RAPSODIA IN AGOSTO
Regia: Akira Kurosawa
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Titolo del film: RAPSODIA IN AGOSTO
Titolo originale: HACHIGATSU NO RAPUSODI
Cast: regia: Akira Kurosawa - sogg.: Kiyoko Murata - scenegg.: Akira Kurosawa - fotogr.: Takao Saito, Masaharo Ueda - mus.: Shinichiro Ikebe - scenogr.: Yoshiro Muraki - mont.: Akira Kurosawa - cost.: Kazuko Kurosawa - interpr.: Sachiko Murase (Nonna Kane), Richard Gere (Clark), Hisashi Igawa (Tadao), Narumi Kayashima (Machiko), Tomoko Otakara (Tami), Mitsunori Isaki (Shinjiro), Toshie Negishi (Yoshie), Hidetaka Yoshioka (Tateo), Mie Suzuki (Minako), Choichiro Kawarasaki (Noboru) - Colore - durata: 95' - produz.: Hisao Kurosawa - origine: GIAPPONE, 1991 - distribuz: Life Internetional - Multivision, Videopiù Entertainment .
Sceneggiatura: Akira Kurosawa
Nazione: GIAPPONE
Anno: 1991
(Tratto da TUTTOKUROSAWA a cura di Nazareno Taddei sj, Edizioni Edav, 2001)
Dopo SOGNI non ci poteva essere che un film come questo, piccolo e minuto eppur grandioso, con una storia che sembra contorta e banale ed è solo semplice: una nonna, Kane, della campagna vicina a Nagasaki ha avuto il marito, insegnante, ucciso con tutta la sua scolaresca dalla bomba atomica il 9 agosto 1945. Questa estate, ha con sé i quattro nipotini di due dei suoi figli sposati. Vivono serenamente e li intrattiene amabilmente raccontando anche di quella terribile notte e dei suoi dieci fratelli, uno dei quali, fuggito con la moglie dell’imprenditore, rifugiatisi presso la nonna, si sono suicidati e e quella notte i due cedri che li rappresentavano sono bruciati, restando lì a testimoniare quell’amore impossibile. La nonna racconta anche di uno dei fratelli che ha fatto una grossa fortuna nelle Haway. Due genitori di quei nipotini, proprio questa estate, lo sono andati a trovare e ritorneranno magnificandone la fortuna materiale.
Ma alla nonna non è quella ricchezza che preme; vorrebbe piuttosto andare a riabbracciarlo, sapendolo ammalato. In prossimità della fatidica data d’agosto 45 anni dopo, arriva all’improvviso anche Clark, il figlio dell’americano, mai prima conosciuto e ormai completamente americanizzato, che addirittura non sa niente di quei tristi eventi. C’è quindi perplessità in casa della nonna: come si comporterà, come si farà a informarlo, come ci si dovrà comportare? Arrivato qui, invece, ne capisce tutto l’orrore, anche assistendo alle cerimonie di ricordo in casa e fuori («Credevo di sapere, ma solo ora, vedendo quella gente, so cos’è stato!») e rientra perfettamente nello spirito della famiglia. Ma proprio quel giorno, un telegramma annuncia che il papà è morto e ritorna precipitosamente alle Haway. Durante un temporale, la nonna impazzisce, copre i nipotini come per proteggerli dalla bomba («il bianco vi salverà dal lampo»), tira fuori il vestito del marito e corre all’impazzata verso Nagasaki, inseguita, ma non raggiunta (nella realtà filmica di «rappresentazione del cosa» non di «cosa rappresentata»: è l’autore che non vuole farla raggiungere, per dare il significato) dai nipotini tanto meno dai genitori.
Questa semplice storia è come raccontata dalla voce fuori campo di Tani, la più grande dei nipotini, ed è realizzata in maniera da rievocare le bellezze anche naturali di quell’angolo di terra (dalla cascata ai due cedri bruciati dal fulmine che «sembrano due innamorati suicidati insieme», alla nonna stessa che sembra «una tartaruga Ninja», la luna ch’è «occhio gentile» in contrasto con quello della bomba, «un occhio gigantesco che ci guardò con una cattiveria che non si era mai vista», dipinto poi ossessivamente dal fratello che ne era rimasto calvo), il vivo ricordo nei sopravissuti di quella notte atomica (notevole l’insistenza sulle formiche che arrivano alla luce spaziosa dei petali della rosa — ricordo della canzone dei ragazzi —, durante una di quelle preghiere), ma anche il tentativo dei ragazzi di capire quella tragedia: le statue mozze («sembra che gli angeli piangano»), i monumenti pervenuti da tutto il mondo meno che dagli Stati Uniti, il loro gettare l’acqua sulla lapide che ricorda la sete atroce dei colpiti quella notte, poi l’umile e scheletrico ma grandioso monumento fatto dei ferri contorni rimasti dopo la distruzione atomica, tutto sulla musica dello Stabat Mater di Vivaldi, il profondo senso della famiglia e dell’amore tra i suoi vari componenti, anche se lontani e quasi dimenticati, l’odio per l’America e il suo superamento simboleggiato dall’incontro nonna-Clark, muti davanti alla luna («Sembra proprio una scena d’amore!», osserva il nipotino più piccolo). Ma quello che si impone su tutto coagulando in sé tutto l’orrore di quell’evento e della sua incisione profonda e indelebile nella psicologia delle persone è quella fuga nel temporale di Kane. La sua amica, nell’annunciarne la fuga, aveva spiegato: «Oggi le nuvole sono esattamente come il giorno del grande lampo e forse lei si è ricordata di quel giorno».
Quel finale, che sembrerebbe sconvolgere quanto affermato fin qui, dà invece il senso di tutto il film: al di sopra della famiglia che si ricompone nei suoi valori, al di sopra degli immani e tragici contrasti internazionali, incombe il gioco misterioso della vita e della morte in una realtà di valori eterni che la moderna supremazia del denaro tenta di distruggere: il vento fa rovesciare l’ombrello della nonna in fuga, mentre qualcuno dei nipoti inciampa e qualche genitore cade nel rincorrerla. La generazione di mezzo (i genitori) sono quelli che si lasciano intrappolare dalla mentalità d’una supremazia del denaro, dimenticando i veri valori; la nonna («l’America l’ho odiata, ma sono passati 45 anni; ora non provo più nessun sentimento né in un senso né nell’altro, perché la colpa è tutta della guerra. Non c’è niente di peggio della guerra») ricorda l’amore e cosa l’ha contrastato tanto da impazzire; e i giovani, che non hanno conosciuto, vogliono conoscere. Sono una speranza, ma è una speranza drammatica. (Nazareno Taddei sj e Olinto Brugnoli)