TROPPO FORTE
Regia: Carlo Verdone
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 136 - 1986
Titolo del film: TROPPO FORTE
Cast: regia: Carlo Verdone - scenegg.: Sergio Leone, Rodolfo Sonego, Alberto Sordi, Carlo Verdone - scenogr.: Franco Velchi - fotogr.: Danilo Desideri, AIC - mus.: Antonello Venditti - cost.: Raffaella Leone - montaggio: Nino Baragli - interpr. princ.: Carlo Verdone (Oscar Pettinari), Stella Hall (Nancy), Alberto Sordi (avv. Pignacorelli), John Steiner (produttore Adams), Mario Brega (uomo delle scommesse), Sal Da Vinci (Capua) - colore - durata: 110' (m. 2992) - produz.: Augusto Caminito per la Scena Film Production - Dolby Stereo - orig.: ITALIA, 1985 - uff. stampa: Luigi Biamonte - distrib.: Titanus.
Sceneggiatura: Sergio Leone, Rodolfo Sonego, Alberto Sordi, Carlo Verdone
Nazione: ITALIA
Anno: 1985
La vicenda. Oscar Pettinari è il classico bullo di periferia, «romanaccio», motorizzato, che s'illude di avere una faccia da duro alla Rambo. Il suo sogno è quello di ottenere un contratto a Cinecittà, magari in qualche parte spericolata in modo da poter dimostrare la propria abilità, di cui, a parole, continua a vantarsi di fronte a tutti. Ma quando si presenta con la sua banda di centauri in cerca di una particina nel film «I figli del pianeta nero», sarà l'unico ad essere scartato dal produttore americano per la sua «faccia da buono». Indignato e risentito Oscar sospetta una trama politica ai suoi danni e medita vendetta. Che gli viene fornita su un piatto d'argento da un bizzarro sedicente avvocato che giura di difendere i suoi interessi, a patto ch'egli si affidi completamente a lui.
Il piano è ben congegnato: Oscar deve farsi travolgere con la moto dall'auto del produttore americano per poi chiedere un profumato indennizzo. L'incidente riesce alla perfezione, ma purtroppo le cose non vanno come previsto: al volante dell'auto non c'è il produttore bensí la giovane attrice protagonista Nancy. E quando Oscar si presenta da lei con l'ingiunzione di pagare cinque milioni, viene a sapere che la ragazza è stata allontanata dal set del film e che ora si trova a Roma senza una lira. Non gli resta che ospitarla nel suo «superattico», rifornirla di ogni ben di Dio e addirittura anticiparle dei soldi per comprarsi una tuta da «footing».
Nel frattempo il produttore offre ad Oscar prima quaranta, poi addirittura ottanta milioni per chiudere il caso relativamente alle proprie responsabilità. Ma l'avvocato interviene all'ultimo momento ed impedisce ad Oscar di accettare quel denaro perché, secondo lui, in giudizio può ottenere molto di piú.
Oscar non ha piú un soldo in tasca e i creditori minacciano di sequestrargli la moto. Per racimolare un po' di denaro egli sfida ad una gara di motocross il «Murena», un campione che non conosce rivali. La gara viene vinta da Oscar, che però viene picchiato e derubato della vincita dagli scagnozzi dello scommettitore.
All'ospedale, su indicazione del suo avvocato e con la complicità di un chirurgo dal passato burrascoso, gli viene asportata la milza, per poter far valere, nella causa contro il produttore, un certificato «che vale centinaia di milioni».
Intanto Nancy, a casa di Oscar, riceve la visita del marito Frank (dal quale era fuggita per «non sentire piú la puzza del suo allevamento dei tacchini») che le parla del figlioletto di tre anni e la invita a ritornare all'ovile. In tribunale, proprio nel bel mezzo dell'arringa con la quale chiede il blocco dei beni del produttore, l'avvocato di Oscar ha un'improvvisa crisi di amnesia e deve essere portato fuori dall'auto dai carabinieri. Si verrà a sapere che l'avvocato altri non era che un mitomane, già medico, maestro, veterinario ed ora investitosi della parte di un coreografo.
Oscar torna a casa sconsolato e non trova piú nemmeno Nancy, la quale gli ha lasciato una lettera — in cui dice di essere stata contattata da un produttore che le ha offerto una grossa occasione (in realtà se n'è andata col marito) — e dei travel-cheques per le spese sostenute. Oscar corre all'aeroporto per salutarla. Si raccontano un sacco di bugie, poi Oscar le affida alcune sue foto da mostrare a qualche produttore di Hollywood. Al nostro eroe non resta che ritornare a Cinecittà con la speranza di ottenere una particina in qualche film di avventura.
È il classico «film di vicenda», in cui il racconto — dalla struttura lineare — si limita a presentare una storiella piú o meno significativa, ma soprattutto piú o meno divertente.
Dopo un'introduzione, in cui il protagonista dà una lezione di «tecnica flipperistica» ad un povero profano («il rapporto col flipper è come un amplesso») partono i titoli di testa con la scritta «Troppo forte» che si trova sul giubbotto di Oscar e diventa il titolo del film. Tutta la narrazione, poi, è racchiusa all'interno dei due nuclei narrativi che hanno come sfondo Cinecittà.
La struttura si rivela pertanto — oltre che lineare nel senso che segue lo sviluppo cronologico dei fatti — anche circolare, nel senso che alla fine rappresenta il protagonista in una situazione analoga a quella dell'inizio. Quasi a dire che, nonostante tutti gli avvenimenti trascorsi, la sua realtà esistenziale è rimasta praticamente immutata. Che cosa è emerso allora durante lo sviluppo narrativo del film? Quali sono gli elementi a cui si è dato piú peso in funzione espressiva?
Direi che tutta la narrazione — già a livello di vicenda — è incentrata sul «personaggio» di Oscar, il brutto romano di borgata, che rappresenta senza dubbio la maschera piú riuscita e simpatica che Carlo Verdone abbia creato finora.
Oscar è uno che vuol apparire «duro» a tutti i costi. Fa il gradasso esibendo i propri attributi fisici e le proprie abilità in certi campi (il flipper, la moto, ecc.), rievocando ad ogni pie' sospinto le proprie mirabolanti avventure vissute durante la lavorazione di certi film. Un linguaggio gergale alla moda, un abbigliamento da divo, la moto rombante, i «poster» dei grandi dello schermo e un po' di foto pornografiche alle pareti. Cerca di assumere espressioni truci per fare piú impressione e vanta rapporti da duro con le ragazze. Significativa, e naturalmente ironica, la frase presente nei cartelloni pubblicitari del film: «Metallari, rambomaniaci, paninari, è lui il piú duro del quartiere, è troppo forte».
Ma dietro questa scorza di rudezza si nasconde un animo buono e generoso, semplice e mite. Già con l'avvocato Oscar dimostra tutta la sua ingenuità (al limite della semplicioneria): gli crede in tutto e per tutto, si lascia prendere per il naso, accetta i suoi consigli sconsiderati e poi alla fine resta con un palmo di naso e si dispera. Ma è soprattutto con Nancy che Oscar mostra la sua vera natura di bambinone un po' troppo cresciuto: la ospita in casa sua, le fa telefonare in America, si dispera quando lei tenta il suicidio, le compra tutto ciò che vuole, le anticipa dei soldi, la consola, si lascia trasportare anche affettivamente e alla fine la saluta con tenerezza.
Un film di vicenda, quindi, basato su un personaggio della galleria verdoniana ormai collaudato ed entrato nella simpatia della gente per la sua umanità e per la sua sostanziale bontà, pur (anzi, forse proprio perché) mascherata da una corteccia di durezza e di insensibilità. Un film, quindi, concepito e realizzato con lo scopo di divertire, di far ridere, di creare spettacolo attraverso l'esibizione di tale personaggio.
Ma il guaio è che non sempre la resa è conforme alle intenzioni. Nonostante la sceneggiatura ad otto mani (che vede l'impegno anche di un Rodolfo Sonego e di un Sergio Leone) il film, stenta a decollare dal punto di vista cinematografico e dà un'impressione di piattezza, di monotonia, di incapacità a trovare «gags» e situazioni veramente riuscite e indovinate. Peccato, perché Verdone ha veramente delle doti di simpatia e bravura. Ma tutto ciò nel film resta a puro livello di «cosa rappresentata» e il linguaggio cinematografico non viene adoperato nella sua tipica e autonoma capacità di dizione.
La presenza di Alberto Sordi, che dovrebbe rappresentare un motivo in piú di attrazione e di comicità, di fatto si traduce in un rallentamento del flusso narrativo per la sua recitazione eccessivamente macchiettistica e sopra le righe per l'incredibile soluzione narrativa legata al suo personaggio.
Per valorizzare appieno le grandi doti espressive e spettacolari di Carlo Verdone ci vorrebbe un regista tanto bravo quanto Verdone lo è nel creare e rappresentare i propri personaggi. (Olinto Brugnoli)