SCHEHERAZADE TELL ME A STORY
Regia: Yousry Nasrallah
Lettura del film di: Franco Sestini
Titolo del film: SCHEHERAZADE TELL ME A STORY
Titolo originale: EHZY YA SCHAHRAZAD
Nazione: EGITTO
Anno: 2009
Presentato: 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2009 - Fuori Concorso
È la storia di Hebba, presentatrice di un talk show di successo trasmesso da una televisione privata, il cui obiettivo è di parlare della carente situazione femminile nell’Egitto moderno; il di lei marito, Karim, è il vicedirettore di un quotidiano statale e la sua massima ambizione è quella di fare carriera e per ottenere questo deve tenersi buone le amicizie politiche; sono proprio i maggiorenti del partito al governo che lo avvertono come la moglie, continuando a parlare di argomenti che si rivelano anti-governativi, può rappresentare un serio ostacolo per la sua carriera giornalistica.
Hebba, per amore del marito, decide di cambiare angolazione alla sua trasmissione e comincia a raccontare storie di donne che hanno subito abusi di ogni genere e, anche con questo nuovo taglio giornalistico, la trasmissione continua ad avere successo.
Con questo nuovo filone, assistiamo a tre trasmissioni, delle quali la prima è una intervista ad una bella signora – non più giovanissima – che adesso si occupa di assistenza in campo psichiatrico – che ha deciso di non sposarsi e narra alla conduttrice l’ultima “richiesta” ricevuta da un possidente che intenderebbe porre tutta una serie di legacci per lei e niente per lui: la storia si conclude con una scenata che la donna fa al pretenzioso signore in un noto ristorante della capitale.
La seconda intervista riguarda la storia di tre ragazze che rimangono orfane per la morte del padre e, dopo essere state ingannate da uno zio al quale era stato affidato il negozio familiare, decidono di delegare il giovane “servo”, Said, a condurre l’impresa; visti i buoni risultati, le tre ragazze intrecciano amichevoli rapporti con il giovane, finché ad una di loro viene in mente di sottoporre al giovane una soluzione del problema: sposerà una delle tre ragazze e avrà così una cospicua parte del bene aziendale.
Said, anziché accontentarsi di una sola delle tre giovani, ha rapporti con tutte e tre le ragazze che – come è ovvio attendersi – alla fine si tradiscono e viene così fuori la tresca: una delle tre(quella che si ritiene più offesa delle altre) uccide il ragazzo e per questo motivo viene condannata a 15 anni di carcere: l’intervista televisiva è realizzata dopo l’uscita dalla prigione al termine della pena e la donna assurge al ruolo di martire del maschilismo.
Nella terza trasmissione la donna presenta una ragazza, di professione dentista, che viene irretita da un professionista della truffa (che verrà poi nominato Ministro) e – dopo un matrimonio svolto solo sulla carta ma non consumato – cede alle sue profferte e viene da lui sverginata rimanendo incinta; il problema è che la coppia non può ancora sposarsi ufficialmente in quanto deve attendere il completamento dei lavori in una misteriosa villa dell’uomo; quando la donna rivela il suo stato di gravidanza, l’uomo l’accusa di averla tradita in quanto non è possibile che lui sia il padre del nascituro poiché è “sterile”; la donna nel frattempo ha abortito e si è messa in caccia dell’uomo, minacciandolo con vari cartelli che chiedono spiegazioni sulla sua moralità.
Questi tre talk show, impostati su temi di vita vissuta, portano grossi problemi al governo che se la prende con Karim e non lo promuove alla carica agognata: la cosa si sviluppa con una furibonda scazzottata tra marito e moglie e con Hebba che ha naturalmente la peggio; ma il giorno seguente appare ugualmente in televisione con i lividi e le tumefazioni al volto che gli sono stati fatti dal marito: in apertura di trasmissione spiega al pubblico che l’intervistata del giorno sarà lei stesso e che racconterà la sua storia ed il perché è stata ridotta in quello stato.
Il film gioca sullo slogan “tutto è politica” ed infatti, anche quando Habba crede di operare i n terreno neutro, si trova egualmente tenuta d’occhio dal regime che tende ad essere presentato con le solite caratteristiche: sviscerato maschilismo, nessuna possibilità di avere ragione per le donne e negazione di qualsiasi possibilità di manifestare le proprie ragioni.
La tematica appare anche di un certo interesse, specie per il tipo di struttura narrativa che l’autore costruisce per dare al film lo scheletro occorrente per veicolare le idee; il problema, almeno a mio giudizio, risiede nella estrema prevalenza che viene dato al dialogo rispetto alle immagini: così facendo, oltre a dare poco nerbo ad una narrazione statica, l’autore da scarso rilievo all’uso della macchina da presa e quindi dell’aspetto audiovisivo dell’immagine, predilige l’audio a scapito del video.
Peccato perché anche le interpretazioni, in particolare quella di Hebba (Mona Zakki) sono più che dignitose e avrebbero solo necessità di un regista che credesse maggiormente all’importanza dell’immagine. (Franco Sestini)