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THE INFORMANT!



Regia: Steven Soderbergh
Lettura del film di: Manfredi Mancuso
Titolo del film: THE INFORMANT!
Titolo originale: THE INFORMANT!
Cast: regia: Steven Soderbergh - sogg.: Kurt Eichenwala - sceneggiatura: Scott Z. Burns - fotografia: Steven Soderbergh, Peter Andrews - musica: Marvin Hamlisch - montaggio: Stephen Mirrione - cost.: Shoshana Rubin - interpreti: Matt Damon (Mark Whitacre), Melanie Lynskey (Ginger Whitacre), Patton Oswalt (Ed Herbst), Scott Bakula (Brian Shepard), Thomas F. Wilson (Tom Wilson)- durata: 108' - origine: Usa, 2009 - produzione: Section Eight, Groundswell Productions, Jaffe/Braunstein Enterprise, Participant Productions, Warner Indipendent Pictures (WIP) - distribuzione: Warner Bros Pictures Italia (18-09-2009)
Nazione: USA
Anno: 2009
Presentato: 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2009 - Fuori Concorso

Mark Whitacre è un giovane dirigente della ADM (Archer Daniels Midland), un’azienda di prodotti agroalimentari, nella quale riveste il ruolo di biochimico. È nominato responsabile di un progetto di lavorazione del mais che  gli dà parecchi grattacapi e, a causa di ciò, è sottopressione; l’uomo inventa una storia comunicando ai suoi superiori di aver ricevuto una telefonata da una ditta concorrente che lo avverte di essere la responsabile dei problemi del progetto e chiede un’ingente somma di denaro per interrompere il sabotaggio.

I dirigenti della ditta decidono di mettersi in contatto con l’FBI; Whitacre, pur accettando di malavoglia la decisione, si mette così al servizio degli agenti federali e, interrogato, racconta loro il contenuto della presunta telefonata.

Tornato a casa e raccontata alla moglie la verità, l’uomo non ascolta le parole della donna che gli consiglia di vuotare il sacco e, in un colloquio privato con il poliziotto che gli è stato messo a disposizione, decide di denunciare per frode fiscale l’azienda per la quale lavora.

Stretto un patto con L’FBI e convinto così a divenire un “informatore” dei federali con tanto di microfono e di registratore nascosto nella valigetta, Mark, comincia a raccogliere informazioni e registrare nastri.

Quando l’FBI giudica sufficiente la quantità di prove raccolte dal suo informatore, decide di agire, compiendo un blitz e incriminando buona parte dei dirigenti.

Le cose sembrano quindi andare a meraviglia per Mark, che attira ben presto su di sé anche l’attenzione dei mass media; tuttavia, quando l’azienda scopre, per stessa candida ammissione di Whitacre, che è stato l’uomo a fare il doppio gioco, gli avvenimenti prendono una piega diversa. Venuti in possesso di una serie di documenti compromettenti, i legali dell’ADM rivolgono contro l’impiegato delle fondate e incontrovertibili accuse di corruzione.

Stroncato dalla serie di prove a suo sfavore e progressivamente abbandonato da chi in precedenza gli aveva prestato fede (L’FBI, gli amici e in ultimo anche la moglie), l’uomo, invece di vuotare definitivamente il sacco spara le ultime cartucce inventando frottole maggiori e storie sempre più inverosimili, arrivando ad accusare (invano) addirittura l’agente dell’FBI che era stato il suo referente durante l’operazione anti frode.

Inchiodato da ben 45 capi d’imputazione, l’uomo viene condannato, nonostante gli venga riscontrata un’accentuata sindrome maniaco-paranoide che però non viene ritenuta la causa principale del suo comportamento.

In prigione, arriva anche a chiedere la grazia al presidente degli Stati Uniti, ma questa gli verrà negata. Uscito dal carcere, scontati i 9 anni della sua pena, viene messo a capo di un’altra compagnia. 

Il protagonista del film è un personaggio al tempo stesso ingenuo e “spietato”. Da un’ innocua menzogna detta al fine di allentare la pressione derivantegli da problemi lavorativi, Mark viene spinto a una serie di menzogne sempre più grosse causate dal suo atteggiamento maniacale. I sintomi della sua paranoia sono ben descritti nell’arco del film con toni caricaturali e divertenti che mettono in risalto anche l’intrinseca assurdità del mondo lavorativo nel quale l’uomo si trova a operare.

Tutti i personaggi che si trovano coinvolti nella vicenda di Whitacre vengono gabbati con facilità irrisoria e, per certi versi irreale: si pensi non solo agli agenti dell’FBI, spesso presentati con caratteri da vere e proprie macchiette umoristiche, ma anche ai colleghi e ai dirigenti dell’azienda, dai quali, del resto, Mark dice più volte di aver appreso il modus operandi di queste truffe (che la serie di deliranti menzogne del personaggio siano considerate dai vertici dell’azienda un architettato tentativo di porsi a capo della compagnia, poi la dice lunga sul principale bersaglio dell’opera). La critica dell’universo lavorativo (e sociale) dipinto da Soderbergh, a livello del racconto,  ha come causa (ma anche come logica conseguenza) la disarmante “malattia” mentale del personaggio, che difatti, alla fine del film non sa più nemmeno fidarsi delle proprie capacità («Non so più niente. Dimmelo tu!», dice Whitacre all’agente che gli chiede quanti siano i soldi che l’impiegato ha effettivamente sottratto al fisco). Incoraggiato a mentire su tutti i fronti, Mark risulta il miglior impostore proprio per colpa della sua malattia mentale. E, sembra dire il regista, probabilmente non è solo nel suo mondo. Così può anche accadere, come infatti ci informano puntualmente le scritte alla fine del film, che un “matto”, condannato a scontare anni di prigione, sia posto – all’uscita dal carcere -  a capo del settore di una compagnia.  

Il film, diretto con buona verve umoristica da Soderbergh, si esaurisce quasi del tutto a livello della vicenda ed è sorretto per buona parte da un Matt Damon in “ottima forma” (nonostante i venti e più chili che l’attore ha dovuto metter su per sostenere la parte), lontano anni luce dagli usuali ruoli di “eroe d’azione”. (Manfredi Mancuso)

 


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