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DI ME COSA NE SAI



Regia: Valerio Jalongo
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: DI ME COSA NE SAI
Nazione: ITALIA
Anno: 2009
Presentato: 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2009 - Giornate degli Autori

Il titolo è una domanda senza il punto interrogativo, quasi ad anticipare la risposta, ma… risposta non c’è! Eppure essa sarebbe molto interessante. Si tratta di saper il motivo o meglio di conoscere le cause per le quali oggi, (ma già fin dagli anni settanta del secolo scorso, che segnò il tramonto della grande stagione del cinema italiano esportato ed ammirato in tutto il mondo), il film è in crisi. Quest’ultima affermazione è un eufemismo. La realtà è che il mercato mondiale del cinema, che fin dopo la prima metà del ‘900 aveva visto l’Italia ai primi posti, ora è dominato quasi esclusivamente dai prodotti di Hollywood. In ogni manifestazione culturale del settore, durante tutti i festival, all’interno d’ogni ambasciata statunitense ci sono équipes specializzate per sostenere e propagandare i film americani. Se male comune fa mezzo gaudio, consoliamoci, se ne abbiamo il coraggio, constatando che nella medesima condizione si trovano tutte le industrie cinematografiche europee. Le affermazioni arrivano da fonti bene informate e da esperti analisti del mercato mondiale. La domanda che gli autori del film si pongono, e che a questo punto ha già avuto la risposta sintetica fondamentale, vorrebbe indagare sui motivi che hanno causato questa globalizzazione cinematografica. Anche per il fatto che la conseguenza peggiore sotto il profilo psicologico sociale consiste nel fatto del mutamento di mentalità e di gusti, e per conseguenza di scelte degli spettatori dei film, provocata dalla frequentazione ormai quasi istintiva sempre dei medesimi prodotti commerciali. La massificazione attraverso le immagini cinematografiche si è allargata a macchia d’olio. Le concessioni alle televisioni cosiddette ‘private’ si sono adeguate, come del resto la TV governativa, ai nuovi gusti dei teledipendenti. È inutile, osserva qualcuno dallo schermo, lamentare il fatto che la VERITÁ della vita è stata sostituita dalla FALSITÁ delle immagini. Oggi una distinzione tale cade inascoltata su persone sorde. Non si dovrebbe concludere con la generalizzazione teorica: se i film programmati nella sale sono americani, sono ‘belli’, gli altri invece… Essa si avvera purtroppo nella pratica quotidiana, per cui i gestori delle sale si vedono ‘costretti’ ad accontentare il pubblico offrendo quello che esso aspetta. L’indagine demoscopica condotta dal film si appoggia su testimonianze ricavate da interviste rivolte a registi italiani e stranieri ed a facoltosi produttori oggi sempre più rari. Ascoltiamo dichiarazioni come questa: «L’unica persona del governo che aveva capito l’importanza di sostenere e difendere il cinema italiano negli anni settanta è stato Giulio Andreotti. Vedendo come andavano le cose, fece approvare la legge che favoriva la coproduzione italo-americana: e sarebbe stata la soluzione del problema. Ma in seguito arrivò Corona che rovesciò le carte e perdemmo il gioco: i film italiani dovevano essere ‘fatti’ soltanto da italiani! Io sono certo, afferma il regista intervistato, che il governo degli USA sborsò una somma ingente per suggerire e far approvare la legge Corona, per favorire il mercato americano. Una cosa non so, quanti erano e a chi sono andati quei soldi!». Un documento significativo che dichiarava lo scopo da raggiungere, e che soltanto l’indiscrezione fece conoscere al pubblico, proibiva di fare entrare sistematicamente nella categoria artistica il cinema: esso non è ‘arte’ ma ‘merce’. Le reazioni economiche, che precipitarono il cinema italiano sul ‘lastrico’ furono, oltre alla ricordata assuefazione al consumo americano che gradatamente tendeva a sostituire alla cultura italiana quella transoceanica, dipesero dalla ‘fuga’ dei grandi produttori italiani, che, non trovando interesse a finanziare il film nazionale, si trasferirono in America. Fu uno dei tanti casi di esportazione estera non soltanto di cervelli ma anche di capitali economici. Nel film c’è anche la penosa storia del regista Fontana in ricerca ‘disperata’ d’un secondo produttore

che gli consenta di terminare il suo film, interrotto anni prima per il fallimento del primo; c’è l’indignata protesta di Fellini che non riesce a convincere chi di dovere ad impedire per legge la barbara consuetudine di interrompere la messa in onda dei film con spot pubblicitari («perché, allora, non interrompono la trasmissione della Mesa o il discorso d’un parlamentare?!»); c’è la ressa di gioventù ‘ignorante’ teledipendente che si assiepa davanti ai cancelli degli studi di produzione per fare da comparsa a scopo ludico e lucrativo..La regola unica, insomma, che oggi impera nella vita, anche in quella artistica, o che tale dovrebbe essere!, è il vantaggio economico. È difficile esaurire l’indagine sulla portata globale d’un fenomeno contemporaneo le cui conseguenze investono la cultura in tutti i campi, dalla religione alla famiglia alla società in genere; in una parola, la mentalità ed il modo di concepire la vita. Quelli riferiti sono i pareri di autorevoli personalità intervistate dai realizzatori del film.

Desiderate un esempio di pronta adesione ad un invito ‘autoritario’? Il presentatore del film nomina prima della proiezione i numerosi autori ed interpreti presenti in sala, verso i quali si indirizzano fragorosi applausi. Dice infine che d’una speciale ovazione ha diritto…ed è interrotto da interminabili nuovi applausi…Finalmente riesce a pronunciare il nome dell’illustre assente. Ma quegli ultimi ‘convinti’ battimani degli spettatori a chi erano diretti, dal momento che non sapevano ancora chi applaudivano? (Adelio Cola)

 


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