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RASHOMON



Regia: Akira Kurosawa
Lettura del film di: Nazareno Taddei
Titolo del film: RASHOMON
Titolo originale: RASHOMON
Cast: regia: Akira Kurosawa - sogg.: Ryunosuke Akutagawa - scenegg.: Akira Kurosawa, Shinobu Hashimoto - fotogr.: Kazuo Miyagawa - mus.: Fumio Hayasaka - scenogr.: So Matsuyama - mont.: Akira Kurosawa - interpr.: Toshiro Mifune (Tajomaru), Machicko Kyo (Masago), Masayuki Mori (Takehiro, il samurai), Takashi Shimura (Boscaiolo), Minoru Chiaki (Bonzo), Fumiko Homma (Maga), Daisuke Kato (Servo), Kigigiro Vedo (Guardia), Kichijiro Ueda (Passante) - B&N - durata: 88' - produz.: Daiei Motion Pictures CO., Daiei Studios - origine: GIAPPONE, 1950 - distribuz: Cei Incom Diaei - Vivivideo, San Paolo Audiovisivi.
Sceneggiatura: Akira Kurosawa, Shinobu Hashimoto
Nazione: GIAPPONE
Anno: 1950
Presentato: 16. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 1951 - In Concorso
Premi: LEONE D'ORO ALLA 16a MOSTRA DEL CINEMA DI VENEZIA 1951; PREMIO OSCAR 1951 PER MIGLIOR FILM STRANIERO.

(Tratto da TUTTOKUROSAWA a cura di Nazareno Taddei sj, Edizioni Edav, 2001) 

È la storia della vana ricerca della verità circa la morte di un samurai, avvenuta in una radura in mezzo alla foresta. Un prete buddista e un taglialegna, raggiunti poi da un ladro, si sono rifugiati per la pioggia torrenziale fra le rovine di un tempio. Il prete, che ha sentito del fatto alla polizia, di fronte a tanto male sta perdendo la fiducia negli uomini. Il taglialegna in un primo momento afferma di aver assistito all’uccisione del samurai da parte del brigante, ma poi finisce per confessare di aver mentito. Vengono di tanto in tanto rievocate le deposizioni in tribunale e vivizzate in immagini: il brigante Tajo­ma­ru afferma di aver violentato Mesage, moglie del samurai, e di aver ucciso in duello il marito vilipeso. Mesage afferma di aver essa stessa ucciso il marito, non potendo reggere al suo disprezzo dopo la violenza subita. Lo spirito del samurai, evocato da una maga, afferma che Mesage istigò il brigante ad ucciderlo, ma questi si era rifiutato ed egli si era ucciso non sopportando l’oltraggio. Il taglialegna confessa d’aver assistito nel bosco, non visto, il brigante che vuol prendere in moglie la donna promettendole anche di cambiar vita, il marito che dice che lei non è piú niente per lui e può prendersela, la donna che si infuria contro i due uomini perché si comportano da bambini; i due allora - continua - si azzuffano mortalmente, il samurai soccombe e la donna riesce a fuggire. Il prete è sconsolato: se fosse cosí non bisognerebbe piú credere negli uomini mentre lui ci crede. Il ladro non si stupisce e irride. Sentono un vagito, vanno a vedere. Il prete raccoglie il bambino, il ladro prende quel qualcosa di prezioso in cui era avvolto e se ne va dopo aver giustificato l’egoismo. Sempre sotto la pioggia. Il bambino piange. Il taglialegna vorrebbe prenderselo. Il prete rifiuta pensando che voglia rubargli anche la camicia. Il taglialegna dice: «Ho già sei figli. Allevarne ancora uno non sarà fatica molto maggiore.» Il prete allora dice «Perdona! Mi vergogno di quello che ho detto. … Tu mi hai restituito la fede e la speranza nella vita. Ti ringrazio!». Il taglialegna se ne va col bimbo in braccio. La pioggia è cessata.

Il film è tratto da due racconti di Rjunosuke Akutagawa, uno dei massimi esponenti della letteratura giapponese, morto suicida in giovane età, due anni dopo averli scritti nel 1928, quando Pirandello anche in Giappone suscitava molto interesse. Il finale è stato voluto dalla produzione, non dall’A., per addolcire un po’ il tutto. Qualcuno ha voluto vedere nel film l’influsso del Nô, ma in effetti il genere jidai-geki, cui il film appartiene, deriva ben piú dal Kabuki che dal Nô.

Presentato alla XVI Mostra di Venezia, ha ottenuto il «Leone d’Oro» e il Premio della critica «Francesco Pasinetti»; ma soprattutto ha avuto il grande merito di rivelare al mondo occidentale l’esistenza e il valore di una cinematografia nipponica tutta ancora da scoprire. Ebbe una menzione speciale a Punta del Este. A Venezia era stato accolto come una «rivelazione» per novità di linguaggio; ma Sadoul si preoccupò di ridimensionare l’elogio (Nazareno Taddei sj).

 


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