APAN (The Ape) - La scimmia
Regia: Jesper Ganslandt
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo originale: APAN
Nazione: SVEZIA
Anno: 2009
Presentato: 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2009 - Giornate degli Autori
Con un’ora e venti minuti il regista ci fa assistere in tempo reale ai delitti (voluti? responsabili in una crisi depressiva?) d’un trentenne che, in preda a follia parossistica stermina la sua famiglia (moglie, madre, forse?, ferendo gravemente il figlio). Non assistiamo ad alcuna azione omicida; alla regia non interessa documentare i fatti per offrire allo spettatore uno spettacolo horror. La cinepresa è sempre addosso al protagonista, ripreso di solito a mezzo busto di fronte e di spalle, quasi mai in campo medio a figura intera. In evidenza è sempre il suo volto. Egli è costantemente in fuga dopo i delitti, sospettoso di chi lo vede passare per strada, prima con macchina personale, poi ottenendo un passaggio da un’amica, in fine a piedi, finendo per nascondersi tra la folla che si assiepa sui mezzi pubblici, in cerca di non sa neppure lui che cosa. Come norma vuole, ritorna sul luogo del delitto…affranto, se non pentito, gettandosi singhiozzando sul letto del figlio che è riuscito a trasportare all’ospedale. «Se la caverà?» – Non posso saperlo! –, è l’amara risposta dell’infermiera assistente. Ed il nostro sembra condannare il suo gesto… fino al punto di cadere vittima della tentazione di suicidio… al quale si sottrae all’ultimo momento. Forse troverà sollievo entrando in una sala di preghiera, dove un coro sta eseguendo un pezzo classico sulla Passione di Cristo. Neppur questo lo rasserena. Tornato all’ospedale, riesce a rivolgere al figlio, ancora sotto anestetici, la domanda che già all’inizio del film, immediatamente dopo il tentato omicidio, gli aveva rivolta: «Hai sognato? Che cosa hai sognato?». La risposta, con soddisfazione dello spettatore che l’aspetta da più d’un’ora!, arriva semiologicamente abbastanza strana, se non uscisse da labbra innocenti: «Ho sognato che erano tutti animali, eccetto tu». «Tutti animali? E io chi ero?» «Tu sei tu!». Il dialogo è interrotto da due poliziotti che lo fermano, essendo evidentemente l’unico sopravvissuto della famiglia e quindi indiziato come responsabile dei fatti.
GLI ATTI del bozzetto, (drammatico psicologico più che tragico, malgrado i morti, in quanto il film non è narrativo dal momento che le azioni sono sempre soltanto mostrate nel loro incipit e mai narrate dettagliatamente, mentre il volto del protagonista è costantemente in primo e primissimo piano, comunicando allo spettatore il suo stato d’animo, pur senza mai reagire con atteggiamenti sopra le righe), sono divisi in modo da evidenziare la struttura del film. Nel PRIMO vediamo il protagonista che s’allontana dal luogo del delitto, cerca di far perdere le sue tracce per ritornare poi a casa fermandosi quasi indifferente davanti al cadavere della sua prima vittima. Il SECONDO illustra la tardiva sollecitudine per salvare la vita al figlio da lui colpito a morte, correndo all’ospedale e vagabondando in seguito per la città dopo aver acquistato un regalino per il ferito, al quale ritorna trovando chi l’aspetta per arrestarlo come sospettato dei fatti. Sempre, eccetto quando è preoccupato del figlio, usa il telefonino per tenersi in contatto con qualcuno e fuggire la solitudine interiore. Seppellisce il coltello dopo aver aggredito, forse?, sua madre, quasi a dirci che non ha intenzione di continuare a delinquere in quel modo orrendo. Noto che il coltello seppellito non è insanguinato, né è stato ripulito dopo il presunto delitto, che ce lo fa presumere incerto (due volte ho usato l’avverbio forse in riferimento al fatto).
È credibile una follia immotivata come quella del film? La cronaca ci convince purtroppo circa la possibilità di casi simili. Ma non è questa la domanda interessante. È un’altra piuttosto. È riuscito il regista del film a raccontarci con coerenza stilistica la storia del protagonista? Gi ha comunicato lo stato d’animo sconvolto eppure quasi assente del caso d’una lucida follia umana, difficilmente spiegabile in un individuo apparentemente arrivato (casa confortevole, moglie e figlio presumibilmente esenti da preoccupazioni economiche…)? I pregi dell’opera li vedo nella costante tenuta dello stile cinematografico scelto dall’autore. Il contrasto tra la colonna sonora di gusto attuale, spensierato trasmessa dalla radio di bordo delle vetture usate dall’anonimo protagonista vittima della sua psicologia ammalata, è mezzo efficace che aumenta l’effetto semiologico del film, che evita ogni lenocinio di natura spettacolare.
L’anonimato del protagonista non permette, data l’eccezionalità del suo caso, nessun altra elevazione di grado del personaggio, che a quella individuale. (Adelio Cola)