VERSO L'EDEN
Regia: Constantin Costa-Gavras
Lettura del film di: Olinto Brugnoli
Edav N: 368 - 2009
Titolo del film: VERSO L'EDEN
Titolo originale: EDEN À L’OUEST
Cast: regia: Constantin Costa-Gavras – scenegg.: Jean-Claude Grumberg e Constantin Costa-Gavras – fotogr.: Patrick Blossier – mus.: Armand Amar – mont.: Yannick Kergoat – scenogr.: Alexandre Bancel, Konstantinos Papageorgiou – cost.: Ioulia Stavridou, Mathé Pontanier – interpr.: Riccardo Scamarcio (Elias), Ulrich Tukur (Nick Nickleby), Juliane Köhler (Christina), Éric Caravaca (Jack), Jean-Christophe Folly (Musicista), Anny Duperey (Dame Veste), Dina Mihailidou (Sofia), Konstandinos Markoulakis (Yvan), Antoine Monot Jr.(Karl), Bruno Lochet (Yann), Michel Robin (Portiere), Jean-Pierre Gos (Franz), Ieroklis Michaelidis (Notabile), Florian Martens (Günther), Aymen Saïdi, Odysseas Papaspiliopoulos, Marisha Triantafillidou, Murali Perumal – durata: 111’ – colore – produz.: K.G., Odeon, Pathé Renn Productions, France 3 Cinéma, Novo RPI, Greek Television ET-1,Greek Film Center, East Media Services – origine: FRANCIA, GRECIA, ITALIA 2009 – distrib. Medusa (06-03-2009)
Sceneggiatura: Jean-Claude Grumberg e Constantin Costa-Gavras
Nazione: FRANCIA, GRECIA, ITALIA
Anno: 2009
Presentato: 59. Festival di Cannes, 2006 - Fuori Concorso
Il regista. Constantin Costa-Gavras, nato e cresciuto in Grecia, studia lettere e cinema in Francia, dove ha l’occasione di conoscere grandi registi come René Clair e René Clement, di cui diventa assistente. Esordisce nella regia nel 1958 con il cortometraggio LES RATES e, dopo un paio di film non molto riusciti, ottiene un grande successo con il famoso Z – L’ORGIA DEL POTERE (1969), vincitore del premio Oscar come migliore film straniero. Prendendo spunto dall’omicidio del deputato socialista Gregorios Lambrakis, avvenuto a Salonicco nel 1963, il regista manifesta il suo interesse per un cinema politico e di denuncia che caratterizza tutti i suoi primi film, per passare poi ad altri temi piú intimisti, ma senza perdere mai una certa vena polemica che sembra essergli congeniale.
Il film. Presentato in chiusura dell’ultimo Festival del Cinema di Berlino, dove è stato accolto molto favorevolmente dal pubblico, VERSO L’EDEN parla di un argomento di grandissima attualità, quello dell’immigrazione clandestina. «Non è autobiografico, ma è un film molto personale. Conosco il dramma di chi è costretto a lasciare tutto quello che conosce per avventurarsi verso l’ignoto, spinto dal bisogno di sopravvivere», ha dichiarato il regista, emigrato in Francia dalla Grecia per ragioni politiche. Nonostante l’importanza dell’argomento trattato, il film rivela comunque alcuni punti deboli – dovuti ad un’impostazione semplicistica e talvolta spettacolare – che gli impediscono di assurgere a denuncia di un fenomeno col quale l’Occidente deve necessariamente confrontarsi.
La vicenda. Elias è uno dei tanti immigrati clandestini che, da varie parti del mondo, a bordo di carrette del mare e sfidando le leggi contro l’immigrazione, vengono a cercare pane e lavoro nei paesi del ricco Occidente. Dopo un rocambolesco sbarco su una spiaggia della Grecia, Elias si rende conto di essere capitato in un lussuoso villaggio turistico, l’Eden Club Paradise, dove si pratica il nudismo e dove si trascorre il tempo con ameni quanto insulsi divertimenti. Elias si mimetizza per non essere riconosciuto, ma, scambiato per un inserviente del Club, deve barcamenarsi ed accettare tutto quello che gli capita (tra cui soddisfare le voglie di un capo del villaggio e di una ricca signora tedesca). Elias, che ha imparato alcune parole di francese con la mira di arrivare in Francia, ha l’occasione di incontrare anche una specie di mago che lo ingaggia come inserviente e poi gli dà il suo biglietto da visita invitandolo ad andarlo a trovare qualora arrivasse a Parigi. Riuscito a fuggire dal villaggio, Elias fa di tutto per raggiungere la capitale francese. Viaggia con ogni tipo di mezzo; viene derubato; accetta di lavorare in nero per degli sfruttatori; viene continuamente ricercato dalla polizia dalla quale cerca di fuggire. Ma ogni tanto trova anche qualche persona che lo aiuta favorendo cosí il suo piano. Una volta arrivato a Parigi, s’accorge che la realtà è molto piú dura di quanto immaginasse per uno come lui. Si mette a cercare il mago, ma, una volta trovatolo, deve provare l’ennesima delusione. Resta solo, senza aiuto, e con le lacrime agli occhi. Forse solo un gesto di magia potrebbe risolvere il suo problema.
Il racconto. Già il titolo originale del film, Eden à l’Ouest, introduce chiaramente l’argomento del film: la speranza, il mito, o forse l’illusione di trovare nei paesi dell’Ovest quell’Eden cui tante persone, che non hanno di che sopravvivere, anelano. La struttura del film è lineare e scandisce la vicenda in alcune grosse parti narrative.
Introduzione. La prima immagine del film è da cartolina: un mare bellissimo con un promontorio in campo lungo e un suggestivo tramonto. Ma improvvisamente appare da sinistra una carretta del mare piena zeppa di gente che cerca di emigrare. Queste persone, tra cui c’è anche il protagonista del film, Elias, vengono poi caricate, dietro ovvio compenso, su una nave piú grande, già stracolma di gente, appartenente a trafficanti senza scrupoli (un tizio che pretenderebbe di pagare solo all’arrivo viene abbandonato a se stesso). Quando di notte la nave arriva in vista della costa, una motovedetta della polizia interviene per bloccare i clandestini. Alcuni di loro, tra cui Elias si buttano in acqua per raggiungere la riva a nuoto. Non tutti ce la faranno.
Primo approccio. Elias si sveglia al mattino su una spiaggia di nudisti e poco alla volta si rende conto di essere all’interno di un villaggio turistico dove i clienti, ovviamente, non vogliono essere disturbati da intrusi clandestini. A questo punto incominciano a delinearsi tre filoni narrativi che, in diversa misura, caratterizzano tutte le diverse parti del film. Due filoni sono portanti e sono costituiti da due tipologie di persone: quelle che danno la caccia a Elias (e ai clandestini in genere) e quelle che in varia maniera lo aiutano a raggiungere il suo sogno. Il terzo, che è molto piú sviluppato nella prima parte del film (quella all’interno del villaggio), sembra avere una funzione diversa, piú di tipo spettacolare che tematico.
Quest’ultima sembra essere molto legata all’attore che interpreta il personaggio di Elias, Riccardo Scamarcio, che notoriamente rappresenta un’icona di bellezza e che talvolta stride con il ruolo che deve impersonare. «Mi hanno fatto notare che Riccardo è bello. Perché i clandestini dovrebbero essere brutti?», ha dichiarato il regista. L’osservazione è vera, ma il problema non è tanto la bellezza di Scamarcio (anche se non è molto facile trovare dei clandestini cosí), quanto piuttosto il fatto che tale sua bellezza offre l’occasione per inserire nel film episodi che talvolta scivolano nella spettacolarità. È il caso, per esempio, di quando il protagonista, per confondersi con i nudisti, si spoglia completamente (anche se l’autore evita di far vedere il nudo integrale); oppure di quando uno dei capi del villaggio, che fin dall’inizio lo aveva guardato con interesse, approfitta di lui dal punto di vista sessuale; ancora: la relazione con la signora tedesca offre l’occasione di mostrare scene d’amore e di nudo non eccessivamente scabrose, ma sufficienti a costituire un elemento di richiamo spettacolare. L’altro elemento di spettacolarità che emerge ogni tanto durante il film è quello legato alla suspense derivante dalla presenza della polizia e dalla possibilità che il protagonista venga arrestato.
Detto questo, ci si può concentrare sugli altri due filoni, decisamente piú interessanti dal punto di vista tematico. L’autore mette chiaramente in risalto lo stridente contrasto tra la ricchezza e il lusso che regnano nel villaggio e l’affannoso tentativo di sopravvivenza da parte degli immigrati, due dei quali vengono trovati morti sulla spiaggia, tra la curiosità e un briciolo di preoccupazione da parte dei clienti. Per non allarmare i quali si fa ricorso non alla polizia, ma agli uomini della sicurezza del club, cui si affiancano anche numerosi ospiti in un’eccitante caccia notturna al clandestino; una vera e propria avventura che rende la vacanza ancora piú gradevole. Elias finge di essere un inserviente ed è costretto a sturare un water a mani nude; è costretto a far finta di niente quando il suo amico, col quale aveva iniziato il viaggio, viene catturato e consegnato alla polizia; cerca di fuggire, ma si trova di fronte al filo spinato che circonda il villaggio. Per fortuna trova anche qualcuno che lo aiuta. È il caso della signora tedesca che all’inizio lo scambia per uno del personale, lo fa entrare nel suo bungalow, lo spoglia e fa l’amore con lui. Ma in seguito, venuta a conoscenza della sua vera identità, cerca ugualmente di proteggerlo e di nasconderlo; e quando la direttrice del club, che nel frattempo si è insospettita e ha scoperto l’inghippo, gli intima di andarsene («Non vogliamo immigrati clandestini, anche se sono attraenti…ne va della sopravvivenza del club»), fa per l’ultima volta l’amore con lui e poi lo lascia andare, non senza avergli prima messo dei soldi nel taschino della camicia. Un altro personaggio che possiede un certo peso strutturale e che, magari senza rendersene conto, lo aiuta è quel mago che intrattiene gli ospiti del villaggio e che lo sceglie come collaboratore nei suoi giochi di prestigio. Dopo averlo sottoposto al numero del «water della morte» e averlo poi miracolosamente risuscitato sotto forma di maragià, gli porge un biglietto da visita e gli suggerisce: «Se vieni a Parigi, vienimi a trovare al Lido». Poi, prima di andarsene gli dà dei soldi come compenso per quanto fatto e lo saluta amichevolmente. Da notare che Elias conserverà gelosamente quel biglietto e cercherà di recuperarlo ad ogni costo fino a quando lo perderà definitivamente in un tombino di Parigi. Quel biglietto diventa per lui qualcosa di prezioso, una specie di pegno, di promessa, di speranza di una vita migliore. Poi Elias riesce finalmente ad andarsene da quel villaggio, mentre quel capo che aveva abusato di lui lo lascia partire senza denunciarlo. Si può pertanto dire che, in questa prima parte, tutti, una volta conosciuta la sua identità, gli danno la caccia ad eccezione della signora tedesca e del capo, che però, bisogna dire, hanno prima ricevuto da lui quello che volevano.
Il viaggio. Comincia ora il grande viaggio verso Parigi. È significativo che fin dall’inizio, cioè da quando Elias sbarca in un porticciolo, emergano i due filoni di cui s’è parlato: c’è un pescatore che, riconoscendolo come clandestino, telefona subito alla polizia, mentre un altro uomo, che gli ha venduto un paio di scarpe, lo aiuta e lo incoraggia. Elias è ingenuo e candido e quindi non sospetta pregiudizialmente della gente. È pertanto la persona piú adatta per essere raggirata. Ed infatti un automobilista, che si ferma per dargli un passaggio, gli promette di portarlo dritto a Parigi, si fa consegnare un bel po’ di soldi e poi regolarmente fugge, lasciandolo solo e disperato. Ma ecco una donna, madre di due bambini, che guida un trattore e che, probabilmente anche lei non insensibile all’aspetto del protagonista, gli dà un passaggio, lo ospita e lo rifocilla. Elias viaggia con ogni mezzo di trasporto: lo vediamo sul cassone di un camion in mezzo a dei maialini, su una motocicletta, ancora su un camion che lo deposita al confine con la Francia. Qui trova un «passaggio di solidarietà» da parte di una coppia (a dire il vero piú per iniziativa dell’uomo che della donna) che poi si mette a litigare e lo scarica nel bel mezzo delle montagne innevate. Per fortuna Elias trova un altro passaggio da parte di due camionisti tedeschi che lo nascondono alla polizia e lo aiutano: certamente lo fanno per solidarietà, ma anche loro dimostrano un qualche interesse di natura sessuale. Uno degli episodi piú efficaci nel descrivere la condizione degli immigrati è quello relativo allo sfruttamento della manodopera da parte di gente senza scrupoli. Elias viene bloccato da due persone (anche qui si gioca con un po’ di suspense) che gli offrono un lavoro. Lui accetta e si trova a lavorare in un ambiente squallido e disumano, dove domina la discriminazione e dove i lavoratori vengono pagati miseramente, con la promessa, sempre rinviata, di procurare loro i documenti. È gente di ogni razza e provenienza, che sogna di trovare qualcuno che li liberi da quella condizione di schiavitú (il nero che canta: «Chi ci libererà e il sole ci darà?»). Elias, resosi conto della situazione, reagisce; scoppia una rivolta tra i lavoratori e lui ne approfitta per scappare, rischiando di essere travolto da due treni mentre attraversa i binari. Continua l’odissea di Elias. Incontra della gente che fa un pic-nic: nessuno s’accorge di lui, tranne un bambino che lo saluta con la mano; fermato dalla polizia che gli chiede i documenti, scappa e riesce a far perdere le proprie tracce infilandosi la giacca di un suonatore di una banda; scoperto, scappa nuovamente e viene salvato da un gruppo di zingari che lo portano nel loro campo, ma per questo dovranno subire le ritorsioni di un gruppo di fanatici che organizza una spedizione punitiva. Finalmente incontra un suo compaesano che, dopo essere stato a Parigi, sta facendo ritorno in patria. Questi gli dice che a Parigi non c’è lavoro e che tutto sommato è meglio tornare indietro per vivere accanto alle persone care. Ma Elias è convinto che il suo piano funzionerà: lui deve andare dal mago che lo ha invitato e impara a memoria la frase da dirgli quando lo incontrerà: «Voi mi avete detto: se vieni a Parigi vienimi a trovare». Dopo aver trovato da mangiare e da dormire grazie a un’organizzazione di volontari, Elias riceve dal suo compatriota dei soldi per poter prendere il treno per Parigi. È chiara l’idea che poco alla volta emerge: coloro che veramente aiutano Elias sono delle persone semplici (il bambino che lo saluta) o povere ed emarginate (gli zingari e il compatriota immigrato), mentre coloro che lo ostacolano o addirittura lo sfruttano sono le cosiddette persone normali. Dopo un viaggio in treno tra gente piena di computer portatili e cellulari, finalmente Elias arriva alla meta agognata: Parigi.
Parigi. Continuano le traversie di Elias alla ricerca del mago che dovrebbe aiutarlo. Anche qui, piú o meno, prevale la stessa logica: Elias si rivolge a dei passanti per avere indicazioni, ma nessuno gli risponde; gli unici che cercano di aiutarlo sono dei clandestini che vendono le loro cianfrusaglie e che devono anche loro scappare quando arriva la polizia. Elias è ancora costretto a fuggire per non essere arrestato. Il mondo che lo circonda è opulento: vetrine stracolme di cose buone, il lusso e i falsi miti del consumismo che vengono esibiti, perfino un bambino in carrozzina con il suo mini computer. Per contro persone che cercano di sopravvivere, magari chiedendo l’elemosina e che litigano tra di loro per un posto da occupare. Elias ha fame e si siede in un bistrot a mangiare degli avanzi di cibo: riesce a farlo solo grazie ad un cameriere compiacente che lo copre e gli permette di sfamarsi. Viene infine ospitato, durante un violento acquazzone, in una tendopoli improvvisata, che il mattino dopo viene regolarmente fatta sgomberare dalla polizia. Due ragazze lo aiutano a prendere abusivamente il metró ed Elias finalmente riesce ad arrivare al Lido.
Epilogo. Elias chiede del mago ad un uomo grasso e gentile che, con un sorriso bonario, pronuncia due frasi particolarmente significative: «C’è un tale caos nel mondo! Solo un mago può cambiare le cose»; poi, indicandogli il mago che è attorniato da dei bambini: «Insegna ai bambini a salvare il mondo». Infatti il mago, che ha distribuito ai bambini delle bacchette magiche, fa i suoi giochi di prestigio, provocando stupore e meraviglia. Ma quando Elias si avvicina a lui e gli dice la famosa frase imparata a memoria, il mago gli risponde laconicamente: «Tu mi hai trovato e sei a Parigi». Poi se ne va lasciandogli in dono una delle sue bacchette magiche. Elias è sconsolato e si mette a piangere: il suo sogno è destinato a rimanere tale.
Con un colpo di fantasia l’autore mostra Elias che, azionando la bacchetta magica, fa illuminare la Tour Eiffel. La polizia sembra circondarlo, ma poi, improvvisamente, i poliziotti spariscono. Elias va verso la Torre che luccica, mentre tutto intorno a lui si ferma. Solo lui continua a camminare nella direzione della Torre, accompagnato da una musica extradiegetica.
Significazione. Elias, nel suo viaggio verso una vita migliore, incontra ostacoli, difficoltà, pericoli e gente che cerca di ostacolarlo o di arrestarlo, ma anche qualcuno, soprattutto i piú vicini a lui come condizione sociale, che lo aiuta a raggiungere la meta. Una volta raggiuntala, però, s’accorge che la realtà è ben diversa da quella che lui si era immaginata e vede svanire il suo sogno. Il finale, che vuole evitare (come un po’ tutto il film) toni marcatamente drammatici, proietta quel sogno nell’ambito della magia, quasi a ribadire quanto era stato detto in precedenza, e cioè che solo con la magia si potrebbe cambiare questo mondo che è piombato nel caos.
Universalizzazione. Fin dall’inizio si capisce che l’autore vuol fare di Elias l’emblema degli emigranti. Il fatto che egli provenga da un paese non identificato, che parli una lingua irriconoscibile, che venga presentato in mezzo ad altre centinaia di persone che come lui tentano la fortuna sono chiari elementi universalizzanti. Cosí come tante delle avventure che gli capitano possono essere considerate tipiche di questo mondo. Tuttavia Elias è anche un emigrante atipico, proprio per la sua bellezza che lo fa diventare l’oggetto del desiderio di uomini e donne e che rende il suo cammino molto particolare (sotto questo profilo). L’universalizzazione, quindi, riesce solo in parte.
Inoltre la presenza, soprattutto nella prima parte, di elementi spettacolari cui si è fatto cenno, un certo didascalismo di fondo e il ricorso un po’ troppo marcato al genere favolistico nuocciono alla tematica del film, in quanto affievoliscono la denuncia di un mondo disumanizzato, che respinge chi è nel bisogno, bloccando la strada ad una giusta indignazione.
Il film, comunque, pur con i limiti che si sono evidenziati, può essere utilizzato per affrontare l’argomento dell’immigrazione clandestina, che rappresenta uno dei problemi piú drammatici del nostro mondo e del nostro tempo. (Olinto Brugnoli)