GOOD MORNING, AMAN
Regia: Claudio Noce
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo del film: GOOD MORNING, AMAN
Titolo originale: GOOD MORNING, AMAN
Nazione: ITALIA
Anno: 2009
Presentato: 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2009 - Settimana della critica
Storia di due solitudini, delle quali la seconda è finalizzata alla prima, per cui la storia è una sola, la prima. Sembra un gioco di parole, ma è suggerito dalla struttura del film. Il caso AMAN s’intreccia con quello di Teodoro. Egli è un giovane immigrato somalo, residente con la famiglia in Italia fin da quando aveva quattro anni. Roma è inospitale, ma egli potrebbe trovarsi in un qualunque altro ‘altrove’ e, da quanto si capisce dal film, la situazione sarebbe la medesima. Non trova lavoro, o meglio ‘lavoricchia’ qua e là ma lo sfruttamento, le umiliazioni, l’emarginazione (anche l’invidia e la gelosia del datore di lavoro, ‘offeso’ dalla capacità di riuscita dello ‘straniero’!) lo rendono sempre insoddisfatto e triste. Neppure con le ‘donnine’ riesce a ‘dialogare’. La madre lo interroga sulla provenienza dei soldi che egli ogni tanto le mostra; la risposta è evasiva (“sono fatti miei!”). Ha stabilito una specie di provvisoria-definitiva dimora in casa di Teodoro, ex allenatore di boxer ed egli stesso ex campione della ‘nobile arte’, al quale offre piccoli servizi richiesti da chi lo tratta da “grande amico”. Costui, però, si comporta talvolta in modo strano e imprevedibile, anzi con violenza anche verso ex compagnoni adulti della sua età, i quali reagiscono e lo mandano all’ospedale, dove è abbandonato da tutti, eccetto dall’amico somalo. L’esperienza di Aman in Italia è stata veramente amara e gli fa rimpiangere la Somalia, che egli ha conosciuto ben poco e dalla quale era fuggito con i familiari riuscendo ad evitare le conseguenze della guerra!
Alla fine in una specie di visione interiore, raccontata sullo schermo in modo realistico, immagina di far fuoco sui colleghi di Teodoro, che lo insultano come straniero. Una seconda ossessione lo conduce su un alto monte in compagnia di Teodoro, che in piedi sulla vetta d’una roccia impervia, guarda lontano girato di spalle, come il personaggio del quadro che l’ex pugile aveva acquistato ( “perché mi piaceva!”) per arredare l’appartamento, e che Aman ora in un accesso di disperazione distrugge con rabbia furiosa. Il quadro era l’unico oggetto risparmiato da Teodoro, che in un momento di follia aveva distrutto tutto i suoi mobili riducendoli legna da fuoco. Il giovane è ora più solo di prima, anzi semplicemente ‘solo’, come prima!
L’interprete nero è particolarmente dotato di capacità espressiva: i suoi primi e primissimi piani potrebbero sembrare allo spettatore tutti uguali; in realtà manifestano stati d’animo diversissimi e, quello che sorprende, manifestati senza mai sbarrare occhi od offrire alla cinepresa smorfie mimiche accademiche. In una parola, è bravissimo e comunica le sue reazioni psicologiche anche senza parole. L’amico adulto è ben lontano da lui in quanto a capacità interpretativa. Il suo volto ‘dice’ poco della sua interiorità, (solitudine, rimorso di errori e colpe commesse, fors’anche desiderio o velleità di riparare…) anche quando usa parole. Quelle rare pronunciate da Aman sono spesso ‘cancellate’ dalla colonna sonora esageratamente ‘alta’, ma lo spettatore, che talvolta non riesce ad ascoltarle, le legge sul volto del giovane somalo.
Sembra che il film sia stato ‘prodotto’ per sconsigliare agli extracomunitari, in questo caso in particolare agli africani, di emigrare in Italia. Sono da ricordare le frequenti telefonate d’un amico del protagonista, Said, che lo chiama dalla liberale Londra, alla quale era arrivato e dove s’era integrato e aveva trovato lavoro, chiedendo informazioni sulle condizioni di Aman, che risponde sempre di trovarsi bene presso di noi italiani, anzi d’aver fatto carriera e d’essere avanzato di grado presso l’azienda che l’ha assunto! Le telefonate documentano il dialogo con voce off e lo spettatore vede il vero stato d’animo di Aman, come il solito espresso con minimi mezzi dal suo volto espressivo. (Adelio Cola)