LIFE DURING WARTIME
Regia: Todd Solondz
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Edav N: 373 - 2009
Titolo del film: PERDONA E DIMENTICA
Titolo originale: LIFE DURING WARTIME
Cast: regia, sogg. e scenegg: Todd Solondz – fotogr.: Edward Lachman – mus.: Doug Bernheim – mont.: Kevin Messman – scenogr.: Roshelle Berliner – cost.: Catherine George – interpr.: Shirley Henderson (Joy), Ciarán Hinds (Bill), Allison Janney (Trish), Ally Sheedy (Helen), Gaby Hoffmann (Wanda), Chris Marquette (Billy), Paul Reubens (Andy), Michael K. Williams (Allen), Charlotte Rampling (Jacqueline), Michael Lerner (Harvey), Renée Taylor (Mona), Dylan Riley Snyder (Timmy Malewood), Emma Hinz (Chloe), Rich Pecci (Mark), Meng Ai (Jesse) – durata: 96’ – colore – produz.: Werc Werk Works – origine: USA, 2009 – distrib: Archibald Enterprise Film (16.04.2010)
Sceneggiatura: Todd Solondz
Nazione: USA
Anno: 2009
Presentato: 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2009 - Concorso
Premi: Osella per la miglior sceneggiatura (a Todd Solondz) alla 66ma Mostra Internazionale D'Arte Cinematografica di Venezia
È la storia di tre sorelle e delle loro rispettive famiglie, ognuna di esse funestata da problemi irrisolti: la prima sorella, Joy, che lavora in un centro di recupero criminali, ha un marito con problemi di perversione sessuale e droga ed è tormentata dalla visione di un suo precedente spasimante che si è tolto la vita dopo essere stato da lei rifiutato. La seconda sorella, Trish, in precedenza sposata con un pedofilo (che sconta in carcere la sua condanna), cerca di far accettare Harvey, l’uomo di cui è innamorata, ai due figli a cui ha nascosto la verità sul primo marito dicendo loro che è morto. L’ultima sorella, Helen, rimasta praticamente zitella, cerca di alleviare la sua solitudine dedicandosi completamente al lavoro e al culto del suo successo personale, di cui però al contempo si sente vittima.
Joy, esasperata dalle ricadute del marito maniaco, lo molla, prendendosi una «pausa di riflessione» e andando a far visita prima alla madre, una donna ormai anziana, “scottata” dall’esperienza di un matrimonio finito male e di un marito che le ha «rovinato la vita», e, quindi alla sorella maggiore, Trish, che la ospita sotto il suo tetto. Da lei apprende la notizia del suo imminente matrimonio con Harvey. I problemi di Joy con il “fantasma” che la perseguita peggiorano e la presenza del suo ex spasimante diviene anzi più invadente e “reale”, tanto da instaurare con lui un vero e proprio “dialogo” quotidiano e da difendersi addirittura da un tentativo di stupro del “fantasma” ai suoi danni. Ritornata sulla sua decisione, la donna chiama il marito per comunicargli la decisione di tornare con lui, ma la sua chiamata arriva tardi: l’uomo si è suicidato. La donna lo rivedrà ancora, ma anch’egli nelle vesti di fantasma. La sanità mentale della donna è ormai compromessa.
Trish, dal suo canto, vive una seconda giovinezza grazie all’amore per Harvey, un uomo «più vecchio e non attraente, ma normale» che le sta facendo dimenticare i problemi vissuti con Bill, il marito carcerato. Uno dei figli della donna, venuto a sapere che il suo padre naturale è in carcere ma vivo si arrabbia con la madre e pretende che la donna gli racconti esattamente come e perché il padre sia finito in prigione. La donna alla fine cede. In seguito, fatto conoscere ai figli, Harvey, sembra che tutto vada bene e che il nuovo marito sia accettato anche dal bambino, ma per colpa di un malinteso, egli viene scambiato per un pedofilo e viene da lei mollato.
Ad insaputa della donna, proprio Bill, l’ex marito, scontata la sua pena, è uscito dal carcere, mettendosi sulle tracce della famiglia: un giorno, dopo essere tornato a casa ed aver atteso l’uscita della moglie, fa irruzione nell’apparamento e scopre così che il suo figlio maggiore è ormai un giovane uomo e che frequenta il college universitario in un’altra città. Si mette così sulle sue tracce, trovando prima il tempo di accettare le avances di una anziana donna conosciuta in un bar e con la quale finisce a letto, cercando poi di derubarla. Raggiunto finalmente il figlio, che porta dentro di sé il doloroso ricordo di quanto accaduto, gli porge le sue scuse e ha con lui una breve conversazione nella quale si accerta, in lacrime, che il figlio non abbia preso il suo carattere e le sue…tendenze. Dopo di che scompare nuovamente nel nulla, lasciando nel figlio più piccolo il malinconico desiderio di rivederlo (“io voglio mio padre”).
Mentre questi tre personaggi – con le rispettive famiglie – e le loro trame si incastrano, si dilatano e, in alcuni casi, si scontrano anche violentemente, il film compone un quadro emotivamente risonante di individui che sono prigionieri di un paio di realtà “guerresche” (il terrorismo e la lotta commerciale con la Cina) e di svariate fobie, a cominciare dal sesso per proseguire con la religione (ebraismo), la ricerca dell’amore e della vita.
E nella sequenza finale, dopo che si è parlato dei “massimi sistemi”, il ragazzo che ha avuto il problema del padre accusato e imprigionato per pedofilia, conclude tutti i discorsi a vuoto pronunciati dai protagonisti del film con un laconico “io voglio mio padre” che testimonia meglio di tante immagini quello che è il significato autentico della vita: la verità dei rapporti e la semplicità dei valori messi in campo, al centro dei quali c’è l’immancabile perdono per i peccati commessi.
Abbiamo visto il film con i sottotitoli in italiano disallineati rispetto alle frasi pronunciate in inglese; tale difficoltà risulta molto importante ai fini della comprensione della vicenda, stante che il film si regge quasi per intero sul dialogo e quindi averlo non pienamente comprensibile non è cosa da poco.
Le interpretazioni degli attori rendono un grosso servizio all’opera e conferiscono quella patina di grande lavoro che proviene dalla bravura degli interpreti, peraltro ben diretti dal nostro regista che comunque usa poco l’immagine a favore del parlato e quindi non è propriamente “cinematografico”.
Un’ultima notazione che proviene dalla conferenza stampa: al regista è stato chiesto prima di tutto se il film poteva contenere una tematica paragonabile alla situazione politica italiana, al che il bravo Solondz ha risposto che non conosceva tale situazione e che quindi il film non poteva avere niente del genere; gli hanno poi chiesto se nell’ultima sequenza del film le frasi pronunciate dai protagonisti non si possano riferire alla situazione politica americane, al che l’autore – un po’ scocciato – ha risposto che l’ultima frase del film è quella del ragazzo “Io voglio mio padre” e che comunque, gli interventi di lor signori (i giornalisti) sono troppo complicati per la sua comprensione di modesto regista cinematografico. (Manfredi Mancuso - Franco Sestini)