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EDAV FA POLITICA?


di NAZARENO TADDEI
Edav N: 227 - 1995

Alla bella riunione informale con una quarantina di amici vecchi e nuovi a Bocca di Magra il 21, 22 gennaio us, mi è stato riferito che un abbonato ha deciso di disdire l’abbonamento a «Edav» perché fa politica. Qualche rimostranza di questo genere ci è stata riportata anche da qualche altra parte.

Non è la prima volta. Qualche anno fa, molto prima di Tangentopoli, in seguito a qualche valutazione critica sull’amministrazione social comunista d’una città dell’Emilia, tre abbonati di quella città – e, si noti, non appartenenti a quell’ideologia – avevano disdetto l’abbonamento. I fatti in corso oggi e quelli che emergeranno in seguito, dicono di chi era la ragione.

Un abbonato che si ritira fa sempre molto dispiacere, soprattutto se ciò fosse dovuto a nostra colpa e «nessuno è giudice in causa propria». Ma, almeno in questi casi, mi pare di poter dire in coscienza che «la verità ci è maggiormente amica di Platone».

Tento di rispondere comunque.

È male o sconveniente fare politica? Ma, poi, cosa vuol dire «fare politica»? Quando andiamo a votare facciamo politica; e facciamo male?

«Far politica» è purtroppo una frase fatta, una specie di slogan, in cui il soggetto ha più significati e il predicato pure. Di questi molteplici significati, due soli (uno da una parte e uno dall’altra)concordano secondo verità. «Far politica» può voler dire «fare il proprio dovere di cittadini al voto»; ma può voler dire anche «aderir e agire con convinzione secondo un’ideologia di partito», senza preoccuparsi se con o senza ragioni valide; ma può voler dire anche «cercare la verità circa i fatti politici scavando al di là delle frottole». Quest’ultimo significato di «fare politica» mi pare dovrebbe essere quello inteso e realizzato da tutti i cittadini liberi e onesti.

Ed è i nostro; è un dovere, come quello di andare al voto, coscienti di quello che si vota. Un dovere, ch’è per noi dovere doppio, perché è di tutti i cittadini coscienti; e nostro particolare per il compito istituzionale di imparare e insegnare a «leggere» i media, oltre che a usarne i linguaggi per una vera ed efficace comunicazione: nella concreta realtà della vita.

Può darsi che non tutti condividano le conclusioni delle nostre «letture». A parte l’ovvio tot capita, questo può succeder certamente per qualche nostro errore di «lettura» a causa delle insufficienti informazioni in nostro possesso (in questo caso, generalmente, siamo consci dell’insufficienza e quindi concludiamo con dubbi e interrogativi) oppure a causa di qualche nostra svista (e in questo caso saremmo grati se ce lo si mostrasse).

Ma può succedere anche perché il nostro lettore o non ha imparato o ha imparato male a «leggere» i media e si ferma – com’è purtroppo ormai deprecabile costume – al significato di quello che ci si mostra e ci si fa ascoltare e non al vero significato della comunicazione. In questo caso – nella difficile ipotesi che uno riuscisse a rendersene conto – consiglieremmo di cercare di capire quello che scriviamo (magari chiedendo spiegazioni), anziché disdire un abbonamento scomodo.

 


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