadire l’errore: il direttore, alla sua offerta di scrivere per il giornale le notizie della cronaca del paese, prima tituba un po’ e poi acconsente, alla condizione di 20 euro il pezzo e senza la firma in calce; nell’occasione fornisce al giovane un prezioso consiglio: «la tua posizione nei confronti della vicenda che vai a narrare deve avvenire dalla giusta distanza, cioè non troppo lontana, altrimenti non cogli l’essenza dei fatti ma neppure troppo vicina altrimenti il tuo giudizio potrebbe venire modificato».
La vita nel paesello scorre tranquilla, con una umanità che sta mischiandosi con una serie di «stranieri»: la barista è cinese, la moglie del tabaccaio è romena, il proprietario della Pizzeria è marocchino ed è il cognato del meccanico, di origine tunisina.
Improvvisamente il clima subisce una grossa modifica: l’anziana maestra impazzisce e, dopo che è stata trovata sulla cattedra ad orinare, viene rinchiusa in manicomio ed al suo posto arriva Mara, una bella ragazza cittadina, che si prende uno stuolo di bambini vivaci in attesa di partire per il Brasile in qualità di cooperante per una Associazione non Governativa.
Gli uomini del paese si mettono in agitazione e tra essi spicca il tabaccaio Amos, il conducente dell’autobus Guido e il meccanico tunisino, Hassan; Giovanni dal canto suo si limita ad osservarla e a spiarla sul computer, dopo averle sottratto il suo «username» che gli consente libero accesso alla posta in arrivo ed in partenza.
Ben presto la situazione si evolve sentimentalmente: Mara viene attratta da Hassan e ha un intenso rapporto con il tunisino che le chiede di sposarla; lei nel frattempo ha ricevuto la conferma della partenza per il Brasile e non sa come fare a dirlo all’uomo: in una ultima sera dove i due vanno a cena dal pizzaiolo cognato, Mara è costretta a dire la verità sulla sua imminente partenza e la cosa lascia Hassan molto dispiaciuto.
Al mattino dopo, la maestra non è a scuola, la cercano a casa ma non la trovano, insomma sembra scomparsa, finché dopo pochi giorni il corpo riaffiora sulla riva del Po: è stata uccisa e gettata in acqua con una pietra legata al corpo che però si è staccata ed ha consentito al cadavere di tornare a galla. Viene interrogato un po’ tutto il paese, ma i sospetti si dirigono quasi subito su Hassan che infatti viene arrestato e processato: la condanna è la logica conclusione della vicenda.
Passa qualche anno e il tunisino si uccide in carcere, lasciando un biglietto nel quale rivendica ancora una volta la propria innocenza: la sorella lo consegna a Giovanni, nel frattempo assunto dal giornale, con la preghiera di fare luce sull’intera vicenda ed il giovane si mette a scavare sul processo e sulle varie testimonianze fino a giungere alla conclusione che tutti – compreso l’avvocato difensore – avevano già «battezzato» il tunisino come colpevole e cosí è stato indirizzato il procedimento.
Giovanni nelle sue investigazioni, abbandonando il principio della «giusta distanza», riesce a trovare il vero colpevole, scagionando cosí il tunisino da ogni colpa; il commento che il giovane giornalista compone dopo l’avvenuta incarcerazione del colpevole è che solo i familiari di Hassan sono stati contenti della conclusione dell’investigazione, mentre i paesani non hanno gradito l’epilogo; evidentemente per loro era un miglior colpevole l’extra comunitario che il compaesano.
Il film è suddiviso in tre parti oltre all’epilogo, breve ma importantissimo, rappresentato dalle indagini di Giovanni per scoprire il vero assassino di Mara.
La prima parte ci mostra il paese di Concadalbero e l’autore cerca di renderlo piú «universale» possibile, con lo scopo di rappresentare molto di piú del piccolo paese in riva al Po: è una sorta di presentazione dei vari personaggi che poi comporranno il tessuto dell’opera, dal tabaccaio che ha fatto i soldi e viaggia con uno splendido Suv, ma si è trovato una moglie romena attraverso un catalogo su Internet, per passare al pizzaiolo di origine marocchina che ha sposato la sorella di Hassan: ha fatto anche lui un po’ di soldi, ma è sottoposto alle angherie dei clienti che gli rinfacciano continuamente la sua origine; quando lo racconta al cognato, questi gli chiede come intende comportarsi e lui gli risponde serafico che accetta tutto quello che gli dicono pur di continuare a vendere pizze ed altre specialità della casa ai paesani di Concadalbero.
In questa prima parte compare anche Giovanni, il quale viene presentato come un giovane dedito allo scrivere (fa un pezzo su una strana uccisione di cani randagi e viene cosí assunto dal giornale) ed è grande appassionato di meccanica, tant’è vero che sta cercando di rimettere un rottame di motocicletta, sia pure con l’aiuto di Hassan. Ed a proposito di quest’ultimo, la sua figura appare sempre calma e riflessiva, mai uno scatto d’ira, mai una parola fuori posto: ed infatti si è fatto una ottima fama di bravo meccanico e di persona seria.
La seconda parte del film si apre con l’arrivo di Mara, le sue prime disavventure per sistemare l’appartamento preso in affitto ed i problemi per la connessione ad Internet (che risolve Giovanni, definito il mago del computer); da li in poi la vicenda ruota attorno alla ragazza e tutto diventa in funzione di lei: Giovanni la «spia» attraverso Internet, mentre Hassan la scruta dall’oscurità del boschetto di fronte a casa della ragazza.
Questa situazione si sblocca quando ha inizio la relazione di Mara con Hassan: le reazioni della gente (quasi tutti ci hanno provato con la ragazza) sono di stupore per la scelta ma anche di distacco; solo Giovanni continua a «spiarla» attraverso il computer ed il conducente di autobus, Guido, l’aiuta in un problema di macchina.
La seconda parte si conclude con la famosa serata nella quale Mara rivela a Hassan che prestissimo partirà per il Brasile e che non può accettare la sua proposta di matrimonio; da qui si apre la terza parte che comprende tutte le ricerche dopo la sparizione della ragazza ed il successivo ritrovamento del corpo senza vita su un argine del Po. C’è poi l’indagine per scoprire il colpevole, ma tutto viene svolto con grande fretta e superficialità, dando per scontata la colpevolezza del tunisino: il processo ne è poi la logica continuazione e le figure del P.M. e del Giudice sono realizzate proprio in funzione di questa idea: ormai è già stato deciso tutto e «deve» essere cosí; anche l’avvocato difensore segue questa linea e si lascia tranquillamente sopraffare dai magistrati.
L’epilogo del film comprende il suicidio di Hassan che darà vita alla ricerca da parte di Giovanni – nel frattempo assunto da un giornale milanese – della verità sull’omicidio di Mara ed è realizzata con un modo cinematografico diverso: il montaggio diventa serrato e si contrappone alla «calma piatta» delle indagini di Polizia e del successivo processo; con una ricostruzione dettata dagli eventi realmente accaduti, Giovanni riesce ad arrivare alla conclusione che l’omicida è tutta un’altra persona, la quale, peraltro, confesserà immediatamente alla Polizia il proprio delitto, quasi per liberarsi di un peso insopportabile.
Il film termina con l’immagine di Giovanni che è sull’auto che lo riporterà in città e viene salutato da un solo abitante del paese: un mezzo scemo che lo aiutava a cercare i rottami di motocicletta nelle discariche; e qui c’è la frase del giovane che afferma come nel paese nessuno gli avesse fatto i complimenti per la buona riuscita dell’indagine, segno evidente che le cose stavano meglio con Hassan in galera ed il compaesano in libertà.
La struttura del film muove dal presupposto (non pienamente realizzato) che il paese di Concadalbero rappresenti una situazione piú ampia e ben piú universalizzante: se diamo per buona questo presupposto dell’autore, abbiamo una rappresentazione di un ambiente e di una umanità immobile e grottesca, accogliente in apparenza, ma inospitale nella realtà; un ambiente che allontanerà i tre personaggi del film, mandandoli chi a morire (Mara e Hassan) e chi verso una nuova vita lontano dal paese, con la consapevolezza di abbandonarne una nella quale il suo piú grande successo (la scoperta del colpevole) non è stata apprezzata nel suo giusto valore. Ed anche con la scoperta che il consiglio del suo antico maestro di giornalismo (quello di agire «dalla giusta distanza») valga soltanto per quelle cose che ci interessano fino ad un certo punto, mentre quando sei impegnato in qualcosa che ti prende totalmente e riguarda persone e fatti a te vicini, devi per forza immergerti nella vicenda, annullando cosí la distanza fra te e gli eventi.
Da questa rappresentazione possiamo ricavare quindi uno spaccato piú ampio di quello del paesino in riva al Po (l’Italia? l’Europa?), nel quale ci sono delle situazioni nelle quali l’integrazione funziona in apparenza, in superficie, solo fino a quando «gli altri» fanno quello che a noi fa comodo, ma diventa assolutamente impraticabile di fronte al primo evento traumatico nel quale non possiamo fare a meno di vedere con maggior favore la mano del «diverso», dell’«omo nero», chiamiamolo come vogliamo; ed il film ci fornisce anche una sorta di panacea a questa forma di strisciante razzismo: quello di affrontare le cose non «dalla giusta distanza», lasciando cosí uno spazio piú o meno ampio tra noi e gli altri, ma «da vicino», da vicinissimo, in modo da immergersi completamente nell’evento e coglierne cosí gli umori e le sensazioni che sole ci possono condurre alla verità e quindi alla «comprensione» dei fatti e delle genti.
Il film è ben realizzato, con una splendida sceneggiatura che permette all’autore di dipingere un mondo autentico e personalissimo, tra boschi di pioppi e battelli sul fiume; e poi c’è una piacevole sorpresa: l’esordiente Giovanni Capovilla nei panni del giovane aspirante giornalista è già molto piú di una speranza, merito comunque anche della mano di Mazzacurati che lo dirige al meglio delle sue possibilità. (Franco Sestini)