QU'UN SEUL TIENNE ET LES AUTRES SUIVRONT
Regia: Lèa Fehner
Lettura del film di: Adelio Cola
Titolo originale: QU'UN SEUL TIENNE ET LES AUTRES SUIVRONT
Nazione: FRANCIA
Anno: 2009
Presentato: 66. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - 2009 - Giornate degli Autori
Sono tre storie con finale tutt’altro che allegro. Esse sono reciprocamente intrecciate tra di loro fino al punto da renderle difficilmente ‘leggibili’ nei particolari dolorosi per buona parte del film, anche a causa dei dialoghi ‘super veloci’, talvolta soltanto sussurrati a fior di labbra da personaggi angosciati e spesso in lacrime. La signora algerina attende all’aeroporto la salma del marito, ucciso non si sa da chi. La ferita di coltello sul cadavere testimonia la violenza dall’assassino. Una giovane è innamorata del fidanzato, che ora però si trova in carcere come responsabile di soprusi ai danni di altre persone. E’ sempre accompagnata da un paramedico, che sembra prestarle il servizio con la sua vettura in modo amichevole e disinteressato. Un tizio che dal punto di vista economico non se la passa bene e che spesso litiga con la moglie, viene invitato da un distinto signore (‘mafioso’?), a sostituire un carcerato, che sembra addirittura suo gemello. Inizialmente il sosia resiste, anche in considerazione delle conseguenze che ricadranno sulla famiglia dopo l’inevitabile previsto arresto e condanna che subirà a causa del reato; poi ci ripensa e accetta l’offerta della generosa ricompensa promessa (“un’occasione come questa ti si presenta una volta soltanto nella vita! Farai un poco di carcere ma poi vivrai senza preoccupazioni tu e la tua famiglia!”)
Le vicende si succedono e si alternano le une con le altre in modo che lo spettatore stenta a dipanare l’arruffata matassa. Si pensi ad un puzzle, la cui distribuzione delle ‘tessere’ esige molta buona volontà e costanza per ricostruirne il disegno. Tutto diventa abbastanza chiaro negli ultimi minuti del film, che per certi versi si presenta anche come un giallo (come il genere vuole!, non mancano le vittime). La vedova algerina scopre in carcere (la storia non è chiara…a me!) che l’assassino del marito è stato nientemeno che il figlio, che lei non ha mai rivisto dopo la primissima infanzia. Questi era arrivato al parricidio perché “il padre non lo accettava, e dopo uno scontro di sfida reciproca nel tentativo di impossessarsi a scopo di vendetta dell’unico coltello presente sulla tavola di cucina, aveva esagerato nella sua istintiva reazione!” .La giovane non vuol più saperne del fidanzato in carcere, che non si rassegna all’abbandono e non vuole prestar fede all’accompagnatore, che gli giura che ‘lui non c’entra’ perché “è lei che non lo ama più! ”. Uscito però dalla visita al carcerato egli tenta di baciarla ma la giovane rifiuta e fugge. Il delinquente in carcere (approfittando d’un parapiglia, –troppo ben organizzato dalla sceneggiatura!-, ha già indossato il giaccone del sosia, per tentare l’evasione, quando, al momento di andarsene a gioco quasi riuscito, l’altro ci ripensa, gli strappa di dosso il giaccone ed il detenuto rimane a scontare la penna dei suoi crimini. Nel film c’è una scena iniziale emblematica, che si ripete a modo di inclusione verso la conclusione dello spettacolo, al centro della quale una giovanissima madre con bambina invoca ripetutamente aiuto e soccorso ai numerosi presenti in attesa d’entrare a far visita ai detenuti: ella è in grave difficoltà per aver smarrito il foglio del permesso d’entrata per incontrare il marito. Nessuno l’aiuta, anzi neppure le rivolge una parola od un gesto di partecipazione al suo problema. Ognuno, nel film, rimane trafitto dalla spada inesorabile della vita, che non risparmia alcun essere umano.
I personaggi sono diretti con capacità e rigore stilistico, anche se bisogna riconoscere che nel mantenimento della lodevole coerenza dei rispettivi caratteri, sono però sempre ‘uguali’ da capo a fondo del lungo film, quasi manieristi di se medesimi!: Due piangono sempre, altri sono costantemente violenti. La scarsa tolleranza reciproca del sosia nella convivenza con la moglie riproduce uno stereotipo famigliare di maniera. La fotografia non ha particolari pregi formali. Le soluzioni drammatiche non brillano per originalità. Il film è opera d’una giovane regista alla prima prova impegnativa. Mi sembra che alcuni difetti ed esagerazioni della messa in scena siano da attribuire in buona parte alla sceneggiatura e per certi ‘passaggi confusi’ al nervoso montaggio. (Adelio Cola)